Cappella Ducale di San Liborio
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La cappella Ducale di San Liborio, chiamata anche semplicemente San Liborio, è un luogo di culto cattolico dalle forme neoclassiche situato in via Roma 3 a Colorno, in provincia e diocesi di Parma, alle spalle del grande Palazzo Ducale.
Cappella Ducale di San Liborio | |
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Facciata | |
Stato | Italia |
Regione | Emilia-Romagna |
Località | Colorno |
Indirizzo | via Roma 3 |
Coordinate | 44°55′51.72″N 10°22′41.73″E |
Religione | cattolica di rito romano |
Titolare | san Liborio |
Diocesi | Parma |
Consacrazione | 1777 |
Fondatore | duca Ferdinando di Borbone |
Architetto | Pietro Cugini |
Stile architettonico | neoclassico |
Inizio costruzione | 1775 |
Completamento | 1791 |
Nell'area occupata dalla chiesa attuale, nel 1722 il duca di Parma Francesco Farnese fece costruire un piccolo oratorio dedicato a san Liborio, che nel 1775 fu demolito per volere del duca Ferdinando di Borbone, allo scopo di sostituirlo con un nuovo luogo di culto di dimensioni molto più ampie, degne dell'adiacente reggia monumentale.[1]
Già intorno alla metà del XVIII secolo l'architetto Ennemond Alexandre Petitot aveva redatto un progetto per una nuova cappella palatina, ma i lavori non erano mai stati avviati; il nuovo architetto Pietro Cugini, che ricevette l'incarico dal Duca, si ispirò proprio ai disegni del suo maestro, innalzando un grandioso edificio i cui lavori furono completati nel 1777, con la solenne consacrazione.[1]
Sempre nel 1777, dal piccolo oratorio furono anche traslati i resti del generale lorenese Léopold-Marc de Ligniville morto durante l'attacco di Colorno del 1 giugno 1734.
Nel 1788, tuttavia, il duca Ferdinando decise di modificare l'orientamento della chiesa, all'epoca aperta verso il Palazzo Ducale, affidando il progetto all'architetto Donnino Ferrari; furono quindi invertite la facciata e l'abside, con l'edificazione delle strutture ancora oggi visibili, completate nel 1791.[1]
Nel 2010 furono avviati importanti interventi di restauro, che interessarono la facciata, il piazzale antistante, il campanile ed i prospetti degli edifici adiacenti e si conclusero l'anno seguente. Tuttavia, le scosse di terremoto del 27 gennaio del 2012 danneggiarono gravemente il grande complesso della reggia, tra cui la stessa Cappella Ducale, che per questo fu nuovamente sottoposta a lavori di restauro e soprattutto di consolidamento, che riguardarono le volte della navata, la torre campanaria, il timpano e le sculture della facciata; la riapertura dell'edificio avvenne solo nel luglio del 2013.[2]
La chiesa si sviluppa su una pianta a croce latina a tre navate, con la facciata rivolta verso nord-est.
La facciata monumentale è caratterizzata dal doppio ordine di paraste ioniche e dal grande arco centrale a tutto sesto, che, sostenuto da una coppia di elevate colonne, inquadra l'ingresso maggiore; all'interno di cinque nicchie aperte nella fronte principale sono collocate altrettante statue raffiguranti la Madonna col bambino ed alcuni santi, mentre al centro del maestoso timpano di coronamento campeggia un grande ovale in bronzo, con una serie di putti disposti a raggiera attorno alla scritta in lingua ebraica יהוה (Geova); in sommità si innalza infine una serie di pinnacoli alternati a slanciati vasi.
All'interno, dominato dal colore bianco, le lunghe navate sono suddivise da grandi pilastri e da monumentale colonnato di ordine corinzio, che sostiene anche le cantorie e la tribuna ducale della controfacciata, intagliate nel 1792 dal fiammingo Ignazio Verstrackt, su probabile progetto dell'architetto Donnino Ferrari;[3] un passaggio consente il collegamento diretto fra la tribuna e l'appartamento del Duca dell'adiacente reggia.[4] Un grande cornicione in stucco, realizzato da Benigno Bossi nella seconda metà del XVIII secolo, corona la trabeazione, incorniciando la volta a botte lunettata di copertura.[3]
Ai lati, cinque cappelle si aprono sulle navate, tra cui spicca per importanza quella del Santissimo Sacramento progettata da Pietro Cugini, che, ricca di affreschi sul soffitto e sulle pareti, è ornata anche con preziosissimi marmi grigi d'epoca romana, provenienti dall'antico palazzo di Tiberio sul colle Palatino a Roma.[4]
La cupola è decorata con l'affresco dell'Incoronazione della Vergine tra profeti, patriarchi e santi in gloria, del pittore settecentesco Domenico Muzzi, autore anche dei dipinti sui pennacchi e delle tele raffiguranti l'Addolorata, San Bernardo benedice Parma attorniata dai Santi protettori, Sant'Alberto da Bergamo orante e San Luigi di Francia che dona la corona di spine al Beato Bartolomeo di Breganze, ospitate nelle cappelle. Queste ultime accolgono anche i dipinti Sacra Famiglia e santi, di Pietro Melchiorre Ferrari (1780), San Vincenzo Ferreri che risuscita una donna, di Laurent Pêcheux (1779), e Martirio di san Pietro Martire, di Giuseppe Baldrighi, la statua in terracotta della Pietà, di Laurent Guyard (1775), e quindici piccoli quadri rappresentanti i Misteri del Rosario, di Gaetano Callani, che realizzò anche il gruppo in cartapesta dell'Assunta e la pala Predicazione di san Liborio, che orna lo scenografico altare maggiore in marmi policromi.[3]
Il profondo coro è arredato con il notevole mobilio originario, realizzato tra il 1775 e il 1777 da Michel Poncet e Ignazio Marchetti, che intagliarono anche il pulpito nel 1779 e gli arredi della sagrestia nel 1793.[3]
Nella cantoria sulla sinistra è collocato l'organo monumentale, che fu realizzato fra il 1792 e il 1796 dai noti maestri bergamaschi Andrea e Giuseppe Serassi, in sostituzione di uno strumento di più piccole dimensioni risalente al 1777.[1]
Verso la metà del XIX secolo l'organo cadde in disuso, fino al 1985, quando fu restaurato completamente e reso nuovamente efficiente.[1]
Lo strumento, dotato di 2 898 canne interamente realizzate in stagno puro e distribuite tra 68 comandi, rappresentava all'epoca della costruzione caratteristiche di eccezionalità, sia per le dimensioni sia per l'articolazione delle strutture.[4]
Nella chiesa sono inoltre ospitati altri strumenti musicali, tra cui tre clavicembali, due realizzati da Albertino Vanini, quali copie di originali del 1697, ed uno dal francese Pascal Taskin nel 1769, oltre ad uno spinettone, creato da Barthélemy Formentelli su copia di un originale settecentesco.[4]
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