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bodhisattva della grande compassione Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Avalokiteśvara (sanscrito, devanagari अवलोकितेश्वर, anche Lokeśvara; cinese 觀音 Guānyīn Wade-Giles Kuan-yin anche 觀世音 Guānshìyīn, Wade-Giles Kuan-shih-yin; giapponese 観音 Kannon, Kwannon, o Kwannon bosatsu, anche 観世音 Kanzeon; coreano 관음 Gwan-eum anche 관세음 Gwan-se-eum; vietnamita Quán Âm [da Quán Thế Âm]; tibetano སྤྱན་རས་གཟིགས། Chenrezig Wangchug; mongolo Мэгжид Жанрайсиг, megjid janraisig, letto ca. "meghgit gianrèsik") è, nel Buddhismo Mahāyāna, il bodhisattva della grande compassione.
Se è indubbio che la figura del bodhisattva Avalokiteśvara, il bodhisattva della compassione, sia al centro di numerose pratiche religiose, meditative e di studio dell'intera Asia buddhista mahāyāna e non solo, l'origine di questa figura religiosa e del suo stesso nome è tutt'oggi controversa.
La maggioranza degli studiosi[1] ritiene oggi che questa figura origini dalle comunità buddhiste collocate ai confini nordoccidentali dell'India. Precedenti illustri sono rappresentati dalla studiosa Marie-Thérèse de Mallmann[2] che collegò questo bodhisattva buddhista persino alla tradizione religiosa iranica, mentre Giuseppe Tucci[3] lo ritenne una personificazione della qualità compassionevole del Buddha Śākyamuni.
Ma, più semplicemente, secondo Raoul Birnaum[4] nelle tradizioni mahāyāna Avalokiteśvara è:
«uno tra i molti esseri con una storia umana che furono guidati dalla dedizione e dallo sviluppo spirituale alla completa realizzazione come bodhisattva.[5]»
Sono numerosi i nomi e gli epiteti con cui viene indicato Avalokiteśvara nelle varie lingue asiatiche:
I principali e più antichi sūtra mahāyāna che trattano questa figura sono sostanzialmente tre:
ma soprattutto, per la sua larghissima diffusione in Asia, il
Il bodhisattva è inoltre colui che predica nel corpo centrale del Sutra del Cuore.
Alla figura di Avalokiteśvara è collegato, in numerose tradizioni mahāyāna quale quella relativa al Buddhismo tibetano, il mantra composto di sei sillabe Oṃ Maṇi Padme Hūṃ avente la funzione di proteggere gli esseri senzienti.
In tutte le lingue, che derivano questo termine dal Canone buddhista cinese, Guānyīn (觀音, primo termine) è un'abbreviazione di Guānshìyīn (觀世音, secondo termine), quindi nel suo significato di:
Quindi Guānshìyīn (觀世音): "Colui che ascolta i lamenti del mondo", il bodhisattva della misericordia.
Guānshìyīn è infatti indicata come 菩薩 (púsà, giapp. bosatsu) quindi nella resa del termine sanscrito di bodhisattva.
Questo nome appare per la prima volta nella traduzione dal sanscrito al cinese del Sukhāvatī-vyūha-sūtra (無量壽經 Wúliángshòu jīng, giapp. Muryōju kyō, T.D. 360.12.265c-279a) operata da Saṃghavarman nel 252.
Deve tuttavia la sua popolarità alla larga diffusione della traduzione del Sutra del Loto, operata da Kumārajīva (344-413) nel 406 con il titolo Miàofǎ Liánhuā Jīng (妙法蓮華經, giapp. Myōhō Renge Kyō, T.D. 262, 9.1c-62b), dove compare sempre come resa del nome sanscrito del bodhisattva Avalokiteśvara.
Il capitolo Guānshìyīn Púsà pǔmén pǐn (觀世音菩薩普門品, T.D. 262.9.56c2, La porta universale del bodhisattva Guānshìyīn) venticinquesimo capitolo del Sutra del Loto spiega così il nome di Guānshìyīn (sanscrito Avalokiteśvara):
«In seguito il bodhisattva Wújìnyì (無盡意, sanscrito Akṣayamati, Mente indistruttibile) si alzò dal suo seggio, scoprì la spalla destra e giungendo le mani rivolto al Buddha disse:
"Per quale ragione, o Beato, il bodhisattva Guānshìyīn è chiamato Guānshìyīn?"
Il Buddha rispose a Wújìnyì:
"Uomo devoto, se l'insieme delle numerose infinite miriadi di esseri che in questo momento stanno soffrendo udisse il nome del bodhisattva Guānshìyīn e invocasse il suo nome sarebbero liberi da ogni sofferenza"»
L'adozione del nome Guānyīn (觀音) al posto di Guānshìyīn (觀世音) fu imposta dall'imperatore Gāozōng (高宗, conosciuto anche come Lǐzhì, 李治, regno: 649-83) che emise un editto in base alla normativa sui nomi proibiti (避諱 bìhuì) ordinando di omettere il carattere 世 (shì) dal nome della bodhisattva[9]. Tuttavia le altre forme continuarono ad essere comunque utilizzate.
Guānshìyīn è la resa in lingua cinese del termine sanscrito Avalokiteśvara[10], nome del bodhisattva mahāyāna della misericordia.
Nella sua evoluzione di significati, tuttavia, Guānyīn ha acquisito delle peculiarità tradizionali tipiche del popolo cinese e degli altri popoli dell'Estremo Oriente in cui il culto di questo bodhisattva si è diffuso. Se, ad esempio, Avalokiteśvara veniva prevalentemente rappresentato in India[11] nelle sembianze maschili, in Cina esso è stato progressivamente raffigurato come una donna[12].
Sempre in Estremo Oriente, Guānyīn è rappresentato in trentatré differenti forme seguendo in questo l'elenco presentato nel venticinquesimo capitolo Sutra del Loto.
In una di queste forme, Guānyīn viene raffigurata con una lunga veste bianca (in sanscrito, questa forma viene denominata Pāṇḍaravāsinī-Avalokitêśvara, Avalokitêśvara vestito di bianco, in cinese 白衣觀音 Báiyī Guānyīn), sostenuta da un loto dello stesso colore. Spesso con una collana delle famiglie reali indocinesi.
Nella mano destra può reggere un vaso o una brocca (kalaśa) contenente il nettare dell'immortalità (amṛta cin. 甘露 gānlòu) che rappresenta il nirvāṇa.
In un'altra forma, nella mano sinistra regge un ramo di salice (in quest'ultimo caso viene denominata 楊柳觀音 Yángliǔ Guānyīn) simbolo della sua volontà di 'piegarsi' alle richieste degli esseri viventi.
La corona generalmente riporta un'immagine del buddha cosmico Amitābha (阿彌陀 Āmítuó, giapp. Amida) il maestro spirituale di Guānyīn prima che divenisse un bodhisattva oppure ritenendo Guānyīn un'emanazione compassionevole e diretta del potere di Amitābha.
A volte Guānyīn è accompagnata dai suoi due discepoli: Lóngnǚ (龍女, sanscrito Nāgakanyā, principessa dei Nāga) e Shàncái (善財, sanscrito Sudhana).
Una delle forme più diffuse, non solo in Cina, del bodhisattva Avalokiteśvara-Guānyīn è nella sua forma di Sahasrabujia (sanscrito, cin. 千手觀音Qiānshǒu Guānyīn, giapp. Senshu Kannon) ovvero con mille braccia (quattro in evidenza e miriadi di braccia sullo sfondo) le cui mani contengono un occhio. Ci sono diversi sutra che trattano di questa figura tra cui il Nīlakaṇṭha-dhāraṇī (tra le versioni il 千手千眼觀世音菩薩大悲心陀羅尼, Qiānshǒu qiānyǎn guānshìyīn púsà dàbēixīn tuóluóní) per lo più conservati nel Mìjiàobù (T.D. dal 1057 al 1064). Il significato di questa rappresentazione (molteplicità degli occhi e delle braccia) inerisce al ruolo di mahākaruṇā (sanscrito, cin. 大悲 dàbēi, Grande compassione) rappresentato da questo bodhisattva pronto a raccogliere le richieste di aiuto di tutti gli esseri.
Questa rappresentazione è accompagnata ad un'altra che vuole Guānyīn con undici volti (sans. Ekādaśa-mukha Avalokiteśvara, cin. 十一面觀音 Shíyī miàn Guānyīn ). Anche in questo caso vi sono molti sutra dedicati come il Avalokitêśvara-ekadaśamukha-dhāraṇī (十一面觀世音神呪經 Shíyīmiàn guānshìyīn shénzhòu jīng, T.D. 1070.20.149-152). Il significato di questa rappresentazione appartiene per lo più al Buddhismo esoterico, ma alcune leggende vogliono che alla vista delle sofferenze degli esseri confinati negli inferni, Guānyīn si spaccò la testa dal dolore in undici parti. Amitābha tramutò questi frammenti in singole teste di cui la decima è demoniaca (per spaventare i demòni) mentre l'undicesima è il volto dello stesso Amithāba di cui Guānyīn è un'emanazione. Un'interpretazione simbolica meno leggendaria vuole che i dieci volti collocati insieme al volto di Guānyīn indichino i dieci stadi (sans. daśa-bhūmi, cin. 十住 shízhù) del percorso del bodhisattva che si concludono con lo stadio della buddhità (indicato come 灌頂住 guàndǐng zhù).
Insieme al Buddhismo, il culto di Guānyīn fu introdotto in Cina agli inizi del I secolo d.C., e raggiunse il Giappone attraverso la Corea subito dopo essersi stabilito nel Paese alla metà del VII secolo. Le rappresentazioni del bodhisattva in Cina prima della dinastia Song erano maschili; immagini successive mostravano attributi di entrambi i sessi e ciò in accordo con il venticinquesimo capitolo del Sutra del Loto dove Avalokiteśvara ha il potere di assumere ogni forma o sesso al fine di alleviare le sofferenze degli esseri senzienti:
«Se essi [gli esseri viventi] hanno bisogno di un monaco o di una monaca, di un credente laico o di una credente laica per essere salvati, egli [Guānshìyīn] diviene immediatamente un monaco o una monaca, un credente laico o una credente laica e predica la dottrina.»
e può essere invocato/a per ottenere dei figli:
«Se una donna desidera generare un figlio maschio, dovrebbe tributare rispetto e offerte a Guānshìyīn; potrà così dare alla luce un figlio dotato di meriti, virtù e saggezza. Se invece desidera generare una figlia, darà alla luce una bambina dotata di grazia e avvenenza, una fanciulla che in passato ha piantato radici di virtù ed è amata e rispettata da tutti.»
per questo il bodhisattva è considerato la personificazione di compassione e bontà, un bodhisattva-madre e patrona delle madri e dei marinai.
Le rappresentazioni in Cina divennero tutte femminili intorno al XII secolo.
In età moderna, Guānyīn è spesso rappresentata come una donna bellissima con una veste bianca.
Il culto di Avalokiteśvara nella tradizione del Canone buddhista tibetano, nel suo aspetto maschile, si diffonde sia in Nepal che in Tibet a partire dal VII secolo.
In Tibet, Avalokiteśvara/Chenrezig diventa rapidamente il protettore del paese e il re Songtsen Gampo verrà considerato una sua emanazione. Le storie leggendarie del Mani bka'-'bum ("Le centomila parole del gioiello"), un'opera "terma" (tib. gTer-ma; opera a carattere esoterico) che racconta le origini del popolo tibetano nato dall'amore fra una demonessa e una scimmia (che altri non è che un'emanazione di Avalokiteśvara), sono in parte all'origine di tanto fervore.
In seguito numerosi maestri, in Tibet, verranno considerati sue emanazioni; ad esempio il Dalai Lama (capo politico del Tibet indipendente, nonché guida spirituale della scuola gelugpa del buddhismo tibetano) e il Karmapa (capo del lignaggio Karma Kagyü della scuola kagyupa), in tutte le loro reincarnazioni, sono considerati emanazioni di Chenrezig.
Avalokiteśvara è considerato il bodhisattva che agisce per il bene degli esseri senzienti nel periodo compreso tra il parinirvāṇa del Buddha Sakyamuni e l'avvento del Buddha Maitreya.
Nel romanzo cinese Il viaggio in Occidente, parodia delle gerarchie dei potenti dell'Impero Cinese pubblicato anonimo per sfuggire alla censura nel 1590, la Bodhisattva Avalokitesvara compare come personaggio col suo nome cinese Guanyin, dove è una delle consigliere dell'Imperatore di Giada, ma il ritratto non è dei migliori dato che viene descritta come una vecchia rompiscatole e ficcanaso; sarà lei a consigliare all'Imperatore di Giada il personaggio dello Scimmiotto di Pietra come adatto ad accompagnare il monaco buddista Sanzang che lei stessa ha incaricato di viaggiare verso l'India (da cui il titolo dell'opera) per recuperare i testi canonici religiosi non disponibili in Cina.
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