Utente:Vincenzo80/Qing
Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
La dinastia Qing (1636–1912), l'ultima dinastia della Cina imperiale, fu fondata sulla conquista e mantenuta dalla forza armata. Gli imperatori fondatori organizzarono e guidarono personalmente i loro eserciti e nei secoli successivi la legittimità culturale e politica della dinastia dipese dalla capacità di difendere il paese dalle invasioni ed espanderne il territorio. Le istituzioni militari, oltre alla capacità di governare, furono fondamentali per il successo iniziale e cruciali nel decadimento finale della dinastia Qing.
![Thumb image](http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d4/The_Qianlong_Emperor_in_Ceremonial_Armour_on_Horseback.jpg/640px-The_Qianlong_Emperor_in_Ceremonial_Armour_on_Horseback.jpg)
![](http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/thumb/d/d6/1leftarrow_blue.svg/18px-1leftarrow_blue.svg.png)
Esercito cinese dei Qing | |
---|---|
![]() | |
Descrizione generale | |
Attiva | XVIII secolo - XX secolo |
Nazione | ![]() attuali ![]() ![]() ![]() |
Servizio | Forza armata |
Tipo | forze armate di fanteria, cavalleria e navali |
Ruolo | Difesa nazionale |
Dimensione | circa 1 000 000 (Prima guerra sino-giapponese) |
Battaglie/guerre | Transizione tra Ming e Qing; Dieci grandi campagne; Guerre dell'oppio; Prima guerra sino-giapponese |
Parte di | |
Imperatore Ministro della guerra | |
Reparti dipendenti | |
Otto Bandiere Guardia imperiale Esercito dello Stendardo Verde Flotta del Pei-yang Nuovo Esercito (Corpo d'armata del Pei-yang) | |
Comandanti | |
Degni di nota | Dorgon Qing Qianlong Zeng Guofan |
Vedi bibliografia | |
Voci su unità militari presenti su Wikipedia |
L'originale organizzazione militare degli Jurchen-Qing si basava sulle c.d. "Otto Bandiere" (mnc. Jakūn gūsa; zh. 八旗T, BaqíP), un'istituzione ibrida che svolgeva anche ruoli socio-politici[1] sviluppata nel 1601 e formalizzata nel 1615 dal khan Nurhaci (r. 1616–1626), già vassallo della dinastia Ming (1368–1644) allora regnante in Cina e retrospettivamente riconosciuto fondatore dei Qing. Suo figlio Huang Taiji (r. 1626–1643) ribattezzò gli Jurchen "Manciù", incorporò nel sistema delle Bandiere prima soldati mongoli e poi cinesi-Han (mnc. Nikan cooha; zh. 漢軍T, HànjūnP, lett. "Cinesi [Han] militari") con le truppe Ming che s'arresero o disertarono ai Qing tra il 1636 ed il 1644. Dopo il 1644, le truppe cinesi Ming passate ai Qing furono integrate dal principe Dorgon (r. 1643–1650) nell'Esercito dello Stendardo Verde, un corpo in cui effettivi alla fine superarono in ratio 3:1 le forze mancesi delle Bandiere.[2]
L'uso della polvere da sparo durante il primo periodo Qing (o "Alto Qing"), appreso dal confronto/scontro con i Ming, rese la neonata dinastia capace di competere con i c.d. "Imperi della polvere da sparo" dell'Asia occidentale (i.e. Impero ottomano, Impero safavide e Impero moghul).[3][4] I principi mancesi della casata Aisin Gioro guidarono le Bandiere nella sconfitta degli eserciti Ming ma dopo la fine delle ostilità (1683), sia le Bandiere sia lo Stendardo Verde iniziarono a perdere d'efficienza. Stanziati nelle città, i soldati Qing avevano infatti poche occasioni per esercitarsi ed erano suscettibili di corruzione ed altre malversazioni. I Qing usarono comunque armamenti e logistica superiori per espandersi profondamente nell'Asia centrale, sconfiggere i mongoli Zungari nel 1759 e completando la conquista cinese dello Xinjiang.
Nonostante il fulgore dinastico delle c.d. "Dieci grandi campagne" dell'imperatore-soldato Qing Qianlong (r. 1735–1796), il pur numericamente consistente esercito Qing (ormai 800.000 uomini, di cui 600.000 dello Stendardo Verde e 200.000 delle Bandiere)[2] divenne in gran parte inefficace entro la fine del XVIII secolo. Ci vollero infatti a Pechino quasi dieci anni ed un enorme sperpero fiscale per sconfiggere la mal equipaggiata Ribellione del Loto Bianco (1795–1804), in parte legittimando milizie guidate dalle élite cinesi Han locali.[5] La tecnologia militare della rivoluzione industriale europea rese poi rapidamente obsoleti gli armamenti e, di conseguenza, le forze armate Qing nel confronto con le sempre più aggressive potenze coloniali occidentali:[3] es. nella Prima guerra dell'oppio (1840–1842) le cannoniere della Royal Navy costrinsero rapidamente alla resa le forze Qing.
Nella seconda metà del XIX secolo, il potere militare Qing collassò. La Rivolta dei Taiping (1850–1864), una guerra civile di vasta portata iniziata nel sud della Cina, portò forze ostili a poche miglia da Pechino (1853) senza che l'esercito imperiale potesse fare alcunché, con la Corte mancese costretta a lasciare che i suoi governatori di etnia Han, guidati inizialmente da Zeng Guofan, formassero eserciti regionali. Questo nuovo tipo di esercito e leadership sconfisse i ribelli ma segnò la fine del dominio dei Manciù sull'establishment militare. Nel 1860 le forze britanniche e francesi nella Seconda guerra dell'oppio (1856–1860) conquistarono Pechino e saccheggiarono il Palazzo d'Estate. La Corte, scossa, tentò di modernizzare le sue istituzioni militari e industriali acquistando la tecnologia europea. Questo movimento di autorafforzamento fondò cantieri navali (in particolare l'Arsenale di Jiangnan e l'Arsenale di Foochow ) e acquistò cannoni e corazzate moderne in Europa. La marina Qing divenne la più grande dell'Asia orientale ma l'organizzazione e la logistica furono inadeguate, la formazione degli ufficiali carente e la corruzione diffusa. La Flotta del Pei-yang fu praticamente distrutta e le forze di terra modernizzate furono sconfitte nella Prima guerra sino-giapponese (1894–1895). I Qing crearono allora il c.d. "Nuovo Esercito" ma non poterono impedire all'Alleanza delle otto nazioni di invadere la Cina per reprimere la Ribellione dei Boxer nel 1900. La Rivolta di Wuchang nel 1911 che vide coinvolte proprie le forze del Nuovo Esercito aprì la Rivoluzione cinese che pose fine all'impero della dinastia Qing.