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Nella città di Venezia, per scuola (scritto anche in alternativa scola o anche schola) si intende sia un'antica associazione, di carattere devozionale o corporativo, sia l'edificio che ne costituisce la sede. Per estensione il termine scola è stato destinato nominare le varie sinagoghe presenti a Venezia.
È piuttosto difficile definire precisamente i contorni delle loro funzioni istituzionali, della loro organizzazione, la loro varietà ed i vincoli legislativi a cui erano sottoposte proprio per la loro secolare storia, iniziata attorno alla metà del Duecento e terminata repentinamente per tutte, tranne che per poche eccezioni, con i decreti napoleonici del 1806-1807.
Se le Scuole Grandi (e alcune delle cosiddette Scuole Piccole ) hanno lasciato una cospicua eredità, particolarmente percepibile ancora oggi soprattutto in termini di produzione artistica (i sontuosi edifici e le opere d'arte pittorica – alcune ancora in loco, altre sparse in numerosi musei –) per la maggior parte delle Piccole i contorni del fenomeno appaiono più sfumati per il pubblico e non sono immediatamente riconoscibili – e riconducibili a queste istituzioni minori – le numerose opere offerte per gli altari nelle chiese o per le proprie sedi.
E comunque il vero soggetto che abbraccia, in primis, i ruoli sociale, politico e religioso oltre a quello artistico, oggi ancora visibile, costituisce ancora un soggetto di studio in piena esplorazione.
Va detto che un tempo a Venezia qualsiasi associazione era detta Scuola: erano un modo tutto veneziano di concepire l'associazionismo, fossero scuole dedicate all'assistenza o alla devozione oppure alle corporazioni delle arti o perfino irregolari. Per esempio anche un gruppo di carcerati dei piombi costituì la propria Scuola di santa Maria delle Grazie presso una saletta detta "la Giustiniana", questa ha potuto sopravvivere per almeno un secolo tra il Seicento ed il Settecento lasciandoci una discreta documentazione nei libri con le regole e quelli di cassa[1].
Proprio perché erano costituite dal ceto non nobile (cittadini benestanti ma anche plebei), il patriziato veneziano vedeva favorevolmente la struttura delle Scuole e le considerava funzionali all'organizzazione oligarchica della Repubblica. Lo spirito delle Scuole era fondato su una specie di religione di patria ed erano strutturate secondo i modelli della Repubblica[2]. Con questo erano anche utili al mantenimento della pace sociale autorizzate com'erano a eleggersi rappresentanti e dirigenti e prendere decisioni, in una parvenza di piccola democrazia tanto da essere definite dal Andrea Memmo piccole repubbliche[3]. Per di più le Scuole si facevano carico di tutte le questioni di previdenza e assistenza sociale, lasciando allo stato solo il controllo dei vari Ospitali. Anche dal punto di vista finanziario erano utili, le Arti erano delegate alla raccolta delle imposte tra i propri soci[4], e tutte le Scuole contribuirono generosamente al finanziamento della Repubblica durante le guerre contro i Turchi[5] e prima di allora anche durante i conflitti contro i Carraresi di Padova[6]. Inoltre, nelle lunghe e fastose processioni, contribuivano a conferire agli occhi dignitari stranieri un'immagine di Venezia opulenta e potente.
La Repubblica (ovvero l'oligarchia veneziana) cercava di tenere gelosamente sotto il proprio controllo l'istituzione e l'attività delle scuole, sebbene fossero libere di nascere su base volontaria. A parte gli inizi più nebulosi nella documentazione pervenutaci che vede come principale controllore la Giustizia Vecchia, successivamente il controllo risultò affidato al Consiglio dei Dieci che a sua volta nel 1507[7] si tenne l'esclusiva di autorizzare la nascita di nuove scuole ed delegando ai Provveditori de Comun l'approvazione delle Mariegole (statuti) ed i successivi controlli.
Per le Scuole a carattere devozionale il controllo doveva essere rigoroso secondo il principio, allora ancora inespresso, di separazione fra gli affari dello stato e le prerogative della chiesa: ne furono una prova le radicali correzioni volute dal Consiglio dei X nel 1475 alla mariegola della Scuola di San Nicolò da Tolentino per quanto fosse stata approvata e lodata in precedenza dal Patriarca, o proprio per questo[8]. Una volta approvata la mariegola, le Scuole erano tenute a registrare da un notaio gli accordi presi con la chiesa parrocchiale o conventuale presso cui si erano istituite: l'utilizzo di un altare, le messe periodiche, gli spazi per la sepoltura di confratelli, l'alloggiamento di un banco per riporre gli arredi di proprietà, etc.[9]
La verifica era ancor più complessa per le Scuole delle Arti. Queste dovevano sottostare anche alle altre magistrature preposte agli specifici mestieri o all'approvvigionamento delle materie prime. A titolo di esempio i Pistori (fornai) ed gli Scaleteri (pasticceri) dipendevano anche dai Provveditori alle Biave e dagli Ufficiali al Frumento mentre gli Stampatori e Librai dipendevano anche dai Riformatori dello Studio di Padova e dagli Esecutori contro la Bestemmia per le pubblicazioni e di nuovo dalla Giustizia Vecchia per i contratti con i garzoni.[10]
Il 2 gennaio 1532 il Collegio dei Cinque Saggi sopra le Mariegole, una commissione delle magistrature veneziane, dopo aver accertato che i testi di alcune mariegole erano stati alterati con cancellature e correzioni ed anche con l'eliminazione di più pagine, ordinò che tutte le mariegole fossero ricopiate e depositate a cura della Giustizia Vecchia per le scuole grandi e dei Provveditori de Comun per quelle piccole, le arti ed i traghetti. Il termine stabilito era di un anno ma bisognò attendere due secoli quando i Provveditori de Comun, ripresa l'iniziativa, nel 1728, finirono la raccolta in dodici volumi di 1000 pagine ciascuno[7].
Accadeva comunque che venissero istituite scuole irregolari, soprattuto presso le chiese conventuali. Il Consiglio dei Dieci doveva intervenire a posteriori in un modo o nell'altro: nel 1563 soppresse una serie di non meglio identificate scuole di putti e nel 1595 avviò la regolarizzazione della Scuola di San Giacinto istituita presso la chiesa di San Domenico. Nel Settecento la situazione peggiorò e nonostante i Dieci avessero dichiarato nel 1732 di non autorizzare più alcuna nuova scuola nel 1742 si trovarono a consentire sei mesi di tempo per regolarizzare le confraternite che si erano invece formate. Neanche questo bastò tant'è che nel gennaio 1765 il Consiglio affidò un'accurata indagine ai Provveditori de Comun. I risultati presentati due mesi dopo furono sorprendenti: vennero accertate ben 230 scuole abusive. Di queste 80 vennero regolarizzate e 150, definite Capitelli, vennero sopresse.[11]
Tutte le scuole eleggevano annualmente i propri organi di governo. Ai vertici era il Gastaldo o Guardian Grando, assistito da un Vicario e in alcuni casi da un Guardian de Matin, c'erano poi il massaro (l'economo) e lo scrivano o cancelliere (il segretario che doveva redigere i verbali), i consiglieri de Zonta (di Giunta) e i sindaci. L'assieme di tutti questi rappresentanti era definito Banca. Per essere rieletti alle cariche maggiori era obbligatorio rispettare la contumacia, una pausa di un'anno o più. In alcune scuole venivano eletti due nuovi consiglieri sei mesi dopo il rinnovo della Banca, che avevano lo scopo di aiutare nei passaggi di consegne i nuovi eletti nelle votazioni successive[12].
Per iscriversi ad una Scuola di devozione bastava aver compiuto i quindici anni[13], più complessa era l'iscrizione ad una Scuola di Arti che richiedeva anni di apprendistato ed un esame[14] e in alcuni traghetti era necessario avere almeno quarant'anni[15].
Contrariamente a quanto si crede, le donne erano ammesse, salvo rare eccezioni come per la Scuola dei Mascoli [16]. Tuttavia erano escluse dalle cariche direttive anche nelle poche scuole di sole donne. Solo con le citate regolarizzazioni del 1766, fra cui erano presenti alcune scuole di sole donne, venne finalmente consentito di potersi amministrare autonomamente[13]. Gia prima comunque pare fosse emersa, qua là, la necessità di assegnare una qualche, non meglio precisata, rappresentatività ad una donna: per esempio il 28 febbraio 1362 la Scuola di Lucchesi stabiliva che ci fosse una Gastalda per le donne, il 10 marzo 1493 la Scuola di Santo Stefano decise di eleggere una Gastalda[17] e negli atti del 21 febbraio 1498 della Scuola degli Albanesi venne scritto che la Gastalda con le compagne parteciperà portando candele alla processione dei patroni[18].
L'accesso di sacerdoti e religiosi era decisamente interdetto a meno che non praticassero qualche Arte ed in quel caso non potevano aver ruoli elettivi. Faceva eccezione il Sovvegno di Santa Cecilia, composto esclusivamente da musicisti marciani, in cui non venivano posti limiti e differenze[12]. Tuttavia, nonostante la vecchia restrizione, nelle regolarizzazioni del 1766 su 80 scuole ammesse ben 26 erano di soli sacerdoti[19].
Anche per i patrizi veneziani era previsto il divieto di essere iscritti ad una Scuola sebbene fossero spesso ricercati dalle confraternite devozionali spesso come «protettori». In questi casi, ammessi come eccezionali, non potevano coprire cariche sociali e dovevano essere iscritti nella categoria separata detta nobiliorum pagando delle quote maggiorate[20].
Sebbene tutte fossero istituite sotto il patronato di uno dei vari titoli di Cristo e di Maria oppure di un Santo, la loro funzione poteva essere di stretto carattere devozionale di preghiera o unita ad attività caritatevoli o di mutuo soccorso, oppure di carattere corporativo. Le prime Scuole (sia di devozione che di qualche arte) iniziarono a formarsi nel XIII secolo[21] sebbene l'uso fosse più antico: la Scuola Grande di San Teodoro vantava le proprie origini in una congregazione di San Teodoro, poi cessata, risalente all'ottavo secolo[22].
Nei secoli successivi le scuole arrivarono ad essere alcune centinaia[23]. Marin Sanudo già nel 1501 ne contò 210, oltre alle 5 allora considerate grandi, presenti nella processione per i funerali del Cardinale Zen[24] ma appena dopo, soltanto per citare un gruppo dal titolo omogeneo, nacquero numerose Scuole del Santissimo Sacramento destinate a coprire tutte le parrocchie veneziane, sopratutto nella prima metà del Cinquecento[25]. Come queste ne nacquero molte altre ancora fino agli ultimi anni della Repubblica: l'8 febbraio 1797 la Compagnia laicale del miracoloso Crocifisso di Poveglia chiese ai religiosi di San Nicolò della Lattuga l'uso dell'oratorio per riunirsi in capitolo e il 5 aprile dello stesso anno furono autorizzati dai Provveditori de Comun[26].
Durante tutto questo periodo alcune Scuole il cui scopo principale era quello di commemorare i defunti si definirono Suffragi, altre per rendere più efficiente il muto soccorso tra agli associati si sdoppiarono come Sovvegni, altre per aver una maggiore prestigio cercarono di definirsi Arciconfraternite[21].
La stragrande maggioranza delle Scuole erano di questo tipo. Soltanto alcune nel tempo, comprese ovviamente quelle che diventeranno le Grandi, sentirono la necessità di dotarsi di una sede propria e soltanto alcune poterono costruire edifici maestosi e riccamente arredati. Le altre si limitarono ad erigere o adottare un altare presso la chiesa (parrocchiale o conventuale) a cui erano legate, installarvi dei banchi (piccoli armadi) per poter riporvi i propri arredi liturgici ed i propri libri ed anche acquistare delle arche (spazi per le tombe, nelle chiese o nei chiostri e portici delle stesse) per seppellirvi i confratelli.
Le prime furono prevalentemente dedicate al santo titolare o contitolare della chiesa presso cui si costituirono o più raramente qualche titolo di Maria o di Gesù, che invece prevalsero a partire dal XV secolo. Nel Cinquecento, soprattutto nella prima metà, nacquero le Scuole del Santissimo Sacramento alcune sostituendo o accorpando devozioni già esistenti ma per lo più ex novo. Erano presenti in tutte le settanta parrocchie originarie di Venezia, ma non presso le chiese conventuali. Il loro scopo era quello di accompagnare il viatico per i moribondi e di provvedere l'olio per mantenere sempre accesa la lampada sull'altare del Santissimo[25]. I Provveditori de Comun dovettero intervenire spesso in merito alle liti sull'ordine delle varie scuole nelle processioni parrocchiali finché nel Settecento stabilirono che la precedenza spettava alla Scuola del Santissimo seguite dalle altre presenti nella parrocchia in ordine di data di fondazione[27].
Lo scopo delle scuole era essenzialmente caritatevole e di mutua assistenza: al momento dell'iscrizione il nuovo associato doveva giurare sulla mariegola l'impegno ad ad assistere i confratelli, soprattutto se in malattia o moribondi ed ad accompagnarne i funerali[28]. Un altro dovere era la partecipazione alla processione del patrono e delle altre feste comandate. Un argomento particolarmente sensibile per i confratelli erano le sepolture e le varie Scuole si premuravano di acquistarne gli spazi (le allora cosiddette Arche) all'interno della chiesa a cui erano collegate ed anche talvolta nei chiostri dei conventi[29] o in alternativa sotto i portici all'ingresso del tempio (successivamente quasi scomparsi).
Un uso molto diffuso nelle scuole era quello di assegnare, delle grazie (doti) alle donzelle che si sposavano o che prendevano i voti monacali. Gli importi ed il numero delle grazie era variabile e dipendeva dalla disponibilità delle scuole. La scelta avveniva a sorteggio: dentro un'urna venivano poste tante palline dorate quante erano le doti e altre neutre fino a raggiungere il numero delle candidate e, fra queste, colei che pescava la bala de oro veniva gratificata della dote[30].
Le Scuole venivano anche sollecitate dalle autorità a versare aiuti per chiese o conventi in difficoltà ed anche per altre scuole: furono ad esempio obbligate a pagare un tassa (in vigore fino alla fine della Repubblica) per il mantenimento delle suore profughe da Candia a seguito l'invasione turca[19] o ad aiutare i Servi di Maria nella ricostruzione del convento incendiato (1766) o versare un aiuto all'Ospitale di Derelitti (1793)[31] e soprattutto a contribuire (per un totale complessivo di 200 ducati) alle spese della Scuola del Corpus Domini per la solenne processione (1699)[32].
Nate come le altre Scuole devozionali, alcune, fondate come confraternite di battuti, risultano ufficialmente riconosciute come Scuole Grandi (scolae magnae) in una deliberazione del Consiglio dei X datata 17 aprile 1467[33][34]. Inizialmente erano solo quattro, tutte istituite tra il 1260 ed il 1261: Scuola Grande di San Marco, la Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, la Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia e la Scuola Grande di Santa Maria della Carità, unica di cui conosciamo sicuramente la data di elevazione a Grande, il 1344[35]. Quasi un secolo e mezzo dopo venne accolta tra queste la Scuola Grande di San Rocco e nel 1558, sebbene tra queste fosse più antica di fondazione (1258), la Scuola Grande di San Teodoro completò il gruppo delle sei Scuole Grandi storiche. Più tardi vi si aggiunsero la Scuola Grande di Santa Maria della Giustizia e di San Girolamo (nota come Scuola Grande di San Fantin nel 1687)[36] e per ultime la Scuola Grande della Beata Vergine del Santissimo Rosario (1765)[37] e la Scuola Grande dei Carmini (1767)[38].
Il funzionamento e l'organizzazione delle Grandi non era dissimile da quello delle piccole se non per la maggiore disponibilità finanziaria ed il conseguito superiore prestigio. Venivano infatti autorizzate dalle autorità non solo negli investimenti per i prestigiosi edifici e la loro decorazione in quanto erano comunque in grado di garantire la continuità nelle attività caritatevoli istituzionali ma anche nello sfarzo con cui presentavano nelle grandi processioni cittadine. A questo proposito, nel 1732, i Provveditori si erano espressi precisando che soltanto le Grandi (oltre quelle allora considerate di particolare interesse, cioè quelle del Rosario, dei Carmini e della Madonna della Cintura e le varie Scuole del Santissimo Sacramento) potessero presentarsi in modo consono al loro prestigio, mentre tutte le altre dovessero adeguarsi a modestia e sobrietà, accompagnate da solo quattro torce[39].
Dello sfarzo eccezionale di queste processioni ci sono rimaste alcune relazioni. In quella fatta nel per accogliere e stupire gli ambasciatori giapponesi diretti a Roma tutte le grandi si presentarono con elegantissime tonache e allestirono dei palchi per sorreggere un figurante nelle vesti del santo protettore cui seguivano altri con piramidi di argenterie ed anche delle fanciulle variamente ingioiellate impersonanti Venezia, il tutto attorniato dai multicolori stendardi, candelabri e croci astili[40].
Dei ricchi edifici delle Scuole Grandi non sono sopravvissuti quella della Carità, radicalmente snaturata per adattarla, assieme agli attigui convento e chiesa, a museo e Accademia di Belle Arti (ora nelle disponibilità solo delle Gallerie dell'Accademia), e quella del Rosario, devastata da un incendio nel 1858 e la cui aula, di nuovo ornata con opere provenienti da diversi edifici dismessi, forma attualmente la Cappella del Rosario della Basilica di Santi Giovanni e Paolo.
Delle altre Grandi solo quella di San Rocco riuscì completamente ad evitare la soppressione napoleonica, quella dei Carmini sopravvisse ridotta ne suo status e solo nel 1853 riuscì a ricostituirsi come arciconfraternita e a ritornare in possesso della sede ancora integra delle opere d'arte. Quella di San Giovanni Evangelista fu ricostituita nel 1929 e quella di San Teodoro soltanto nel 1960[41]. La Scuola di San Fantin venne spogliata degli arredi sacri, ma riuscì a conservare buona parte delle decorazioni pittoriche, e concessa alla Veneta Società di Medicina nel 1811, attraverso varie fusioni dei questa società divenne l'attuale e ancora attivo Ateneo Veneto di Lettere, Scienze ed Arti. La Scuola Grande di san Marco, spogliata di tutte le opere d'arte e degli arredi sacri divenne, assieme al convento dei domenicani, a quello di Santa Maria del Pianto e all'Ospitale dei Mendicanti, l'attuale sede dell'Ospedale Civile di Venezia. Nel 2013 la ULSS3 ha collocato delle copie digitali dei dipinti ormai dispersi tra vari musei e riaperto le sale storiche[42]. Quanto alla Scuola Grande della Misericordia, ormai spogliata delle opere d'arte tranne che degli affreschi, dopo essere stata usata come palazzetto dello sport e poi chiusa per anni, restaurate e consolidata viene utilizzata dal 2016 come sede di eventi e mostre[43].
+++ [Erasmo da Rotterdam, Colloqui, Funus ("Il funerale"), con un tono fra il distaccato e lo scettico. "Mi ha fatto ridere", scrive, "quella loro inutile pompa, quello sfarzo da poveretti", in occasione delle esequie di un qualsiasi ciabattino, accompagnato da seicento confratelli e da alcuni ecclesiastici[44]]
+++ v.anche Gianmario Guidarelli, Le Scuole Grandi veneziane nel XV e XVI secolo : reti assistenziali, patrimoni immobiliari e strategie di governo
xxxx In queste Scuole l'elezione alle cariche non era riservata ai confratelli ma allargata a tutti i parrocchiani e l'assunzione dell'incarico era obbligatoria[45]. A differenza delle altre Scuole, ed ugualmente alle consimili Confraternite del Santissimo presenti in tutto il Regno Italico, non finirono sotto la scure dei decreti napoleonici e – seppure riformate nel loro status, accorpate e ridotte di numero in funzione della riorganizzazione delle parrocchie stabilite dai regolamenti – continuarono a sopravvivere.
VEDI SPECFICITà IN Catherine Puglisi e William L. Barcham in Passion in Venice (pp. 19 SEGG)
*** per tedeschi e greci v, anche Giuseppe Trebbi???
Le scuole "nazionali" associavano cittadini di altre signorie o stati come i Lucchesi[46], i Fiorentini[47], i Genovesi[48], i Milanesi, gli Armeni[49], i Greci[50] ed i Tedeschi ma anche ma provenienti da piccole aree come la Scuola dei Voltolini (riservata agli originari della Valtellina)[51] o la Scuola della Sedrina (originari di Sedrina nel comasco)[52]. Se le maggiori tra queste, in cui avevano una partecipazione rilevante i mercanti, mantenevano una certa rilevanza nei rapporti commerciali e diplomatici dei domini di origine con Venezia, nelle piccolissime scuole come quella dei Voltolini lo scopo molto sentito e rilevante era quello di assicurare esequie e sepolture dignitose a individui deceduti lontano dai luoghi originari[53].
Un ruolo particolarmente importante tra le Scuole di stranieri italiani l'ebbe la Scuola dei Milanesi. Da una parte provvedeva gratuitamente al delicato compito di corriere, da e per Milano, della corrispondenza del Doge, dall'altro solo chi ne fosse già stato Priore poteva essere nominato console veneziano a Milano.[54]
La folta comunità tedesca, che già possedeva un proprio grande Fontego in cui incontrasi, fondò la Scuola dei tedeschi della "Zoia Restada" fusasi nel 1577, dopo la pestilenza, con l'altra Scuola dei Tedeschi dedicata a Santa Maria del'Umiltà[55]. I tedeschi crearono anche diverse altre confraternite legate alle arti e mestieri ma particolarmente caratterizzate dalla nazionalità e prevalentemente di carattere devozionale e destinate all'assistenza degli associati: Scuola dei Calegheri Tedeschi[56], Scuola dei Pistori Tedeschi[57], Scuola dei Fustagneri Tedeschi[58], Scuola dei Batioro Alemanni[59] oltre che a due strettamente legate all'attività del Fontego quella dei Bastasi [60] e quella dei Ligadori [61].
Esistevano inoltre scuole riservate ai sudditi veneziani provenienti dai domini dello Stato da Tera come i Friulani[62] ed i Bergamaschi[63] e dello Stato da Mar come gli Albanesi[64] e i Dalmati. La Scuola di San Giorgio e Trifone di questi ultimi riuscì a sopravvivere alle soppressioni napoleoniche ed è tuttora attiva nella sede originaria[65].
Un caso particolare per la microscopica provenienza geografica fu la Scuola dei Povegioti formata dai profughi dall'isola lagunare di Poveglia che avevano rifiutato di sottomettersi ai Genovesi durante la Guerra di Chioggia. Fondata nel 1410 e proseguita per diversi secoli dagli eredi fino alla caduta della Repubblica, mantenne diversi privilegi come l'incontro privato annuale con il Doge e la partecipazione con una propria barca alla festa dello Sposalizio col Mare[66].
++++ vedi pure differenza arte/scuola/corporazione (Giorgetta Bonfiglio Dosio)
arti meccaniche e nobili
*** nate nel XIII sec e organizzate sul modello delle devozionali
*** praticantato ed esame
**** a differenza delle altre scuole erano anche soggette al controllo delle varie magistrature, spesso più d'una, sotto le cui competenze rientravano le professioni svolte.
*** Varibilità potere e sospensione tra nobile "mercatura" e arti meccaniche (su circa 500.000 ducati di investimenti nel 1527 per 442 botteghe dei marzeri la più ricca ne deteneva 60.000 e i due terzi delle altre erano sotto i 500 ducati[44])
*** le sciuole di Arti e mestieri dovevano (assieme alle scuole grandi) fornire contingenti di galeotti in caso di guerra (legge del 1539)+censimento 1595 per poter sorteggiare 9.000 galeotti, ma i sorteggiati riuscivano a farsi sostituire a pagamento dai più poveri oppure (nel caso delle ricche scuole dei Marzeri o dei Gioiellieri) patteggiare con la Milizia da mar una forma diversa di contribuzione[44]
*** un caso particolare, non propriamente categorizzabile con quelle puramente devozionali, nazionali o professionali, erano quelle che associavano i singoli individui in base alle loro condizioni come la Scuola dei Zotti (Citate in riferimento agli ospizi[67] vedi anche limitazioni per controllo mendicità del 1542[68]), la Scuola dei Orbi destinate agli invalidi per servizi resi alla Repubblica. Un caso particolare era la Scuola dei poveri vergognosi o poveri del pevare che raccoglievano fondi per i patrizi impoveriti che per mantenere un'apparenza di dignità dovuta al loro rango non erano in grado di chiedere direttamente elemosine.
[specialmodo nei rinnovamenti quattrocenteschi no modello ma "diverse bellezze" Concina Tempo Novo p.351 e Huse-Wolters pp.117-118, caso particolare nell'edilizia confraternale italiana non completamente sotto controllo chiesa [69]]
Come detto non tutte le Scuole potevano permettersi un proprio immobile o la proprietà effettiva di un altare nella chiesa di riferimento. Alcune potevano disporre soltanto di un piccolo armadio (banco) per riporre la mariegola e i propri arredi, cosa tipica all'inizio della loro vita ma per alcune definitiva. Altre possedevano (o affittavano) dei piccoli edifici, oggi riconoscibili solo dai rilievi in pietra apposti sulle pareti esterne. Attualmente sono individuabili solo da questi ultimi lacerti erratici o da vere e proprie strutture che vanno dall'umile allo sfarzoso le sedi di circa ottanta Scuole. Fra queste, le scuole effettivamente progettate come tali non esisteva un vero modello, fossero esse una Devozione o di un Arte. Alcune riprendevano fortemente la struttura di un edificio templare contemporaneo, pur marcando esternamente la divisione interna su due piani, come nel caso della Scuola Vecchia della Misericordia, molto simile per esempio alla chiesa di Sant'Aponal, o alla Scuola Dalmata, molto simile alla scomparsa chiesa di San Geminiano di Sansovino, e passando dalle classiche strutture a capanna della Scuola dei Mercanti o di quella Nuova della Misericordia – che avrebbe dovuto essere ben più opulenta se finita con i rivestimenti marmorei – fino alla fantasia rococò, simile all'oratorio di una villa, della Scuola dei Batioro e Tiraoro a San Stae. Altre invece si affidavano a una struttura palatina, ma normalmente differenziata in modo percepibile da quella dell'edilizia residenziale, come la Scuola Grande di San Rocco e quella dei Carmini o quella dell'Arte dei Laneri o dei Luganegheri. Un unicum è da considerare la facciata della Scuola Grande di San Marco che se da una parte si rifà alla moda delle chiese sue contemporanee, per esempio Santa Maria dei Miracoli, specialmente nei coronamenti curvilinei e nei rivestimenti, se ne distacca nella partizione asimmetrica e la marcata suddivisione in due piani. Altre ancora semplicemente arricchivano di un esteso rivestimento scultoreo la preesistente modesta struttura (Albanesi).
*** All'interno soltanto le scuole grandi erano ben strutturate in diversi ambienti con una cappella al piano terreno e una sala capitolare al secondo a queste si aggiungevano la sala dell'albergo, le sagrestie, gli uffici per la cancelleria o altre destinazioni come l saletta del guardian da matin di San Rocco dove venivano elargite le elemosine. Anche diverse scuole piccole cercarono di imitare questo modello questo in scala minore.
Caratteristica comune, a prescindere dalla dimensione o dignità, era la ricerca, a seconda delle disponibilità economiche, di una estesa decorazione pittorica degli interni. Di alcune solo tramandate dal Moschini ed altre spostate e disperse in vari musei [Sant'Orsola, Santo Stefano, Albanesi, Mercanti,…] e solo poche rimaste interamente nelle sedi originarie [Rocco, Carmini, Dalmati].
A tutto questo vanno aggiunte i ricchi arredi sacri (croci processionali, reliquiari, calici, turiboli,…) di cui restano quasi soltanto le meticolose ricevute delle confische napoleoniche.
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