Travale
frazione del comune italiano di Montieri Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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Travale è una frazione del comune italiano di Montieri, nella provincia di Grosseto, in Toscana.
Travale frazione | |
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Panorama di Travale | |
Localizzazione | |
Stato | Italia |
Regione | Toscana |
Provincia | Grosseto |
Comune | Montieri |
Territorio | |
Coordinate | 43°10′02″N 11°00′30″E |
Altitudine | 520 m s.l.m. |
Abitanti | 59 (2011) |
Altre informazioni | |
Cod. postale | 58020 |
Prefisso | 0566 |
Fuso orario | UTC+1 |
Nome abitanti | travalino, travalini[1]; travalese, travalesi (raro)[1] |
Patrono | santi Michele e Silvestro |
Cartografia | |
Travale si trova nell'area delle Colline Metallifere grossetane nella parte settentrionale del comune.
Il borgo fu possedimento della famiglia Pannocchieschi dal Medioevo fino al XIV secolo. Nel secolo successivo divenne parte della Repubblica di Siena a poi, a metà del XVI secolo, del Granducato di Toscana.
L'11 dicembre 1724 il borgo fu l'epicentro di un terremoto che raggiunse la magnitudo 5.32 della scala Richter ed il VII-VIII grado della scala Mercalli.[2]
Quella che segue è l'evoluzione demografica della frazione di Travale. Sono indicati gli abitanti dell'intera frazione e dove è possibile la cifra riferita al solo capoluogo di frazione. Dal 1991 sono contati da Istat solamente gli abitanti del centro abitato, non della frazione.
Porta la data del 6 luglio 1158 un documento, conosciuto come la guaita di Travale[3] custodito nell'Archivio della Curia Vescovile di Volterra che riporta una frase in italiano volgare «...guaita, guaita male, non mangiai ma' mezo pane...» detta da tale Malfredo di Casamagi, guardiano del castello. Una frase da molti definita un vero e proprio verso poetico, probabilmente versione parodica di un noto canto di scolta in lingua d'oc.
Il paese fu il luogo in cui visse tale «monna Elena, moglie di Nanni da Travale detto Sarteano», meglio conosciuta come Elena da Travale, una delle più famose streghe della Maremma, specializzata nella pratica dei filtri di amore e di odio. Soprannominata anche la "strega dei rondinini" per via del suo modo di usare pulcini di rondine in alcune delle sue arti magiche, il 12 giugno del 1423 fu condotta davanti al Tribunale Civile e Religioso di Volterra, presieduto dal vescovo Stefano di Geri del Buono da Prato, poiché accusata di essere «incantatrice, divinatrice e sortilega, abile a manipolare i consigli secondo le risposte del demonio».[4] Sottoposta ad un pressante interrogatorio, Elena non pronunciò mai le cinque parole rituali necessarie a rendere efficace un sortilegio, rivelando tuttavia una nutrita serie di formule, di fatture e di ricette in volgare paesano che vennero scrupolosamente annotate dal notaio Ottaviano Vermicelli. Svelò, ad esempio, l'eterno segreto dell'odio e dell'amore contenuto in una ricetta infallibile da lei più volte sperimentata: «Accipit una nidiata di rondolini che sieno almeno quattro e mettegli in una pentola roggia in uno suppedanio vivi, e lassagli stare tanto che muoiono. Quelli che stanno vòlti l'uno al dietro dell'altro li secca e fanne polvere e quella polvere dà a quelli fra quali vuoi che sia discordia e presa questa polvere saranno in grandissima discordia. Se vuoi mettere concordia piglia quelli rondolini, che stanno a becco a becco vòlti, e fa il simile e sarà concordia tra coloro a chi lo farai». Al termine dell'audizione dei testimoni il vicario vescovile Antonio Michelotti da Perugia non dovette tuttavia ritenere gravissimi i fatti commessi, ed anziché approntare il rogo, sentenziò: «... la donna sia fustigata, messa alla berlina e sbandita dai confini...». Elena fu quindi frustata, esposta ai lazzi della folla ed esiliata, oltre ad essere condannata al pagamento delle spese processuali liquidate in 50 fiorini.[5][6]
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