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Il trattato di San Francisco fu un negoziato di pace tra il Giappone e 49 Paesi che presero parte alla seconda guerra mondiale.
Trattato di San Francisco | |
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Il Primo ministro giapponese Yoshida pone la sua firma sul trattato di pace | |
Firma | 8 settembre 1951 |
Luogo | San Francisco, Stati Uniti |
Efficacia | 28 aprile 1952 |
Condizioni | fine del protettorato degli Stati Uniti sul Giappone |
Parti | Alleati Giappone |
Firmatari | John Foster Dulles Shigeru Yoshida |
Lingue | francese, inglese, spagnolo |
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Si tenne a San Francisco, negli Stati Uniti, nel settembre 1951 ed ebbe il culmine con la firma dell'accordo, l'8 di quel mese al War Memorial Opera House, che ebbe come conseguenza la conclusione, anche formale, del conflitto in Asia e la fine del protettorato statunitense sul Giappone.
L'accordo entrò pienamente in vigore il successivo 28 aprile 1952.
Il trattato non fu accolto benevolmente tra i paesi asiatici; le uniche voci di approvazione si ebbero dai rappresentanti di alcune colonie francesi, del Pakistan e di Ceylon, questi ultimi da poco liberi dal dominio britannico.
La non partecipazione di alcuni paesi orientali alla firma del trattato suscitò risentimento negli Stati Uniti, in particolar modo verso l'India, che anche per questo motivo si pensò essere legata da un'intesa segreta con l'Unione Sovietica di Stalin.
Con la conferenza di pace di San Francisco - durata alcuni giorni e trasmessa in televisione per la prima volta in un collegamento intercontinentale - il Giappone fu chiamato a risarcire direttamente i paesi danneggiati; tuttavia a beneficiarne furono maggiormente gli Stati Uniti e le altre potenze coloniali, mentre i vicini paesi asiatici, che avevano subito più direttamente le conseguenze degli attacchi giapponesi, ne trassero vantaggi relativi.
I Paesi partecipanti alle negoziazioni che firmarono il trattato furono Arabia Saudita, Argentina, Australia, Belgio, Bolivia, Brasile, Cambogia, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, Ecuador, Regno d'Egitto, El Salvador, Impero d'Etiopia, Filippine, Francia, Giappone, Grecia, Guatemala, Haiti, Honduras, Indonesia, Iran, Iraq, Laos, Libano, Liberia, Lussemburgo, Messico, Nicaragua, Norvegia, Nuova Zelanda, Paesi Bassi, Pakistan, Panama, Paraguay, Perù, Regno Unito, Sri Lanka, Sudafrica, Siria, Turchia, Stati Uniti, Uruguay, Venezuela e Vietnam. Altresì Cecoslovacchia, Polonia e Unione Sovietica, pur partecipando, non firmarono il trattato, principalmente a causa della disputa delle isole Curili e per il mancato accoglimento della richiesta sovietica di lasciare il seggio all'ONU alla Cina popolare. Tre delle firmatarie del trattato, infine, Colombia, Indonesia e Lussemburgo, non lo ratificarono.
Ai negoziati furono invitate anche Birmania, Jugoslavia e India che però si rifiutarono di partecipare, mentre la Corea del Sud fu invitata a partecipare come semplice osservatore, ma non come alleato di guerra. A causa dell'insorgere della guerra civile ancora in corso non vennero invitate a partecipare né Taiwan né la Repubblica Popolare Cinese.
Il documento sancisce la rinuncia ufficiale dei diritti ottenuti dal Giappone con il Protocollo dei Boxer del 1901 e quindi alle sue rivendicazioni sui territori della Corea, di Taiwan, di Hong Kong, delle Isole Curili, delle Pescadores, delle Isole Spratly, dell'Antartico e dell'Isola di Sachalin. Tuttavia il trattato non definiva ufficialmente quali stati dovessero essere sanciti sovrani di questi territori e questa omissione venne cavalcata dagli indipendentisti di Taiwan per sancire l'autodeterminazione dei taiwanesi in base all'articolo 77b della Carta delle Nazioni Unite, affermando che esso potesse essere applicato a tutti quei territori liberati dall'occupazione delle nazioni nemiche durante la seconda guerra mondiale.
Le isole Bonin e Volcano furono poste sotto amministrazione statunitense e furono restituite al Giappone nel 1968.[1][2]
In polemica con le limitazioni militari del trattato e contrario alla smilitarizzazione imposta al Giappone, nell'intento di denunciare la subalternità del suo paese alla potenza statunitense Yukio Mishima il 25 novembre 1970 compì il suicidio rituale, dopo aver fallito l'assalto al quartier generale delle forze di autodifesa, capeggiando i suoi seguaci del Tatenokai, associazione paramilitare da lui fondata.
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