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filosofia religiosa panteistica, monistica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il taoismo o daoismo, (道教 pinyin: dàojiào, "dottrina del Tao") designa sia le dottrine a carattere filosofico e mistico esposte, principalmente, nelle opere attribuite a Laozi e Zhuāngzǐ (composte tra il IV e III secolo a.C.), sia la religione taoista istituzionalizzatasi come tale all'incirca nel I secolo d.C.[2]. Al contrario del confucianesimo, il taoismo non possiede un insegnamento fondamentale o un credo e pratica unitari. È principalmente una religione cosmica, centrata sul posto e sulla funzione dell'essere umano, di tutte le creature e dei fenomeni in esso.[3] Nel tempo se ne sono sviluppate diverse scuole e interpretazioni. Nonostante la distribuzione ubiquitaria in Cina e la ricchezza di testi, si tratta probabilmente della meno conosciuta tra le maggiori religioni al mondo[4].
«Il Tao che può essere detto non è l'eterno Tao,
il nome che può essere nominato non è l'eterno nome.
Senza nome è il principio del Cielo e della Terra...»
Come ricorda Stephen R. Bokenkamp[5] i cinesi non possedevano un termine per indicare le proprie religioni fino all'arrivo del buddhismo nei primi secoli dopo Cristo (la prima introduzione del buddismo in Cina sarebbe avvenuta nel 64 d.C.), quando opposero al Fójiào (佛教, gli insegnamenti del Buddha), il Dàojiào (道教, gli insegnamenti del Tao). Dall'influenza del taoismo sul Buddhismo Mahāyāna indiano probabilmente si sviluppò il Chan.[6]
Più precisamente nell'epoca pre-imperiale (antecedente al III secolo a.C.) il termine "dàojiào" era utilizzato dai seguaci di Mozi per designare i confuciani[7]. Solo dal quinto secolo in avanti vediamo utilizzato questo termine per intendere la dottrina del Dao.[7] Allo stesso modo, Farzeen Baldrian[senza fonte] e T.H. Barret[7] rammentano come gli studiosi classificatori del periodo Han indicarono, in modo "mal definito", come Dàojiā (道家, scuola daoista) autori ed opere a loro precedenti. [8]
Mario Sabattini e Paolo Santangelo così concludono:
«Le concezioni che emergono dalle opere taoiste non presentano un carattere univoco; quasi certamente esse abbracciano tendenze diverse che sono andate via via stratificandosi in un corpus di testi, cui solo in epoca successiva si è voluto attribuire la natura di un complesso dottrinario omogeneo.»
Ancora il termine Taoismo con il suo suffisso -ismo non avrebbe quindi alcuna controparte nella lingua cinese. Esso verrebbe utilizzato in tal modo solo negli scritti occidentali.[9]
Ulteriore fonte di complessità nell'approccio al Taoismo, è il sostanziale pregiudizio sorto fin dai primi contatti con religiosi occidentali che spesso videro in tale religione una corrente fortemente degenerata. Tale giudizio è andato via via stemperandosi nel tempo, raggiungendo attualmente un certo distacco.[10]
Risulta quindi chiaro come questa dottrina sia eterogenea, le cui ragioni sono da attribuire principalmente alla mancanza di un singolo fondatore ed alla assenza di un canone definito. Essa ha raggiunto un minimo grado di omogeneità, non in base a spinte interne, bensì a seguito di agenti esterni (ovvero spinte governative che cercavano di controllare la formazione del clero e il numero dei templi).[5] . Ulteriore fonte di eterogeneità è legata alla ricchezza di testi dei vari canoni che spaziano dalla filosofia, alla botanica, medicina, mineralogia.... Nel daoismo andrebbero quindi compresi:
Addentrandosi nel problema, sorge spontaneo chiedersi se si possa stabilire una "ortodossia" nel daoismo (per alcuni accenni a una possibile "ortodossia", vedi anche inquadramento generale). Di seguito due delle tante possibili esplicazioni:
«The term "Daoism" is used in writings on China to cover a wide variety of phenomena, from a bibliographic classification of philosophical texts—including the Zhuangzi, the Laozi, and other works—to vaguely defined attitudes: the love of nature, the pursuit of personal freedom, and a concomitant antipathy toward the Confucian-inspired social order, an antipathy shared by a number of recluses and disillusioned former officials throughout the course of Chinese history. In this way, Daoism and Confucianism have come to be seen as the yin and yang poles of Chinese thought. Nearly every figure in the history of Chinese society who cannot be readily identified as Confucian is apt to be portrayed as a Daoist. Those so identified include a disparate collection of practitioners, mystics, and thinkers—healers, shamans, alchemists, seekers of immortality, figures from popular religion who managed to find mention in the dynastic histories, and even a few Confucians who, toward the end of their lives, withdrew from society and found solace in one or another of the philosophical works bibliographically classed as Daoist, or even in the Daoist religion itself.»
«Il termine "daoismo" è usato nei testi che trattano la Cina per coprire un'ampia varietà di fenomeni, dalla classificazione bibliografica di testi filosofici - che includono Zhuāngzǐ, Laozi ed altri lavori - a vaghi modi di sentire: l'amore per la natura, la ricerca della libertà personale, la concomitante antipatia per l'ordine sociale ispirato dal confucianesimo, un sentimento scambiato e condiviso, nel corso della storia della Cina, da un numero di ex funzionari eremiti e delusi. In quest'ottica il daoismo ed il confucianesimo devono essere visti come i poli yin e yang del pensiero cinese. Praticamente ogni figura della storia della società cinese, che non possa essere identificata come confuciana, è adatta ad essere considerato daoista. Questi ultimi comprendono quindi guaritori, mistici, terapeuti-intellettuali, sciamani, alchimisti, ricercatori dell'immortalità, figure provenienti dalla religione popolare che riuscivano a trovare menzione nelle storie dinastiche, ed anche i pochi confuciani che, alla fine delle loro vite, si allontanavano dalla società e trovavano conforto in uno dei lavori filosofici, classificati dal punto di vista bibliografico come daoisti, od anche nella religione daoista stessa.»
Ma la situazione è ancora più complessa, se un autore daoista come Lu Xiujing (陸修靜) (vissuto nel V secolo dopo Cristo), aveva potuto affermare che "alcuni scritti daoisti paiono scritti da persone malate di mente, in grado di captare senza alcuna capacità di ricercare il numinoso e mancanti del desiderio di raggiungere la perfezione. Essi avrebbero scritto [questi testi basati su] quello che erano [delle scritture originali], assumendo falsamente il nome di "daoista" nella loro avida ricerca di guadagno"[13],
Mandarino | Pinyin | Wade-Giles |
Daoismo | Taoismo | |
道教 | Dàojiào | Tao-chiao |
道家 | Dàojiā | Tao-chia |
道德經 | Dàodéjīng | Tao Te Ching |
無爲 | Wúwéi | Wu Wei |
老子 | Lǎozǐ | Lao Tzu |
莊子 | Zhuāngzǐ | Chuang Tzu |
孫子 | Sūnzǐ | Sun Tzu |
列子 | Lièzǐ | Lieh Tzu |
氣功 | Qìgōng | Ch'i Kung |
太極拳 | Tàijíquán | T'ai Chi Ch'uan |
太極圖 | Tàijítú | T'ai Chi T'u |
易經 | Yì Jīng | I Ching |
太極 | Tàijí | T'ai-chi |
Etimologicamente il termine taoismo deriva da Tao, romanizzato secondo Wade-Giles, con il suffisso greco antico -ισμός (-ismo, significante "stile, modo"); mentre il termine daoismo deriva da Dao, quest'ultimo romanizzato secondo il più recente pinyin, con il suffisso -ismo. Quindi Tao e Dao sono due modi di scrivere e leggere lo stesso termine e, perciò, hanno lo stesso identico significato. Lo standard attuale per la romanizzazione della lingua cinese è il pinyin (dagli anni '80) rispetto al Wade-Giles del XIX secolo. Sarebbe quindi più moderno e corretto utilizzare i termini dao e daoismo. Sempre in base a ciò quindi i vecchi termini Lao-Tzu, Chuang-Tzu... andrebbero modificati in Laozi e Zhuangzi...
Nel testo della presente voce si useranno per lo più i nomi propri delle opere, delle persone e dei termini specifici nella romanizzazione del pinyin. A fianco una tabella di conversione nella romanizzazione moderna e precedente.
Il Taoismo è uno dei tre insegnamenti cinesi, insieme a buddismo e confucianesimo ed a differenza di quest'ultimo che lo possiede, il «taoismo non ha né data né luogo di nascita».[16] Esso «non è mai stato una religione unitaria, ma una combinazione costante di insegnamenti fondati su rivelazioni originarie diverse»[17]. Prese forma gradualmente, durante un lungo cammino, integrando diverse correnti. Il Taoismo scaturisce infatti da un movimento di pensiero nato dalla combinazione del
Concetto centrale del Daoismo è il Dao, ovvero la base metafisica dell'ordine naturale[24]. Se il dao può essere concepito come una sorta di "Principio ordinatore unico ed immanente del mondo", non troppo dissimile dall'Armonia di Pitagora, il Logos di Eraclito, lo Shinto giapponese, il Dharma del buddismo[25], è però fondamentale riconoscere che si tratta di un principio acosmico che manca di creazione e quindi causa e finalità, esso non realizza nulla fuorché la sua implicità[26]. Se ne deve rimarcare anche la specificazione non troppo dissimile, in quanto essa rifiuta la reificazione e la definizione (vedi anche l'incipit di questa voce)[26].
Non tollerare la reificazione, significa intendere l'attività pratica e la "crescita personale", superiori all'intellettualizzazione ed alla concettualizzazione filosofica. Si può quindi, essere daoisti senza avere necessariamente una definizione ed esplicazione di cosa sia il dao. Esso rifiuta quindi l'idea che una via non sia percorribile senza una concettualizzazione coerente.[27] Per il mondo cinese un Dio creatore sopramondano, di carattere personale è inconcepibile. Ne consegue che nella cultura cinese non esiste un'ascesi orientata sulla antitesi tra Dio e creatura[28]. La nostra metafisica (cristiana e comunque occidentale) è quindi globalmente incomprensibile per un cinese.
Il concetto di causalità è assente nel pensiero originario cinese; da questo ne segue l'assenza di una idea di Dio come primum movens. Ovviamente l'entrata in Cina del Buddhismo (verso il I secolo d.C.) ha modificato di non poco questo atteggiamento tipico (si pensi infatti all'idea di Karma).[senza fonte]
Anche l'idea di libertà personale non è stata elaborata dal punto di vista concettuale; essi hanno però elaborato la disponibilità. Ad esempio lo I Ching deve essere utilizzato non per il singolo, ma per il bene comune: il mio Bene può essere messo da parte se fa il Bene di tutto.[senza fonte]
Il daoismo (in particolare quello dei due principali maestri) tende a non dare chiari codici comportamentali, (a differenza ad esempio del confucianesimo) ritenendo che la spontaneità sia la miglior guida. Tuttavia se «vivere il taoismo significa accettare il caos [...] , non legittima la licenziosità, l'arroganza, la violenza, la sopraffazione, uno stato di natura per cui "tutto va bene"»[29]. Esso quindi esalta la spontaneità, sostenendo che tutto avvenga spontaneamente; crede che esista un «meccanismo di autoregolazione che può manifestarsi soltanto se non gli si fa violenza»[29]. Qui il daoismo denuncia la sua provenienza dalla classe contadina (per cui l'agricoltura, nonostante la cura, obbedisce ad orologi interni ed esterni, atmosferici, e per cui il vero motore è la natura[30]). Il daoismo auspica una condizione in cui si desidera non avere più desideri, a differenza del buddhismo che rifiuta apertamente la brama che vincola alla vita[31]. Non a caso focalizza ed enfatizza l'azione che nasce dalla non azione: wei-wu-wei (azione senza azione)[31].
Il daoismo ha una forte tensione sincretica, nel tentativo di integrare tutta una serie di insegnamenti differenti (dall'iniziale sciamanesimo, al Buddhismo Chán...),[32] ma allo stesso tempo ne esalta l'autosufficienza sottolineandone la distinzione dalle altre vie.[33]
Spesso il daoismo viene scolasticamente suddiviso in "daoismo filosofico" (cinese: 道家; Wade-Giles: tao-chia; pinyin: dàojiā) o "scuola daoista", e "daoismo religioso" (cinese: 道敎; Wade-Giles: tao-chiao; pinyin: dàojiào) o "religione daoista", oppure, rispettivamente, "daoismo contemplativo" e "daoismo interessato". Questa suddivisione è oramai rifiutata da molti sinologi, ma di questo si dirà nel proseguo. Alcuni autori distinguono ulteriormente, all'interno del daoismo religioso, la "religione popolare cinese"[34].
La distinzione tra daojia e daojiao ha avuto inizio nel tardo periodo Han (quindi nei primi due secoli dell’era volgare). Nel canone Daozang (XV secolo d.C.) non si ha questa divisione ed i due termini sono considerati sovrapponibili [35]. Peraltro i due lemmi erano inesistenti nel cinese premoderno, per cui non esisteva alcuna differenza tra filosofia e religione. Il termine "daojiao" nella pratica ha avuto svariate sfaccettature di utilizzo. Come già riportato, fu usato in modo estremamente indeterminato, nella prima fase (quella preimperiale, ovvero fino al 221 a. C.), per indicare le correnti religiose cinesi e quindi principalmente il confucianesimo. Dopo la metà del I secolo si impiegò per riferirsi al Buddhismo (che entrò in Cina in questo periodo) e, solo nel V secolo, si iniziò ad utilizzarlo nel senso con cui lo intendiamo oggi. Infatti, fino ad allora, i vari gruppi religiosi rimasero in qualche modo disuniti, connessi tra di loro solo per un opporsi ai vari culti locali, ma da tale data in avanti cercarono di trovare un'unità, sul modello del buddhismo (da cui tentavano di diversificarsi ed opporsi) e ciò si estrinsecò nella formazione di una letteratura canonica, nella codificazione di rituali e norme sacerdotali, nella fondazione di monasteri daoisti come quelli buddhisti, giungendo alla fondazione di una vera e propria religione, non solo all'assemblaggio di diversi elementi tra loro.
I buddhisti reagirono tentando di mettere in cattiva luce la soteriologia terrena del daoismo; il daoismo il quale, d'altra parte, era ben più in accordo con la simbologia imperiale cinese di quanto lo fosse la religione dharmica[36]. Secondo il Prof. Leonardo Vittorio Arena la distinzione tra le due scuole durante il periodo Wei e Jin (quindi all'incirca tra la prima metà del III e la prima metà del V secolo d.C.) in concomitanza con l'avvento del neotaoismo, è connessa con l'opera di Lièzǐ che rifiutava completamente le arti magiche e la religione popolare[37].
Il daoismo ha una alta complessità. Se sicuramente possiamo ritenere classici Laozi e Zuangzi (quindi un ipotetico daoismo filosofico) si può sostenere, con minor concordanza che tutte le correnti che dai primi pensatori sono arrivati ad oggi appartengano al daojiao (a partire quindi da Huanglao Dao e dai Maestri celesti. In modo estremamente chiaro si esprime Fabrizio Pregadio:
«Should “religion” include all of Daoism except for its “philosophy”? This would probably exclude the views of the Daode jing, which Daoists have seen as an integral part—in fact, as the source—of their tradition. Omitting these views would be something like writing a survey of Christianity that intentionally neglects to consider the thought of the theologians.»
«Possiamo pensare ad una religione senza la sua “filosofia”? Ciò inevitabilmente escluderebbe le visioni/idee del Daode jing che i daoisti hanno visto come parte integrante o meglio fonte, della loro tradizione. Omettere questi punti di vista sarebbe come scrivere uno studio sul cristianesimo che trascurasse intenzionalmente di considerare il pensiero dei teologi.»
.
Poi continua, in modo per noi più complesso
«Should religion only include communal ritual with the related pantheons of gods, on the one hand, and the priestly and monastic institutions, on the other? If so, an article on “religious Daoism” would exclude meditation, alchemy, and other individual practices that Daoists—including those who did not practice them—have seen as major components of their tradition.»
«La religione dovrebbe includere solo i rituali comunitari con i relativi pantheon degli dei, da un lato, e le istituzioni sacerdotali e monastiche, dall’altro? Se così fosse, un articolo sul “daoismo religioso” escluderebbe la meditazione, l’alchimia e altre pratiche individuali che i daoisti – compresi quelli che non le praticavano – hanno visto come componenti principali della loro tradizione.»
Dato ormai per acclarato che la suddivisione di cui sopra, ancora presente in alcuni scritti e comunque riscontrabile spesso in Occidente, è ritenuta da praticamente tutti gli studiosi artificiosa ed erronea, per Robinet nascerebbe da un'intrinseca difficoltà occidentale nella comprensione dell'esperienza mistica, soprattutto perché coloro che operarono quel tipo di suddivisione per lo più non conoscevano i testi del cosiddetto "taoismo religioso"[39]. Anche Leonardo Vittorio Arena si esprime contro tale distinzione pur ritenendola utile per distinguere tra lo sterminata produzione di testi, frutto anche di tantissime contaminazioni)[37]. Non c'è però omogeneità tra i cultori, per cui se da un alto Poul Andersen riferisce come il daoismo includa entrambi gli aspetti, per cui è sia una "via" (credenze e riflessioni) che un insegnamento (ovvero i rituali pubblici, le liturgie ed i metodi per ottenere l'immortalità personale)[40], dall'altro Fabrizio Pregadio scrive quanto poco sopra riportato. Per la Robinet, il "daojia" consisterebbe quindi nelle speculazioni che accompagnano o coronano questa ascesi, esito quindi dell'ascesi stessa[41]; al contrario, il termine "daojiao" sarebbe connesso con il sacro, gli dei e gli spiriti, e sarebbe da intendersi come «l'ascesi, l'addestramento, la procedura»[42]. Non a caso la sinologa francese sostiene che gli aspetti contemplativi, intenzionali o di applicazione politica siano presenti in entrambe le dimensioni[43].
Il termine "dao" significava originariamente «la via». Gli interpreti moderni fanno iniziare il daojia con il daodejing e lo zhuangzi: quanto identificato principalmente nei testi dei primi maestri (LaoZi e ZhuangZi) avrebbe il significato di «via ultima, ovvero via che sublima tutti i differenti e multiformi percorsi umani esistenti»[44]. Sicuramente parte di questa difficoltà è legata alla non completa traduzione in Occidente della sterminata produzione daoista e alla difficoltà di comprensione della mentalità cinese per un occidentale. Se per certi uomini, gli imperatori in particolare, l'aspetto importante della religione era prolungare la vita e migliorare le proprie condizioni di salute, per altri le tecniche furono indubbiamente destinate all'estasi e all'esperienza mistica[39] (vedi anche la sezione l'immortalità e l'alchimia).
Nel daoismo la trasmissione della conoscenza avviene tramite un diretto confronto tra il maestro ed il discepolo, quindi differentemente dai tipici approcci più sistematici, sul modello del moderno apprendimento razionale occidentale.
«Sebbene gli studenti del futuro debbano avere il dovere di cercare un maestro, è fondamentale che lo facciano essendosi prima assicurati della sua conoscenza. Una persona di scarsa e limitata conoscenza non potrà aiutarli a raggiungere la Via, perché le sue azioni saranno superficiali, la sua virtù debole, la sua realizzazione fiacca e le sue risorse scarse. (Baopu zi, cap XIV, Dinastia Jìn)»
.
In questa visione assume importanza il "lignaggio", che rappresenta il veicolo che permette l'incontro tra il divino e gli esseri umani viventi, e che consiste in una sorta di depersonalizzazione degli antenati, verso i quali si esercita un culto, unitamente a quello verso altre figure antropomorfe come quelle dei santi e di personaggi mitologici, che nel loro insieme forniscono anche un codice etico[46].
Nella tradizione religiosa, i testi taoisti sarebbero antecedenti l'uomo e nascerebbero direttamente dal Pneuma originario o respiro originario. Successivamente sarebbero stati reificati in testi scritti con caratteri non umani e conservati in palazzi celestiali e, finalmente, diffusi sulla terra in caratteri umani. In questa ottica gli scritti connetterebbero gli esseri umani con l'oltremondo.[47]
Dal punto di vista storiografico invece, le fonti antiche cinesi sarebbero: le Memorie di uno storico di Sima Qian (scritto nel II-I secolo a.C.), il Libro degli Han di Bān Gù (I-II secolo d.C), il Libro degli Han posteriori di Fàn Yè (V secolo d.C.).... Questi testi, oltre a tanti altri, fanno parte del canone chiamato le Ventiquattro Storie. Da esso però ne risulta un quadro variopinto, in cui la difficoltà classificatoria è preminente. Ad esempio Hán Fēizǐ (韓非子), il principale pensatore del Legalismo (法家, Fǎjiā) viene indicato come ispiratore dalle sentenze 'daoiste' di Huángdì (黃帝) e di Lǎozǐ (老子), mentre in tempi successivi, lo stesso, verrà indicato come un oppositore del Daoismo.[senza fonte] Ancora il Guǎnzǐ (管子), ordinariamente considerato un testo di scuola Fǎjiā, contiene alcuni capitoli daoisti e come daoista viene descritto dallo Yìwén zhì[senza fonte]
Il canone daoista o Daozang (道藏 pinyin:Dào Zàng, Wade-Giles: Tao Tsang), fu composto nel 1442 e raggruppa più di 1000 testi che spaziano dall'utilizzo di erbe alle opere colte di Laozi e Zhuāngzǐ, a testi di tecniche di meditazione od alchimia. Molti testi appaiono più di una volta con titoli diversi, altri hanno titoli uguali ma contenuti differenti, altri ancora contengono all'interno parti di documenti presenti nel canone in posizioni differenti[48][49]
Seguendo l'esempio del Tripitaka buddhista, il Daozang è diviso in tre sezioni (dong 洞)[50]:
Il Canone contiene inoltre una gamma di scritture supplementari, aggiunte in epoche più recenti, che trattano varie questioni: preghiere, invocazioni, meditazione, divinità e molto altro; tra questi testi si possono trovare il "Libro della Grande Pace" (Taipinjing), testi alchemici e scritture della tradizione dei Maestri Celesti, i papi dell'ortodossia, oggi figure poco importanti sia per la Chiesa daoista taiwanese, ancor meno per l'organizzazione ecclesiastica della Cina continentale.[51]
Nel Taoismo, i Cinque Precetti (cinese: 五戒; pinyin: Wǔ Jiè; Jyutping: Ng5 Gaai3) costituiscono il codice etico di base intrapreso principalmente dai praticanti laici. Per monaci e monache ci sono precetti più avanzati e più severi. I Cinque Precetti sono quasi gli stessi dei Cinque Precetti del Buddismo; tuttavia, ci sono piccole differenze per adattarsi alla società cinese.
Secondo il daozang di Zhengtong i cinque precetti di base sono:
Le brevi definizioni sono state estratte dal alcuni passi dell'opera:
«Laozi disse: "Il precetto contro l'uccisione è: tutti gli esseri viventi, inclusi tutti i tipi di animali, e quelli piccoli come insetti, vermi e così via, sono contenitori dell'energia increata, quindi non si dovrebbe uccidere nessuno di loro".»
«Laozi disse: "Il precetto contro il furto è: non si deve prendere nulla che non si possiede e che non gli sia dato, che appartenga a qualcuno o no".»
«Laozi ha detto: "Il precetto contro la cattiva condotta sessuale è: se si verifica una condotta sessuale, ma non è con il coniuge sposato, è una cattiva condotta sessuale. Per quanto riguarda un monaco o una monaca, lui o lei non dovrebbero mai sposarsi o praticare rapporti sessuali con chiunque."»
«Laozi ha detto: "Il precetto contro il falso discorso è: se uno non è stato testimone di ciò che è accaduto ma ha detto qualcosa agli altri, o se uno mente sapendo che è una bugia, questo costituisce Falso discorso".»
«Laozi disse: "Il precetto contro l'assunzione di sostanze intossicanti è: non si dovrebbe prendere alcuna bevanda alcolica, a meno che non debba prenderne per curare la propria malattia, per intrattenere gli ospiti con una festa o per condurre cerimonie religiose".»
«Laozi aveva detto: "Questi cinque precetti sono i fondamenti per mantenere il proprio corpo in purezza, e sono le radici del sostegno dei santi insegnamenti. Per quegli uomini virtuosi e le donne virtuose che godono degli insegnamenti virtuosi, se possono accettare e mantenere questi precetti, e non violano mai nessuno di essi fino alla fine della loro vita, sono riconosciuti come quelli con pura fede, otterranno la Via del Tao, otterranno i santi principi e raggiungeranno per sempre il Tao, la Realtà."»
Questa sezione è basata principalmente sulle dottrine di Laozi, di Zhuāngzǐ e di Liezi.
«Il Dao che può essere detto non è l'eterno Dao, il nome che può essere nominato non è l'eterno nome...»
«Tutto il nostro ragionamento si basa sulla legge di causa ed effetto, che opera come una successione. Qualcosa accade ora, perché qualcos'altro è accaduto allora. Ma i cinesi non ragionano tanto secondo questa linea orizzontale, che va dal passato al futuro, attraverso il presente: ragionano verticalmente, da ciò che è in un posto ora a ciò che è in un altro posto ora. In altre parole non si chiedono perché, o per quali cause passate, un certo ordine di cosa avvenga ora; si chiedono: -Qual è il significato delle cose che avvengono insieme in questo momento?- La parola Tao è la risposta a questa domanda.»
Quindi un cinese non ragiona seguendo una ideale linea orizzontale di causa effetto ma, piuttosto, seguendo una linea verticale, cercando di connettere tra loro cose che sono in un posto ora ed in un altro posto ora. La domanda che si pongono è: "qual è il significato delle cose che avvengono insieme in questo momento?[53].
Ancora
«quando un occidentale sente di pensare, crede che un tale fatto sia dovuto ad una specie di fatalismo o determinismo. [...] La prima illusione è quella di credere che ciò che sta accadendo accada a lui e che quindi sia vittima delle circostanze. Ma se siamo immersi nell'ignoranza originaria non esiste un tu diverso dalla cosa che sta accadendo. Quindi la cosa non sta succedendo a noi, succede e basta. [...] La seconda illusione è quella di credere che ciò che sta accadendo ora è la conseguenza di un evento del passato. [...] Dobbiamo essere davvero ingenui per credere che il passato provochi quanto avviene oggi. Il passato è simile alla scia lasciata da una nave. Alla fine ogni traccia scompare. [...] È molto semplice: tutto comincia adesso, perciò è spontaneo: non è determinato [...] Non è nemmeno casuale. [...]
Il Dao è un certo tipo di ordine [...] che però non è precisamente ciò che noi definiamo ordine quando disponiamo un oggetto in un ordine geometrico, in scatole od in file. Se osserviamo una pianta di bambù ci è perfettamente chiaro che la pianta possiede un suo ordine. [...] I cinesi lo chiamano Li [...]. Tutti cercano di esprimere l'essenza del Li. Ma la cosa interessante è che, nonostante si sappia cosa sia, non c'è modo di definirla.»
Il taoismo sostiene l'esistenza nell'universo di una sorta di autoregolazione: lasciare correre spontaneamente tale meccanismo darebbe spazio ad una vita serena, senza violenza. Ma, è importante sottolinearlo, non legittima la sopraffazione ed il caos.[29] Il daoista è convinto che ciascuno abbia in sé stesso le doti naturali che gli consentiranno di risolvere in molte occasioni. Quindi in quest'ottica l'imperfezione non esiste e se esiste è solo presente tra gli uomini che non seguono la spontaneità[55].
Wu wei (無為, 无为), o legge dell'agire senza agire, significa permettere il ritmo naturale delle cose, non deviare o forzare la spontaneità della natura, non imporre la propria volontà sopra l'organizzazione del mondo. I testi che più trattano questo aspetto sono il Daodejing ed il Zuangzi: essi sottolineano il raggiungimento di una quiete interna, la ricerca di una libertà della mente e dello spirito nel tentativo di cogliere una unità con tutto l'universo.[56]
«Unire trenta raggi nel mozzo di una ruota,
nel non essere sta l'uso del carro.
Plasmare l'argilla per farne un vaso,
nel non essere sta l'uso del vaso.
Cesellare porte e finestre per farne una casa,
nel non essere sta l'uso della casa.
Quindi ciò che esiste determina il vantaggio,
l'inesistente determina l'uso.»
Il non essere (wu), in questa accezione, ha un significato ben diverso a quello cui siamo abituati dalla dialettica greca (in particolare nei significati di Parmenide e Gorgia). In questo contesto significa "non esserci determinato", un vuoto determinato.[58] L'essenza sta nel vuoto, spesso in cose a cui non diamo importanza, come l'importanza non è riposta nelle quantità di cose che abbiamo nella nostra dimora, bensì nel vuoto tra le pareti.
«Hui- tzu disse a Chuang-tzu: Io ho un grande albero, La gente lo chiama ch'u. Il suo grande tronco è schiacciato e gonfio ed una corda non riesce a cingerlo. I suoi piccoli rami sono contorti e attorcigliati. [...] Ora tu hai un grande albero e la sua inutilità ti affligge. Perché non lo pianti nella landa dell'ampio nulla, la campagna dove non c'è altro? Senza premeditazione nella non-azione ti appoggerai ad un suo fianco e ti muoverai liberamente, dormendo e riposandoti sotto i suoi rami: Quest'albero non patirà una morte prematura ad opera di scure ed accetta. Nessuna creatura lo danneggerà poiché non è qualcosa che possa essere utilizzato, per quale motivo potrebbe mai soffrire?»
Il termine Dao è per noi occidentali di difficile comprensione, mentre non pare essere così per un orientale. Infatti il termine è intellegibile e di uso comune sia tra gli intellettuali che tra il più povero contadino.[non chiaro][60] Pare che la prima volta che sia stato utilizzato in Cina sia nel Chu Shing in cui dice:
«The human mind is dangerous
its selfship tendencies lead to error and crime
and its affinity with Tao is small.»
«La mente umana è pericolosa
le sue tendenze interiori portano all'errore ed al misfatto
e la sua affinità con il Tao è limitata.»
Ancora in un passaggio del Ta Chuan (The Great Treatise):
«L'uomo buono lo scopre (il Tao) e lo chiama buono
Il saggio lo scopre e lo chiama saggio
Il popolo ne fa uso giorno per giorno e non ne sa nulla.
Non solo ognuno "sente il Tao con modalità proprie, ma persino il Tao riflette il carattere della persona.»
"Osservando le cose in modo originario, non vi è differenza tra quella che fate, da una parte, e quello che vi accade dall'altra. [...] Ecco ciò che è chiamato Tao [...] Tao significa fondamentalmente via, corso: il corso della natura."[63] Tornare alla spontaneità. La ricerca del dao è la ricerca dell'essenziale, e in questo può essere vista come un analogo più elaborato del cinismo greco. Tale fortissimo richiamo all'essenzialità, al cosiddetto tronco grezzo, agli antichi, richiede la difficile operazione di spogliarsi del superfluo e dei preconcetti. Lo scopo è lasciar fluire l'originale liberando la spontaneità, che non deve però essere scambiata con il lassismo (vedi dopo).[64]
Per comprendere quale sia la natura del Dao bisogna evitare qualsiasi tipo di paragone con il Dio delle religioni monoteiste. Il dao non è un ente trascendente e dotato di personalità. Il Dio che viene presentato dal daoismo è una sorta di "Principio ordinatore unico ed immanente del mondo", come già riportato, non troppo dissimile dall'Armonia di Pitagora, il Logos di Eraclito, lo Shinto giapponese, il Dharma del buddismo[25]
Il termine Dio suona inappropriato, è preferibile non farne uso, per evitare i parallelismi sopra citati.
Il termine "Dao", che come sopraddetto è fondamentale in tutto il pensiero cinese, ha assunto diversi significati nel tempo. I principali significati sono tre:
Ancora il Dao è alla base dell'ordine naturale delle cose, la via operante del mondo quando l'uomo lo lascia scorrere come è[65]
Il dao è innominabile. In accordo al Daodejing e con lo Zhuangzi, non si può citare il nome, ed esso non può essere afferrato o delimitato.[66]
Ma punti principali del Daoija sono:
La concentrazione interiore all'interno di se stessi permette la quiete necessaria per sperimentare il dao. Esso consiste nel concentrare e unificare lo spirito (shen) e la volontà (zhi) su questa esperienza, e di essere ricettivi e conforme al fine di ricevere questo dao. Da qui la pratica della concentrazione sull'Uno (yi), visto in tutta la storia del daoismo. Questa concentrazione significa liberarsi dai desideri, emozioni e pregiudizi, rinunciando al sé concettuale, e non rimanere intrappolato nelle preoccupazioni mondane. Il fine è ritornare alla propria natura originale. Esso è legato ad una visione intuitiva del mondo concepito come una unità.[67]
De o virtù è il dao realizzato nell'uomo[64]«Nel flusso universale e senza senso delle cose, a ciascuna compete un ruolo, come se si seguisse un piano.»[68]
«Senza nome è il principio universale, quando ha nome è la Grande Madre di tutti gli esseri.»
Nella religione Daoista all'origine è il Qi, dinamismo primordiale, né spirito né materia, ed ogni cosa è un aspetto di ciò.[69]. Nella sua forma primordiale il dao è il vuoto nulla, lo stato di non esistenza: da questo stato si divide dando origine al Qi, il pneuma, il respiro, il quale si dividerà nell'Yang e nello Yin.[70] Il Qi è una forma che si espande, dà vita al mondo, non ha una esistenza individuabile al di là della forma che prende. Esso è un principio di unità e di coerenza che unisce la molteplicità tra loro[69]. [71][72] Questo soffio si differenzia in un soffio puro e leggero, lo Yang, ed in uno opaco e pesante, lo Yin[73]. Il Dao ha quindi provocato la creazione dell'universo, dando origine ai due principi cosmici yin e yang, la natura dualistica di tutte le manifestazioni del dao stesso. La dualità, l'opposizione e combinazione di questi due principi base è riscontrabile in ogni elemento della natura: luce e oscurità, maschio e femmina, attività e passività, movimento e staticità. Il dualismo è però pura illusione, esso - in ultima ipotesi — non esiste, è solo una codifica che l'uomo tende a porsi basandosi sull'esperienza sensoriale. La filosofia religiosa daoista è quindi monistica («Preserva l'Uno dimorando nelle due anime: sei capace di non farle separare?»[74]). Il mutare delle cose è un continuo compenetrarsi e vicendevole rigenerarsi di questo dualismo illusorio.
È uno dei punti cruciali del daoismo e denso di difficoltà e incomprensioni. L'immortalità va pensata in modo differente dal senso con cui la cultura occidentale la concepisce, come scrive Stephen R. Bokenkamp, sostenendo come il massimo che potevano aspirare "i legati al dao" ovvero i santi (xian), era di riapparire nelle fasi successive. [75]. In questa ottica Bonenkamp infatti preferisce parlare di longevità (longevity, long life or "an existence equal with that of the sun and moon") piuttosto che immortalità[76][77][78] Ancora gli immortali possono essere pensati ad almeno tre livelli: nel primo sarebbero esseri terrestri esistenti sul piano terrestre o legato alle cavern-heavens (ovvero caverne sacre -nouminose- presenti su montagne incantate che permetterebbero il passaggio alla realtà del Tao[41]).[79] Nel secondo significato descritto nel periodo Shangqing e Lingbao questi xian avrebbero deposto il loro corpo corruttibile per passare ad un corpo di materia stellare.[80] Nel terzo significato sarebbero spazi interiori raggiungibili tramite l'alchimia interiore[41][51]. Ma quest'ultimo stadio è probabilmente il più pregno: si tratterebbe di raggiungere realtà più alte attraverso una purificazione morale, spirituale e cognitiva, fino ad un punto che non sarebbe estinta dalla morte.[81]
Nonostante quando si parli di alchimia (in ambito del daoismo) si intenda la ricerca della immortalità[82], più specificatamente, secondo Arena l'alchimia daoista nasce spirituale anche quando ha traguardi molto concreti. Solo se l'individuo ha raggiunto certi livelli di crescita, le tecniche di meditazione sono efficaci; e per farlo è necessaria un'etica rigorosa: l'amore universale è la migliore pratica.[83] Si possono distinguere due diverse tradizioni dell'alchimia:
I primi documenti scritti risalgono all'VIII secolo[86] In quest'epoca si sviluppò l'alchimia interiore. L'alchimia interiore non cercava di fabbricare un prodotto, bensì era soprattutto una tecnica di illuminazione[87]; essa:
Per dirla come Isabelle Robinet (che riprende inevitabilmente anche il problema della differenza tra il daoismo come religione e come filosofia) questo differenziarsi è persino un falso problema, in quanto lo scopo ultimo delle varie tecniche interiori ma anche esteriori è l'esperienza religiosa, se non mistica. Scrive infatti:
«queste tecniche erano destinate [...] a portare all'estasi ed all'esperienza mistica. [...] esse erano impiegate in tal senso ed [...] erano conosciute da Zhuāngzǐ, che ad esse fa allusione [...]. Si potrebbe anche aggiungere che, come criterio valido per stabilire ciò che fa parte o no del daoismo, si potrebbe considerare la combinazione o la cumulazione delle tecniche di immortalità e dello scopo ultimo che porta all'esperienza, se non mistica, almeno religiosa.»
«Niente ha presa sul corpo quando lo spirito non è turbato. Niente può nuocere al saggio, avvolto nell'integrità della sua natura, protetto dalla libertà del suo spirito.»
Traggo dalla Encyclopedia of Taoism di F. Pregadio:" Lo scopo del neidan è descritto come raggiungere l'immortalità od uno stato di unione con il Dao, variamente immaginato come ottenere il grado di immortale (tianxian)( fill), diventare un "funzionario celeste" (tianguan 7C '§) nella burocrazia ultraterrena, unendo il proprio spirito con il dao (yu shen he daoWf$ i' r:iE:), o ottenendo "la liberazione dal corpo" (*shijie). [...] mentre le tradizioni waidan sono attestate in Cina almeno dal secondo secolo BeE, il neidan come lo conosciamo oggi è uno sviluppo relativamente tardo [...] l'incremento di popolarità del neidan ha coinciso in gran parte con il declino del waidan. [90]
Il Neidan può essere considerato complementare al daoismo più liturgico che, in quel periodo, era rappresentato dai Maestri del Cielo.[91] L'alchimia interiore non cerca di fabbricare un prodotto bensì è una tecnica di illuminazione[88]. Ancora più specificatamente abbiamo nel Neidan:
Ge Hong (esponente del waidan) anela ad un uomo che sia appartato, distante, che si trovi bene ovunque, senza però farsi coinvolgere, nulla può ostacolarlo... non muore, perché l'oro ed il cinabro ne rinforzano la circolazione e la respirazione, pure l'ombra non viene proiettata. Nell'ambito del neidan troviamo: Wu Yun (?-779), Zhang Boduan (?-1082), Chen Tuan (906-989) e la corrente Quanzhen[92]. Certamente, riferendomi al waidan, siamo ovviamente distantissimi dalla non azione; si perdono certe profondità passando ad un esercizio più tecnico: questo transito ha un prezzo grave da pagare.[93]
Quando si parla di alchimia (in ambito del daoismo) si intende la ricerca della immortalità[78]. Più specificatamente, secondo Arena l'alchimia daoista, anche quando ha traguardi molto concreti, nasce spirituale. Solo se l'individuo ha raggiunto certi livelli di crescita, le tecniche di meditazione sono efficaci. Per raggiungere questi livelli è necessaria un'etica rigorosa: l'amore universale è la migliore pratica.[79]
Ci sono parecchi simboli ed immagini collegati al daoismo. Il simbolo principale è il Taijitu (太極圖) spesso accompagnato da otto trigrammi (bagua 八卦) (道教 pinyin: bāguà; Wade–Giles: pakua; Pe̍h-ōe-jī: pat-kòa)
Le controparti yin e yang sono rispettivamente di colore nero (o blu) la parte yin e di colore bianco (o rosso) la parte yang. Il simbolo si può trovare su bandiere e loghi delle associazioni daoiste, nei templi e sugli abiti dei chierici. Direttamente derivato dal Taijitu è il Tomoe, diffusosi in particolare nello Shintoismo giapponese.
Il buddismo, importato dall'India promuove (come il daoismo) l'armonia con la natura ma, il suo punto focale è l'eradicazione della sofferenza nell'uomo, attraverso la meditazione e l'illuminazione[94] La relativa vicinanza di temi rispetto al buddhismo — pur nella sostanziale differenza di prospettive — ha fatto sì che si creassero diverse forme di sincretismo fra le due fedi, con condivisione e scambio di elementi religiosi e divinità. Il che è avvenuto soprattutto sotto le dinastie Sui e Tang.[22]
Il contatto del buddismo con la tradizione daoista ha portato alla scuola del buddhismo Zen, diffusa soprattutto in Giappone.
«Il confucianesimo dunque, rappresenta il lato pratico, sobrio, sociale della vita e del carattere del popolo cinese, bilanciato, in questo senso, dal taoismo, che rappresenta l'aspetto metafisico, artistico, allegro.»
Pur promuovendo una vita in armonia con la natura, l'intento del Confucianesimo è di ordine, morale e politico.[94] I rapporti con il confucianesimo sono molto complessi. Le due correnti di pensiero infatti scaturiscono da premesse molto differenti:
Ma la questione diviene via via più complessa se possiamo leggere una netta avversione per Kǒngzǐ (più noto come Confucio) e la sua corrente, in Zhuāngzǐ e Liezi ed al contrario, trovarlo descritto come esempio massimo di maestro, in alcuni filosofi neotaoisti (quali Wang Pi[98] e Kuo Hsiang[99].
Anche in Kang-Tsang-Tzu, daoista dell'VIII secolo d.C.[101], c'è il tentativo di portare nel daoismo elementi confuciani, ad esempio nell'esercizio della pietà filiale, e nella pratica dei riti e della musica
Spesso il confucianesimo ha rimproverato al daoismo un certo grado di egoismo in quanto il daoismo sarebbe distante dall'agire sociale e ricercherebbe per lo più la salvezza individuale[102] Altra grande differenza è il Li (ovvero l'attenzione al rituale) che era uno strumento fondamentale, mentre erano considerati non importanti per i daoisti.[103]
D'altra parte il confucianesimo riuscì a liberarsi di tutti i residui orgiastici ed estatici.[104]
Altra differenza tra daoismo e confucianesimo riguarda il confronto con l'apparato burocratico dello stato.
Per il daoista ideale è uno stato poco burocratico ed ideali erano piccole comunità fondate sul modello contadino, mentre per il confuciano, la burocrazia centralizzata dello stato era preponderante[28]. Ma ancora, mentre per il daoista il sovrano doveva raggiungere l'unione mistica con il dao per ben governare, per il confuciano al sovrano bastava l'approvazione celeste e la appropriazione di virtù etico sociali[28].
Tale filosofia era priva di aspetti religiosi e mistici e focalizzava i propri insegnamenti sull'obbedienza alle leggi.[105] Una sintesi tra alcuni elementi delle due dottrine è presente in Kang-Tsang-Tzu[106].
Tratti legisti, oltre che confuciani, emergono in un testo spurio, di chiare fattezze daoiste, che si presenta anche come Commentario al Daodejing, e cioè Wenzi.[107]
Sia per un daoista che per un confuciano, la religione popolare, sostanzialmente animistica, aveva ben poco significato. Entrambe le filosofie cercavano un tipo di redenzione, pur con percorsi ben diversi, ed entrambe le correnti erano convinte che un governo ideale servisse molto più che le pratiche religiose a tenere a debita distanza i "demoni".[28]
Come scritto in precedenza, il daoismo è più una pratica, piuttosto che una credenza. È una pratica di caste sacerdotali gelose del loro insegnamento e della loro elitarietà. Ancora importante è il legame con il potere centrale presso la corte dell'imperatore. Ma qui i metodi dei maestri daosti potevano cambiare da persona a persona e da scuola a scuola: "essi vanno da una gestione saggia del ruolo di consigliere dell'imperatore, al non intervento basato sul fatto che l'ordine si instaura naturalmente se gli uomini non interferiscono, od ancora alle grandi cerimonie propiziatorie." Altri daoisti si rifiutarono di recarsi a corte alla chiamata dell'imperatore.
Altri, come i famosi sette saggi del bosco di bambù 竹林七賢 si ritirarono ad una vita ai margini, per lo più ubriachi. Questa propensione anarchica naturale nel daoismo, insieme ai legami con larghi strati popolari, ha fatto sì che parecchie ribellioni contro i poteri fossero guidati da daoisti (vedi ad esempio quella delle "Cinque misure di riso", quella di Sue En nel 399 d.C. e di Zhong Xiang nel XII secolo,[43], oppure la rivolta dei Boxer nel XX secolo).
Come soprascritto il termine daoismo religioso è fonte di contraddizione: nonostante ciò è ancora attualmente utilizzato. [108]. Esso convive spesso assieme alla Religione popolare.
Come ebbe a dire Isabelle Robinet:
«Le divinità taoiste sono impersonali, [...] si moltiplicheranno man mano che il Taoismo acquisterà un carattere più popolare, quando cioè santi locali ed eroi leggendari vi saranno incorporati perduti nella massa»
Max Weber sostiene anche:
«Gli dei e gli spiriti erano esseri potenti. Nessun singolo dio od eroe divinizzato, e nessuno spirito, per quanto potente, era però onnisciente od onnipotente. La sobria saggezza dei confuciani constatava senza pregiudizi, in caso di disgrazia di uomini pii, che "la volontà di Dio è spesso instabile". Tutti questi esseri sovrumani erano sì più forti dell'uomo, ma stavano molto più in basso della suprema potenza celeste impersonale (ed anche al di sotto di un ponteficie imperiale che godeva della grazia celeste).»
Ed aggiunge ancora che se poi si dimostrava che uno spirito tutelare non era così forte da proteggere gli uomini, nonostante i sacrifici fatti a lui, lo si abbandonava; e ciò era fatto frequentemente. Nel 1455, ad esempio, l'imperatore tenne una punizione ufficiale contro lo spirito del monte Tsai.[111]
Come soprariportato il daoismo ha la vocazione ad essere marginale. In particolare la Robinet sostiene il concetto che: tutto ciò che non cadeva nelle categorie della conoscenza ufficiale od usciva dal quadro di riferimento di particolari tecniche, tutto ciò che era altro senza essere buddista, era destinato ad essere daoista[112]
Ancora di basilare importanza, suonano queste parole:
«In the English-speaking world in particular, the student in search of a clearer idea of just what Daoism might be has not been helped by the recent appearance of new "translations" of the Laozi accomplished by those whose preparation for the task has been the study of martial arts, by Western works of "oriental mysticism," or by the proliferation of self-help manuals confidently proclaiming the Dao of corporate negotiation and the like.»
«Nel mondo anglosassone in particolare, lo studioso che ricerca una più chiara idea di ciò realmente è il daoismo, non è certo aiutato dall'apparire di nuove traduzioni di LaoZi compiute da coloro la cui preparazione per questo compito, è stato lo studio delle arti marziali, o da lavori occidentali di misticismo orientale o dalla proliferazione di manuali di auto-aiuto che si occupano del dao-del-negoziato-aziendale o temi simili.»
Dopo di ciò: Il daoismo sia esso filosofico, religioso, religione popolare.... ha alcune linee di pensiero sottostanti e comuni che sono:
Ma come ormai consuetudine «il vero daoismo non può essere descritto».... per cui il Nei Yeh (composto circa tra il 400 ed il 300 prima di Cristo) rigetta in pieno, tra le altre, il primitivismo[114][115]
Per comprendere alcune caratteristiche della religiosità cinese è necessario considerare alcuni concetti generali:
Approssimativamente si può sostenere che la religione cinese abbia un punto cardine: l'assenza di interessi puramente individuali[116]; esprimendosi poi in due filoni principali
Secondo Weber il culto ufficiale (fortemente impersonale) era fondamentalmente incomprensibile per la grande massa di contadini che, di conseguenza, si rivolsero alle suddette divinità di funzione (vedi anche qui sotto), ignorate invece dal potere centrale[117]. Non solo, ma la "intellighenzia" considerava eterodossa la cosiddetta religione popolare (con esclusione del buddismo), manifestando invero un certo imbarazzo nei suoi confronti pur sospendendo qualsiasi giudizio su questo genere di approccio (in modo non dissimile a quanto accadeva nella Grecia classica tra filosofia e religione)[118].
Tipicamente cinese è anche il sentimento per cui il mondo della natura e la società umana, siano strettamente legati e solidali. Questo sentimento, secondo Marcel Granet, per lo più solo emotivo all'inizio, diventò, col tempo, fortemente dogmatico[119]
Fin dall'epoca feudale (all'incirca il IX secolo a.C.) ed andando via via un poco attenuadosi, si evidenzierà una grande separazione tra la vita dei contadini e quella dei cittadini.[120] Già sopra abbiamo menzionato come il potere centrale si disinteresserà delle divinità di funzione, preferite invero dal mondo contadino.
Indubbiamente questa separazione teorica tra daoismo "istituzionalizzato" e religione popolare è rigida e scolastica. Questi due momenti sono invece estremi in un costante dialogare. Ad esempio nella moderna pratica nella regione meridionale di Taiwan hanno molta importanza i medium tra l'uomo e la divinità([121])
Il Dio delle religioni centroasiatiche e mongoliche è, assieme al Sovrano, il garante dell'ordine universale. Si tratta di un Dio distante: se non interviene l'uomo, ancor meno interviene Lui. [122]
Il concetto di stirpe ha una grande importanza in Cina. Anticamente ( fino all'inizio del 900[senza fonte] ) la vita sociale e le tradizioni erano organizzate intorno ad un antenato cui era rivolta devozione[123]. Per ogni stirpe esisteva un dio contadino duplice, (ovvero la fusione di uno spirito della terra fecondo e lo spirito del raccolto) ed uno spirito antenato[non chiaro][124] Con l'accrescersi dei "principi" nel potere centrale essi divennero spiriti del territorio del principe, fino a divenire un Dio personale sul tipo del greco Zeus. Con l'ulteriore salita del potere centrale lo spirito celeste assunse una impronta sempre più impersonale a differenza di quanto avvenne in territorio mediorientale[non chiaro][125]
Anche la famiglia aveva (in epoca feudale) una vita particolare, essa era identità sostanziale, generalmente isolata, si scambiava coi vicini in due momenti particolari ovvero:
Il carattere tipicamente pacificato verso l'esterno dell'impero cinese, dopo una prima fase militaristica, non ha permesso la "scalata del potere" al cavaliere addestrato alle armi.[127] Gli dei guerrieri non salirono mai l'Olimpo[128]. Gli imperatori compivano l'aratura, mai si trattava di principi cavallereschi.[128] È noto che in epoca storica solo un generale vittorioso sia stato proclamato imperatore dall'esercito (ovvero Wang Mang intorno all'anno 1)[129]
La religione costituita (vedi religione popolare cinese) era di ben scarso interesse per il mistico cinese (si pensi a Laozi) oppure per Kǒngzǐ (latinizzazione di Confucio), entrambe le correnti però la accettavano[28]. A ciò valga il detto cinese per cui "il Cielo è uno e la Terra molteplice". Ciò starebbe a significare che il Cielo era unitario in quanto oggetto del culto del sovrano, mentre i culti contadini si rifacevano a multiple divinità agrarie'[130]
La tipica scrittura cinese, ovvero l'ideogramma, a differenza della scrittura alfabetica, era orientata principalmente alla vista e non all'udito. Secondo Max Weber questa caratteristica diede alla letteratura cinese un'impronta intuitiva a discapito del pensiero sistematico e della retorica. Il letterato quindi "trovava rifugio" nella bellezza dell'ideogramma, mentre il parlare rimase solo un affare della parte povera della popolazione. Una grande antitesi con la grecità per cui il dialogo (Logos) era tutto[131].
In Cina l'antico ordinamento sociale era intoccabile. Il cielo era custode della stabilità. "La garanzia della tranquillità e dell'ordine interno era offerto nel migliore dei modi, da una potenza qualificata nella sua impersonalità [...] alla quale dovevano rimanere estranee la passione e soprattutto l'ira"[132]
I due principali paradigmi della religiosità cinese sono: il culto di stato ufficiale che serviva gli interessi della comunità e il culto degli antenati che serviva agli interessi del gruppo familiare[116]
Gli interessi personali in entrambe le linee religiose erano impensabili.[116] "Il cielo, la potenza celeste impersonale non parla agli uomini, si rivela attraverso il modo del governo terreno e quindi nell'ordine stabile della natura e della tradizione, che è parte dell'ordine cosmico."[133].
«In luogo di un dio creatore sopramondano si considerava come essere ultimo e supremo un essere sopradivino, impersonale, sempre identico a se stesso, eterno nel tempo, che rappresentava al tempo stesso la validità intemporale di ordinamenti eterni. La potenza celeste "non parlava" agli uomini si rivelala loro attraverso l modo del governo terreno, e quindi nell'ordine stabile della natura e della tradizione, che era parte dell'ordine cosmico, nonché, come ovunque attraverso ciò che accadeva agli uomini.»
In ultimo:
«l'assenza di un Dio personale, che disponesse a piacere di tutto ciò che è creaturale, [..precludeva..] la via verso un'etica ascetica orientata in base all'antitesi tra Dio e la creatura»
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