Simpatia
inclinazione positiva verso una persona, un concetto o un'idea Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
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La simpatia, nel senso comune, indica un'inclinazione positiva verso un'altra persona, o più in generale rispetto a un concetto o un'idea.[1]
Il termine deriva dal greco sympatheia, parola composta da συν + πάσχω (syn + pascho = συμπάσχω), letteralmente «patire insieme», «provare emozioni con...».[1]: nel suo significato etimologico il termine indica quindi un sentimento di partecipazione alle emozioni altrui, siano esse positive o negative.
Lo stato psicologico della simpatia ha tratti in comune con quello dell'empatia, ma anche divergenti.[2]
Le principali definizioni sono:
Per questo è possibile provare:
Nell'antichità la simpatia (dal greco syn-patheia, «sentire assieme») veniva intesa non solo come un sentimento umano di natura psichica o emotiva, ma come una forza cosmica, capace di pervadere ogni creatura e persino gli elementi fisici. Alla base di questa forza vi era secondo gli Stoici una concordanza occulta fra i vari aspetti della realtà, dovuta alla penetrazione universale dello stesso Logos-Fuoco, principio di coesione, di movimento, e di vita.[4]
Come in un gigantesco organismo vivente, abitato da una sola grande Anima, le varie parti dell'universo comunicavano tra loro vibrando all'unisono, attraversati dal medesimo respiro o soffio spirituale (pneuma), che creava quella interdipendenza in virtù della quale ogni singolo accadimento si ripercuoteva su ogni altra regione del mondo.
Simpatia era quindi il riverbero o l'influenza che un punto colpito da un evento esercitava su un altro situato anche a distanza.
«Supponendo che la natura formi un tutto ben collegato e coerente [...] che l'intero universo sia uno [...] gli Stoici hanno raccolto più di un esempio a sostegno di questa tesi: [...] se si toccano le corde di una lira, le altre corde risuonano; le ostriche e tutte le conchiglie crescono e si restringono di volume insieme alle fasi della Luna; [...] il flusso e il riflusso delle maree sono controllati dai moti lunari.»
Anche secondo Plotino (205-270 d.C.) la simpatia è «come una singola corda tesa che, toccata a un'estremità, trasmette il movimento all'altra estremità».[5] Il termine greco simpatia poteva estendersi all'animismo come nell'occultista Bolo di Mende (II secolo a.C.), il quale parlava di consonanze astrologiche, misteriosofiche e alchimistiche tra oggetti inanimati ed esseri viventi.
Nel Rinascimento l'argomento sarà affrontato da diversi autori, tra cui Marsilio Ficino, Paracelso, Girolamo Cardano, Tommaso Campanella, Giambattista Della Porta, che concepivano un universo animato da reciproche simpatie e antipatie.[1] Essi tradussero operativamente questo sapere filosofico nella pratica della magia naturale, basata in gran parte sui fenomeni simpatetici.[6][7]
In età moderna i maggiori teorici del fenomeno della simpatia, sebbene limitata all'ambito sentimentale dell'essere umano, sono stati David Hume, Adam Smith, e Max Scheler.
Un ritorno alla concezione cosmica della simpatia si è avuto in seguito in Schopenhauer, che parla di Mitleid ossia di compassione morale per la sofferenza altrui,[8] e nella filosofia antroposofica, per la quale la simpatia compenetra la vita soggettiva dell'anima con sentimenti di attrazione, antitetici a quelli di repulsione che invece rendono possibile il distacco proprio della conoscenza oggettiva.[9]
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