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concetto dell'antica religione germanica Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I Germani sono una etnia indoeuropea che si stanziò a partire dal XV secolo a.C. in un territorio compreso tra la Germania settentrionale, la Danimarca e la Svezia meridionale. Da questa regione questa etnia iniziò a spostarsi progressivamente verso ovest e verso sud. A tale etnia appartengono, tra gli altri, i popoli: Senoni, Norreni (noti anche come Vichinghi), Angli, Marcomanni, Goti, Vandali, Burgundi, Cherusci, Franchi, Svevi, Longobardi, Frisoni, Sassoni. I Germani furono cristianizzati a partire dal IV secolo (Goti) fino al XII secolo (Scandinavi).
«Io so che esiste un frassino chiamato Yggdrasill, un alto albero bagnato di bianca brina; di là derivano le rugiade che cadono nelle valli, e sempre verde sta presso la fonte di Urðr. Di là vengono tre donne molto sagge, dalla sala che sta attorno a quell'albero; una si chiama Urðr, un'altra Verðandi, incidono rune, un'altra Skuld; esse fissarono le sorti e decidono la vita dei figli degli uomini, del destino degli eroi.»
Ricostruire la religione dei Germani e il loro rapporto con il sacro è compito piuttosto arduo considerando che essa era priva di un sacerdozio dedicato e di veri e propri templi[1].
Il sacro nella lingua germanico-scandinava è reso con due termini di base: Heilagaz e Wihaz: il primo indica una realtà numinosa ed è collegato al mondo degli Dei, il secondo invece corrisponde ad una forza misteriosa che lega l'uomo al suo Destino (Gaefa)[2].
Heilagaz (anche Heil o Heilig) indica ciò che è inviolabile, ciò che è sacro. Da questo termine deriva l'aggettivo Heilgar inteso come inviolabilità.
Heilagaz è il dono delle potenze trascendenti offerto all'uomo come "forza innata", è anche la volontà degli Dèi che va conosciuta per mezzo della divinazione e degli oracoli.
Il mondo dei Germani è infatti un mondo rigidamente segnato dalla nozione di "Destino" (Gaefa)[3] e in questa dimensione il sacro è legato alla consultazione del futuro che attende l'uomo, attraverso la divinazione.
Régis Boyer, ricordando in merito la nozione di hugr (quando un personaggio viene colto da un presentimento ed esprime svá segir hugr mér, "lo hugr mi dice che"), ritiene che:
«Questa è senza dubbio la ragione per cui la divinazione, cioè la consultazione degli àuguri, era tenuta in gran conto, almeno a giudicare da quel poco che sappiamo sul culto presso i Germani»
Il Gaefa dell'uomo è un dono delle potenze trascendenti[4] esso va accettato in modo attivo e non subendolo altrimenti perde il suo senso[5]. Il Destino è dunque il luogo sacro dei Germani che non conoscevano né adorazioni né preghiere. Anche gli Dèi dei Germani dipendono dal Gaefa, l'intero universo era plasmato da esso.
«Tutto, dei, uomini cose ed elementi è dotato di un megin, cioè in ultima analisi della volontà di organizzare il caos, di assicurare un ordine che corrisponda ad una destinazione senza dubbio chiara, ma da verificare, per assicurare a ogni essere almeno la possibilità di prendere tutto su di sé, realizzando un progetto supremo nella sua modalità specifica»
La comunità (Aett in Scandinavia, Sippe in Germania), in questa etnia, era fondante lo stesso rapporto col sacro, dimensione che legava tutti i membri di un clan portatori dell'hamingjia questa intesa come espressione degli stessi antenati e di tutta la discendenza ovvero l'onore (virding) e la forza della comunità da cui deriva anche il destino dell'individuo; per questa ragione il senso dell'onore e la fedeltà alla parola data erano essi stessi dimensione del sacro: l'offesa portata ad un individuo o da un individuo era portata alla stessa sacralità del clan e la vendetta un diritto sacro[5].
«Non c'è alcun testo che prescriva apertamente la vendetta; ma non ce ne sono neppure che la condannino anche se poco giustificata. Chi attenta al mio onore, costruito secondo la mia concezione personale, si fa beffe del sacro che è in me, tende a dissacrarmi. Tutto ciò chiede una compensazione (hót) ...»
L'unico modo per un Germano per attestare la sua aderenza all'hamingjia era manifestarla con i comportamenti che dovevano dimostrare accettazione del Gaefa (la dimensione sacra del Destino) e il rispetto dell'hamingjia (la dimensione sacra della comunità), quindi dell'onore e della fedeltà alla parola data al proprio clan di fronte alle prove della vita, ivi compresa la condotta in guerra[6].
Il luogo di culto dei Germani veniva indicato con l'altro termine base, Wihaz (vé in scandinavo, vigjia in norreno, weihs in gotico), tale luogo era all'aria aperta, spesso adiacente ad alberi o a fonti sacre.
Il capo del clan (Helgi) veniva eletto (intronizzato, arfleiding) dagli altri membri e svolgeva anche funzioni sacerdotali includendo la dimensione dell'Hailagaz e del Wihaz e se si dimostrava indegno del suo compito veniva esso stesso sacrificato ovvero riconsegnato al Destino.
Due comportamenti erano aborriti in questi popoli: l'omosessualità e il tradimento[7][8].
La famiglia era invece considerata centrale nel rapporto con il sacro a tal punto che la stessa classe degli Dèi era divisa in famiglie e il rito della nascita di un individuo era considerato tra i più importanti: la donna partoriva inginocchiata di modo che il neonato potesse venire accolto dalla Terra madre, purificato con l'acqua veniva mostrato al Sole e solo dopo gli veniva assegnato un nome che doveva richiamare insieme sia quello del padre che quello della madre; dopo l'assegnazione del nome, il bambino veniva integrato nella famiglia[9]. Colui che violava le regole e l'onore della comunità veniva invece proscritto dalla stessa perdendo così il proprio destino e con esso la stessa ragione di vivere. Essendo i morti degli intermediari tra il sacro e i viventi, i defunti che erano stati in vita proscritti dalla comunità venivano seppelliti sotto cumuli di pietre o abbandonati in mare in quanto avevano perso qualsivoglia forma di esistenza[5].
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