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critico letterario e antropologo francese Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
René Girard (Avignone, 25 dicembre 1923 – Stanford, 4 novembre 2015[1]) è stato un antropologo, critico letterario e filosofo francese. Il suo lavoro appartiene al campo dell'antropologia filosofica e ha influssi su critica letteraria, psicologia, storia, sociologia e teologia. È stato professore di letteratura comparata presso la Stanford University (Stati Uniti) fino al momento del ritiro. Cattolico, ha scritto diversi libri, sviluppando l'idea che ogni cultura umana è basata sul sacrificio come via d'uscita dalla violenza mimetica (cioè imitativa) tra rivali. Le sue riflessioni si sono indirizzate verso tre idee principali:
Dal 1943 al 1947, a Parigi è alunno dell'École nationale des chartes, luogo di eccellenza per la formazione di archivisti paleografi, dove Girard difende una tesi sulla vita privata ad Avignone nella seconda metà del XV secolo (La vie privée à Avignon dans la seconde moitié du XVe siècle).
Nel 1947, si trasferisce negli Stati Uniti grazie all'assegnazione di una borsa di studio. Ottiene così il dottorato in storia nel 1950 presso l'Università dell'Indiana e comincia a insegnare letteratura. La sua carriera accademica, dopo i primi ruoli alla Duke University e al Bryn Mawr College tra 1953 e 1957, va dal 1957 al 1980 presso l'Università Johns Hopkins e dal 1981 fino al suo ritiro nel 1995 all'Università di Stanford, dove ha risieduto fino alla morte.
Nel 2001 gli viene conferita una laurea honoris causa in Lettere all'Università degli studi di Padova.
Il 17 marzo 2005, René Girard è eletto membro dell'Académie française[2][3].
Sposato, ha avuto tre figli.
René Girard, professore di letteratura francese negli Stati Uniti alla fine degli anni '50, ha un approccio nuovo a questo campo. Invece di cercare la "originalità" delle opere, cerca ciò che esse possono avere in comune e si accorge che i personaggi creati dai romanzieri si muovono in una dinamica di rapporti che si ritrova nei vari autori. La legge universale del comportamento umano, descritta dai grandi romanzieri, secondo Girard consiste nel carattere mimetico (nel senso di imitativo) del desiderio.[4]
Noi imitiamo dagli altri i nostri desideri, le nostre opinioni, il nostro stile di vita.
Tutto ciò significa che il rapporto tra soggetto e oggetto non è diretto e lineare, ma è sempre triangolare: soggetto, modello, oggetto desiderato. Al di là dell'oggetto, è il modello (che Girard chiama «il mediatore») che attira. In particolare, a certi stadi di intensità, il soggetto ambisce direttamente all'essere del modello. Per questo, René Girard parla di desiderio «metafisico»: non si tratta assolutamente di un semplice bisogno o appetito, perché «ogni desiderio è desiderio d'essere»[5], è aspirazione, brama di una pienezza attribuita al mediatore.
"Mediazione" è la relazione imitativa (mimetica) che si stabilisce tra il soggetto e il suo modello (mediatore).
Attraverso quella dei personaggi, è la nostra vita ad essere raccontata. Ciascuno di noi è attaccato all'illusione dell'autenticità dei propri desideri; i grandi romanzieri, invece, rappresentano implacabilmente tutte le menzogne, le dissimulazioni, le manovre, lo «snobismo» messi in scena dagli eroi proustiani per evitare di vedere in faccia la verità: i nostri desideri sono sempre imitazione di desideri altrui e per questo sfociano in invidia e gelosia. Alcuni personaggi bramano l'essere del mediatore, lo vedono avvolto di virtù sovrumane e nello stesso tempo abbassano se stessi, fanno di lui un dio facendo di sé stessi schiavi, e tutto ciò in misura tanto più grande quanto più intensamente il mediatore si pone quale ostacolo. È il masochismo, che può rovesciarsi nel sadismo, suo opposto, ogni volta che il soggetto, per rivincita, tenta di ribaltare la propria situazione esistenziale e per farlo diventa aguzzino di chi è più debole di lui.
Credere all'autonomia dei nostri desideri è l'illusione romantica che è alla base di gran parte della letteratura. Scoprire la realtà del desiderio, svelare e riconoscere il mediatore, è ciò che realizzano i grandi romanzieri, è accedere alla verità romanzesca.
La concezione mimetica stacca il desiderio dall'oggetto e contemporaneamente fa della violenza una conseguenza della rivalità, mentre il complesso di Edipo postulato da Sigmund Freud fonda il desiderio sul valore oggettivo dell'oggetto, la madre, e deve presupporre una coscienza della rivalità e delle sue distruttive conseguenze. La consapevolezza, inverosimile presso un bambino, di voler possedere la propria madre a costo di uccidere il padre, costringe Freud a introdurre man mano tutti i vari istinti, pulsioni e strutture psichiche che contraddistinguono la sua teoria, come l'istinto di morte, l'Es, il Super-Io... Invece la teoria del desiderio mimetico si può applicare direttamente al complesso di Edipo rendendolo totalmente intelligibile: se il bambino desidera sua madre è perché è in un rapporto di imitazione con il padre. Vale a dire che è perché il figlio imita totalmente il padre che finirà eventualmente per desiderare la madre (a condizione che il padre desideri - o sembri desiderare - la madre).
«Il sacro è la violenza.»
La rivalità mimetica che si sviluppa a partire dai conflitti per l'appropriazione degli oggetti è contagiosa (in quanto imitata). La minaccia all'orizzonte è quella della violenza generalizzata. Orientando il suo interesse verso il campo antropologico, Girard studia la letteratura etnologica che lo porta a formulare la sua seconda ipotesi fondamentale: il meccanismo di capro espiatorio (o meccanismo vittimario), all'origine delle religioni arcaiche, che egli espone nel suo secondo libro, La violenza e il sacro (1972).
Se due individui, imitandosi, desiderano la stessa cosa, può benissimo aggiungersi un terzo, un quarto… e il conflitto dei primi si allarga. La violenza è essa stessa imitativa e si può quindi assistere ad un processo a catena. L'oggetto della contesa passa in secondo piano e il conflitto mimetico si trasforma in antagonismo generalizzato. Ma quando la violenza non può scaricarsi sul nemico che l'ha eccitata, si sfoga, come ognuno di noi ben sa, su un bersaglio sostitutivo. In particolare, la violenza, che fino ad ora ha continuato a consumarsi in micro-conflitti, può anche focalizzarsi su una sola vittima arbitraria. Allora la folla si raccoglie unanime attorno alla vittima e la distrugge. L'eliminazione (espulsione o uccisione) della vittima fa sfogare la frenesia violenta da cui ciascuno era posseduto fino a poco prima e ciò ha sul gruppo un impatto emotivo incalcolabile. La vittima appare ora contemporaneamente come l'origine della crisi e come la responsabile del miracolo della pace ritrovata. Essa diviene sacra ai loro occhi, proprio perché prodigiosamente capace di scatenare la crisi come di ripristinare la pace, ha cioè potere di vita e di morte sul gruppo: è il dio. Questa è secondo Girard la genesi del religioso e in particolare:
Questa elaborazione religiosa si sviluppa lentamente e progressivamente, ad ogni successiva crisi mimetica, la cui risoluzione riporta la pace solo temporaneamente. L'elaborazione dei riti e delle proibizioni costituiscono una sorta di sapere empirico sulla violenza.
Se gli esploratori e gli etnologi non hanno potuto essere testimoni di questi ipotetici fatti che risalgono alla notte dei tempi, è altresì vero che le prove indirette abbondano, come l'universalità del sacrificio rituale in tutte le culture umane e i miti raccolti dai popoli più disparati. Se la teoria è vera, allora nel mito sono rintracciabili:
Girard trova questi elementi in numerosi miti provenienti da ogni parte del mondo, a cominciare da quello di Edipo. Su questo punto egli si oppone a Claude Lévi-Strauss.
In Delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (1978), Girard sviluppa le implicazioni della sua scoperta, andando a invadere i campi più disparati del sapere. Il meccanismo vittimario è l'anello mancante nel passaggio dal mondo animale al mondo umano, perché permette di azzardare una spiegazione dell'ominizzazione dei primati individuando nell'istante della riappacificazione collettiva la nascita del pensiero simbolico e del linguaggio e nel cadavere della vittima il primo simbolo. I primi ominidi si differenziarono dai primati per aver ereditato geneticamente un'attitudine maggiore all'imitazione (che già secondo Aristotele differenziava l'uomo dall'animale) il che li espose a frequenti crisi mimetiche e ciò portò all'innesco del processo vittimario. Allora tale meccanismo permette a Girard di spiegare, ad esempio:
Girard sostiene che l'origine della cultura non sia nè determinata dalla struttura (Marx), né da ricondurre alla sfera della sessualità (Freud), ma religiosa, come aveva ipotizzato Émile Durkheim. L'elaborazione dei riti e dei divieti da parte dei gruppi proto-umani o umani prenderà forme infinitamente varie, obbedendo comunque a una prescrizione pratica molto rigorosa: la prevenzione del ritorno della crisi mimetica. Nel religioso arcaico si può quindi rintracciare l'origine di ogni istituzione culturale, dalla filosofia (che nasce come riflessione sul religioso), alla letteratura (che passa dal mito al romanzo passando per la leggenda, il poema, la fiaba, ecc.), alla politica. La sua teoria, a detta dello stesso Girard, non pretende di essere niente più che un'ipotesi non suscettibile di essere provata sperimentalmente, essendo enormemente lungo il periodo di tempo necessario per produrre i fenomeni descritti, ma che risulta interessante per il suo potere esplicativo prodigioso. Se la teoria di Girard si presenta già come naturale prolungamento della biologia al campo del sociale, è interessante notare che ultimamente proprio dalla biologia si è avuta un'inattesa conferma delle ipotesi girardiane, con la scoperta dei neuroni specchio.
L'analisi del concetto di "capro espiatorio" conduce Girard ad approfondire la cultura giudaico-cristiana, a partire dal testo L'antica via degli empi, laddove il capro espiatorio si incarna nella figura di Giobbe. A giudizio di Gianfranco Mormino, da anni studioso del pensiero girardiano, il ruolo espiatorio del Giobbe di Girard si può accostare a quello del Mosé liberatore o dell'Edipo che sconfigge la Sfinge, nell'ottica che trasforma gli eroi e salvatori di una certa cultura, appartenenti a un dato contesto storico, in potenziali cause espiatorie per future sciagure occorse in seguito al momento eroico-salvifico[6].
In Delle cose nascoste René Girard affronta per la prima volta il tema del cristianesimo e la Bibbia. I Vangeli si presentano apparentemente come un mito qualsiasi, con la vittima-dio linciata da una folla unanime, avvenimento commemorato in seguito dai cristiani nel sacrificio rituale dell'eucaristia. I Vangeli sembrano addensare tutti gli elementi caratteristici dei miti provenienti dalle culture più diverse. Il parallelo è perfetto, eccetto che su un punto: la vittima, nei Vangeli, è mostrata innocente. I miti arcaici erano costruiti sulla menzogna della colpevolezza della vittima perché raccontavano l'avvenimento visto dalla prospettiva dei linciatori unanimi. È questo misconoscimento che permette al meccanismo vittimario (o al sacrificio rituale) di essere efficace nel produrre (o rispettivamente mantenere) la pace. Invece, i racconti evangelici per Girard affermano categoricamente e senza ambiguità l'innocenza della vittima, che diventa, minando il misconoscimento, il germe del superamento di ogni ordine sacrificale (cioè di ogni ordine culturale basato sulla violenza del sacrificio) sul quale riposa l'equilibrio delle società. Già l'Antico Testamento incrina i racconti mitici mostrando l'innocenza delle vittime (Abele, Giuseppe, Giobbe, Susanna...), ma è solo col Nuovo Testamento che si svelano le cose nascoste sin dalla fondazione del mondo (Matteo 13, 35), la fondazione dell'ordine del mondo sull'omicidio, descritto in tutta la sua cruda storicità, senza deformazioni mitiche, nel racconto della Passione. La rivelazione è tanto più radicale in quanto il testo biblico sfoggia una sapienza assoluta sul desiderio e sulla violenza, a partire dalla metafora del serpente che suscita il desiderio di Eva fino ad arrivare alla forza prodigiosa del mimetismo che piega Pietro al rinnegamento nel momento della Passione. Girard mostra la potenza descrittiva dei processi mimetici di alcuni termini chiave del testo biblico:
Nei Vangeli, il dio della violenza è scomparso e si rivela un altro Dio, totalmente estraneo ad ogni logica di violenza e sistematicamente dalla parte delle vittime innocenti. In questi testi ognuno si trova davanti alla propria responsabilità, l'invidiante come l'invidiato: guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo! (Matteo 18, 7). Come ha detto Simone Weil: Prima di essere una teoria su Dio, una teologia, i Vangeli sono una teoria sull'uomo, un'antropologia[7].
La Rivelazione evangelica contiene la verità sulla violenza, a nostra disposizione da duemila anni, secondo Girard. Com'è possibile, allora, che essa non sia riuscita a porre fine all'ordine sacrificale fondato sulla violenza nemmeno nella società, quella occidentale, che per più tempo si è detta cristiana? Secondo Girard la Rivelazione evangelica ha messo in crisi la nostra società, decomponendo l'ordine sacrificale. Se la cristianità medievale ha mostrato il volto di una società ancora sacrificale capace di ignorare le proprie vittime, l'efficacia delle istanze sacrificali non ha cessato di ridursi via via che il misconoscimento si ritira; Girard riconosce in questo il principio della singolarità e delle trasformazioni della società occidentale. Il crollo dell'ordine sacrificale non significa meno violenza, ma anzi l'impossibilità, per la violenza sacrificale, di risolvere le crisi mimetiche instaurando nuovi ordini, almeno temporanei. L'innocenza dei tempi del misconoscimento è perduta per sempre e il nostro mondo è soggetto ogni giorno di più al rischio di un'escalation (mimetica) di violenza inarrestabile. D'altra parte il cristianesimo, insieme al giudaismo, ha svelato le strutture sacrificali di ogni forma culturale e allo stesso tempo ha desacralizzato il mondo rendendo possibile un rapporto utilitario con la natura. Questa situazione mette progressivamente l'uomo in uno stato di sempre maggiore responsabilità e sempre minore inconsapevolezza. La Rivelazione ha tolto alla società umana la possibilità di risolvere i propri conflitti in modo sacrificale; per questo, la fine della violenza, se mai si raggiungerà, sarà possibile solo se ogni individuo vorrà accogliere attivamente e responsabilmente il contenuto dei Vangeli.
Nelle sue opere successive, Girard ha cercato di ripercorrere le tappe della sua teoria nell'intento di formularla in modo sempre più chiaro esaminando di volta in volta nuovo materiale e non ha cessato di tornare sulle sue analisi per approfondirle e precisarle. In Il capro espiatorio (1982) Girard esamina, tra gli altri, i testi di persecuzione, risalenti al XIII secolo, che addossavano agli ebrei le accuse di infanticidio, di incesto, di avvelenare i pozzi, che sono stereotipi persecutori rintracciabili in molti miti. Così per la persecuzione degli ebrei durante la peste nera o la caccia alle streghe. Se il carattere falso di queste accuse è un'evidenza per tutti noi, nel caso di questi testi, perché non lo è nel caso dei testi mitici? Inoltre quest'opera contiene analisi mimetiche di alcuni brani evangelici.
Nel testo "Portando Clausewitz all'estremo" (Adelphi 2008), Girard affina e sintetizza le sue posizioni sul mimetismo e sul ruolo demistificatorio (e quindi salvifico) del cristianesimo partendo dalla figura di Clausewitz letta in chiave paradigmatica: attraverso il suo trattato "sulla guerra" è possibile infatti mostrare come la storia non si muove seguendo nessuna riconciliazione hegeliana, nessuna pacificazione razionalista tra gli opposti. Invece secondo la sua personale interpretazione del testo di Clausewitz, in opposizione alla lettura "diplomatica" che ne dava Aron, il generale tedesco aveva previsto che la tendenza tra gli opposti era apocalittica, tendendo ad un progressivo e inevitabile escalation che poteva in potenza degenerare nell'annullamento totale. Bisogna quindi riappropriarsi della categoria del religioso, proprio perché ci permette di comprendere meglio come la tendenza mimetica regola non solo il nostro presente apocalittico, dove i fondamentalismi non fanno altro che esprimere la violenza gratuita, determinata dalla desacralizzazione del mito fondativo dell'agnello sacrificale, e dell'istituzione del sacro; ma anche per comprendere le rivalità e le dinamiche passate. Il testo invero scorre servendosi di numerose figure storiche attraverso le quali Girard analizza, sempre partendo da una prospettiva mimetica, le rivalità storiche tra Francia e Germania, le guerre napoleoniche, fino alla possibilità di una pacificazione europea, vista proprio attraverso gesti simbolici, come il celebre discorso di Ratzinger tenuto a Ratisbona. Se quindi, portiamo all'estremo l'intuizione clausewitziana sull'apocalisse (violenza totale), allora dobbiamo domandarci se sia possibile arrivare ad un mimetismo inverso, all'imitatio Christi, un modello pacifico che neutralizzi questa tendenza e convergenza di competizione e convergenza. La scelta vincente, l'alternativa alla competizione tesa al riconoscimento, deve essere quindi il silenzio, la rinuncia alla competizione, come fu quella compiuta da Hölderlin, attraverso il quale, nel silenzio, ci si avvicina alla divinità, all'annullamento dell'escalation.
Secondo René Girard ci sono tre stereotipi della persecuzione:
Accanto ai criteri religiosi e culturali, ve ne sono di puramente fisici. La malattia, la follia, le deformità, l'infermità tendono a polarizzare i persecutori. Per esempio all'interno di una classe a scuola, ogni individuo che prova delle difficoltà di adattamento, lo straniero, il provinciale, l'orfano, il povero o semplicemente l'ultimo arrivato è più o meno a rischio di vittimizzazione e di essere considerato dagli altri un infermo. Quando l'opinione pubblica di un paese ha scelto le sue vittime in una certa categoria sociale, etnica o religiosa tende ad attribuire a questa le infermità e le deformità che rafforzano la polarizzazione. Questa tendenza sfocia poi in caricature razziste. Oltre a un'anormalità fisica vi è anche un'anormalità sociale in quanto è la media che definisce la norma. Più ci si allontana dallo statuto sociale più comune più aumentano i rischi di persecuzione.
Infine Girard affronta la questione molto attuale di quando le differenze divengono motivo di discriminazione e persecuzione. «Non vi è cultura - scrive - all'interno della quale ciascuno non si senta differente dagli altri e non giudichi le differenze legittime e necessarie». Secondo Girard l'esaltazione contemporanea della differenza non è altro che l'espressione astratta di una maniera di vedere comune di tutte le culture.
«Non è mai la loro differenza specifica che si rimprovera alle minoranze religiose, etniche o nazionali; si rimprovera loro di non differenziarsi in modo opportuno, al limite di non differenziarsi affatto»
La persecuzione e l'odio si scatenano quando non è l'altro nomos che si vede nell'altro, ma l'anomalia, non è l'altra norma, ma l'anormalità; l'infermo si muta in deforme e lo straniero in apolide. Il non vedere l'altro come portatore di un sistema differente ma anormale non permette di poterlo distinguere come differente dal proprio sistema, ciò mette in crisi il sistema stesso perché non sa più come differenziarsi e rischia di cessare come sistema. Così le persecuzioni servono a chi le mette in atto anche solo verbalmente a riposizionarsi come gruppo minacciato dalla crisi identitaria del suo sistema che non sa più come differenziarsi dalle altre differenze.
René Girard si è convertito al cattolicesimo al tempo del lavoro al suo primo libro. Tuttavia egli afferma che la sua opera dev'essere considerata per il suo contenuto antropologico, come una qualunque altra ipotesi scientifica, che dev'essere giudicata in rapporto alla sua capacità esplicativa e alla sua semplicità e che la discussione e la critica devono dunque svolgersi sul terreno scientifico, senza preconcetti. Che si creda oppure no alla Risurrezione di Cristo, il testo biblico è a disposizione di qualsiasi lettore.
Negli anni Ottanta due economisti francesi, Michel Aglietta e André Orléan, hanno proposto una teoria della moneta fondata sul concetto girardiano di mimetismo. Dalla teoria del mimetismo di Girard trae forza la tesi che l'imitazione generalizzata converge verso una credenza comune su cui può costituirsi la liquidità assoluta (ciò che Aglietta e Orléan chiamano il teorema girardiano fondamentale).
Negli ultimi anni c'è stato un interesse crescente per il pensiero di Girard a causa di notevoli convergenze con recenti scoperte delle neuro-scienze. Uno degli scienziati che ha scoperto i famosi neuroni specchio, Vittorio Gallese, scrive:
«da un punto di vista neuroscientifico, le implicazioni per la cognizione sociale della mimesi sullo sfondo della Teoria Mimetica di Girard, [costituisce] un quadro di partenza ideale per favorire un approccio multidisciplinare allo studio dell’intersoggettività umana»
Negli anni 2009 e 2011 si sono tenuti due grandi simposi su “Girard e Darwin” all'Università di Cambridge.[9]
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