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personaggio biblico, undicesimo figlio di Giacobbe Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Secondo l'Antico Testamento Giuseppe (in ebraico יוֹסֵף?, Yohsèf, forma abbreviata di Yohsifyàh che significa "Yahvè aggiunga") sarebbe stato un patriarca ebraico. Undicesimo figlio di Giacobbe e primo figlio di Rachele, egli sarebbe stato il padre di Manasse e di Efraim dai quali discenderebbero le due omonime tribù ebraiche che fanno parte delle 12 tribù d'Israele.
Giuseppe | |
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Giuseppe interpreta i sogni del Faraone, dipinto di scuola veneziana. | |
Patriarca | |
Venerato da | Tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi |
Ricorrenza | 4 settembre |
La storia di Giuseppe occupa l'ultima parte del libro della Genesi, dal capitolo 37 al capitolo 50.
Giuseppe è il figlio prediletto di Giacobbe, che gli riserbò una vita lontano dal lavoro nei campi e dedita all'istruzione. Dio lo aveva dotato del dono di interpretare i sogni; uno di questi riguardava i suoi fratelli maggiori, i cui covoni si erano prostrati davanti al covone di grano di Giuseppe. I dieci fratelli maggiori - ad eccezione di Ruben che tenterà di salvarlo - gelosi di Giuseppe a causa della predilezione del padre, secondo Gen37,12-36; 39,1-2[1], decidono di gettarlo vivo in una cisterna vuota e di venderlo poi come schiavo a una carovana di Ismaeliti che, giunti in Egitto, a loro volta lo vendono a un egiziano (identificato in Potifarre da un'inserzione redazionale successiva); secondo un'altra tradizione, fusa negli stessi passi biblici, Giuseppe è invece tolto dalla cisterna da dei mercanti Madianiti che lo conducono in Egitto per poi venderlo a Potifarre[Nota 1], il capo delle guardie del Faraone[Nota 2]. I fratelli fecero credere al padre e a Rachele che Giuseppe era stato ucciso dai lupi.
In Egitto, Giuseppe spicca nel suo servizio e acquista la fiducia di Potifarre, che gli affida il governo sulla sua casa. Accade però che la moglie di Potifarre s'innamora di Giuseppe e cerca invano di sedurlo, pronta a tradire il marito. Dinanzi al rifiuto perentorio di Giuseppe, la donna, per vendetta, non esita a denunciarlo ingiustamente presso il marito, e Giuseppe viene imprigionato. In prigione, interpreta i sogni del coppiere e del panettiere del Faraone, preannunciando al primo la liberazione e il ritorno alla corte e al secondo la condanna a morte.
Dopo due anni, il Faraone - identificato erroneamente nel testo biblico[2] come Ramses[Nota 3] - essendo tormentato da un sogno ricorrente a cui nessuno dei suoi indovini riusciva a dare una spiegazione, su suggerimento del coppiere, fa liberare Giuseppe affinché dia la sua interpretazione. Il sogno riguardava sette mucche grasse divorate da sette mucche magre e sette spighe rigonfie di chicchi mangiate da sette spighe arse e rinsecchite. Interpretando il sogno con l'aiuto di Dio, Giuseppe predice al Faraone sette anni di grande abbondanza per l'Egitto, cui faranno seguito sette anni di carestia e suggerisce al Faraone di fare riserva di un quinto del grano durante il periodo dell'abbondanza, riponendolo in granai per poi poterlo utilizzare nel tempo della carestia.
Il Faraone, colpito dall'intelligenza e dall'abilità di Giuseppe, ripone in lui la sua fiducia e lo nomina vice-Re d'Egitto, secondo solo al Faraone, affinché realizzi quanto aveva suggerito. Secondo quindi il racconto biblico[3] Giuseppe è elevato alla più alta carica in Egitto e riceve dallo stesso Faraone il nome di Safnat-Panèach («Dio dice: egli è vivente»), benché tale nome, così come quello della moglie Asenat («Appartenente alla dea Neit»), non è attestato in alcun documento egizio delle dinastie XX-XXI[Nota 4]. Giuseppe sposa quindi Asenat, la figlia di Potifarre, dalla quale nascono i figli Efraim e Manasse.
Durante i sette anni di carestia, i fratelli di Giuseppe, che vivevano ancora a Canaan insieme al padre Giacobbe, per ordine di quest'ultimo si recano in Egitto per acquistare del grano e s'inginocchiano come servi davanti a lui, senza riconoscerlo. Giuseppe si fa raccontare dai fratelli chi siano e quale sia la loro storia. A questo punto, Giuseppe mette alla prova i fratelli: dopo averli accusati di essere spie, fa arrestare uno di essi e manda i restanti a prendere Beniamino, volendolo incontrare. La pena per l'eventuale mancato incontro sarebbe stato l'arresto definitivo del fratello e la mancata consegna del grano. Ritornati a Canaan, i fratelli riferiscono al padre quanto ordinato dal vice-re. Giacobbe, nel timore di perdere un altro figlio, si rifiuta di inviare Beniamino in Egitto ma, a causa della carestia opprimente, decide infine di mandarlo. Giuseppe quindi incontra Beniamino. Fa mettere di nascosto la sua coppa d'argento nel sacco di grano di Beniamino e fa nuovamente arrestare i fratelli. Giuda allora implora Giuseppe di risparmiarlo per non causare altro dolore al padre, offrendosi lui come schiavo al posto di Beniamino. A queste parole, Giuseppe scoppia in pianto, si fa riconoscere e decide di non vendicarsi del male ricevuto dai fratelli, perdonandoli. Essendo al secondo anno di carestia, Giuseppe invia allora i fratelli dal padre per riferirgli di essere vivo, di avere potere sull'Egitto e di stabilirsi insieme a tutta la tribù in Egitto. Giuseppe quindi si ricongiunge col padre e lo fa stabilire in Egitto sotto il benestare del Faraone, che dispone di allocare gli israeliti presso la terra di Gosen. La carestia intanto si è inasprita e gli israeliti chiedono a Giuseppe il pane; quest'ultimo glielo concede in cambio del loro bestiame e dei loro terreni affinché diventino di proprietà del Faraone. Trascorsi diciassette anni, Giacobbe muore dopo aver benedetto i suoi figli e i figli di Giuseppe, Efraim e Manasse, e fatto giurare a quest'ultimo di seppellirlo a Canaan insieme ai suoi padri. Giuseppe quindi ottiene dal Faraone il permesso di andare a seppellire il padre insieme a tutte le tribù, lasciando in Egitto i figli e il bestiame. Dopo la sepoltura, essi tornano in Egitto.
Giuseppe muore all'età di 110 anni. Prima di morire, predice agli Israeliti che Dio li avrebbe condotti nella terra promessa e gli fa giurare di portare le sue spoglie con sé e di seppellirle nella terra di Canaan. Ciò avverrà in seguito all'esodo, quando gli ebrei guidati da Mosè porteranno con sé anche le ossa[Nota 5] del patriarca e le seppelliranno presso Sichem.
La Torah orale narra che:
Per quanto concerne Giacobbe, importante il momento in cui Giuseppe porta i propri due figli a lui dinanzi per la Benedizione (cfr Vayechi)
« Giuseppe è un albero fruttifero, un albero fruttifero presso una sorgente d'acqua le cui propaggini salgono sul muro. Gli arcieri lo hanno amareggiato, bersagliato, avversato. Ma il suo arco ha resistito saldo, le sue forti mani sono state agili per opera del protettore di Giacobbe, di Colui che è il pastore, la rocca d'Israele, dell'Iddio di tuo padre che ti aiuterà, dell'Onnipotente che ti benedirà con benedizioni provenienti dal cielo dall'alto, benedizioni dall'abisso che giace nel basso, benedizioni dalle mammelle e dalla matrice. Le benedizioni di tuo padre sono superiori a quelle dei miei genitori, si estendono fino agli estremi limiti delle altitudini del mondo; poseranno sul capo di Giuseppe, sulla testa di lui, distinto fra i suoi fratelli » ( Genesi 49.22-26, su laparola.net.) |
« ... La sua terra è benedetta dal Signore con il prezioso dono del cielo, la rugiada, e con l'acqua che scorre al di sotto della terra, con il prezioso dono delle messi al sole e di quelle che ogni mese germogliano, con il dono prezioso dei prodotti degli antichi monti e con quelli delle eterne colline, con il prezioso dono della terra e di quanto essa contiene e con il gradimento di Colui che stette nel roveto ardente. Venga questa benedizione sul capo di Giuseppe e sul collo di colui che eccelse sui suoi fratelli. Egli ha lo splendore di un toro primogenito e corna di Reem; con esse, che sono le decine di migliaia di Efraim e le migliaia di Menasse, cozzerà insieme i popoli stanziati fino nelle parti più lontane del paese » ( Deuteronomio 33.13-17, su laparola.net.) |
Il Corano cita Giuseppe (Yūsuf) come un grande profeta. Il Corano riprende la genealogia della Genesi: figlio di Yaʿqūb (Giacobbe), nipote di Isḥāq (Isacco) e pronipote di Ibrāhīm (Abramo). La dodicesima sūra porta il suo nome e racconta la sua storia in una tradizione che differisce talvolta da quella della Genesi.
«Quando Giuseppe disse a suo padre: «O padre mio, ho visto in sogno undici stelle il sole e la luna. Li ho visti prosternarsi davanti a me», disse: «O figlio mio, non raccontare questo sogno ai tuoi fratelli, ché certamente tramerebbero contro di te! In verità Satana è per l'uomo un nemico evidente. Ti sceglierà così il tuo Signore e ti insegnerà l'interpretazione dei sogni e completerà la Sua grazia su di te e sulla famiglia di Giacobbe, come già prima di te la completò sui tuoi due avi Abramo e Isacco. In verità il tuo Signore è sapiente e saggio». Certamente in Giuseppe e nei suoi fratelli ci sono segni per coloro che interrogano. 8 Quando essi dissero: «Giuseppe e suo fratello sono più cari a nostro padre, anche se noi siamo un gruppo capace . Invero nostro padre è in palese errore. Uccidete Giuseppe, oppure abbandonatelo in qualche landa, sì che il volto di vostro padre non si rivolga ad altri che a voi, dopodiché sarete ben considerati». Uno di loro prese la parola e disse: «Non uccidete Giuseppe. Se proprio avete deciso, gettatelo piuttosto in fondo alla cisterna, ché possa ritrovarlo qualche carovana».»
La sūra, che è una delle più lunghe del Corano, continua raccontando come Giuseppe era arrivato in Egitto e come era diventato viceré dell'Egitto a motivo della sua saggezza ed intelligenza. Alla fine Giacobbe ritrova il figlio.
La storia di Giuseppe, che il Corano stesso definisce «la più bella delle storie», è contenuta in questa dodicesima Sura rivelata quasi interamente alla Mecca. Diversamente dagli altri profeti, le cui vicende sono accennate e riprese più volte nel Libro santo, alla storia di Giuseppe il Corano dedica un’intera sura, il cui svolgimento cronologico e narrativo è compiuto e non reiterato. Il Corano cita Giuseppe solo in altri due versetti: IV, 84 riferendosi della discendenza di Abramo e XL, 34 considerandolo un messaggero di Allah al popolo d’Egitto.
Giuseppe rappresenta un fulgido esempio delle virtù che la fede suscita nel credente: la purezza che desta l’invidia, la castità che suscita il disappunto, la lealtà che non viene riconosciuta, il coraggio di fronte all’ingiustizia, la sopportazione delle difficoltà e la coerenza personale (negli anni del carcere), l’intelligenza e l’equilibrio (nella gestione della sua liberazione e riabilitazione), la chiaroveggenza e l’accortezza (nella funzione pubblica), la grandezza d’animo e la misericordia (nei confronti dei fratelli), la pietà filiale.
Per quanto riguarda il rango di Giuseppe, allorquando fu chiesto all’Inviato di Allah: «Chi è stato il migliore degli uomini?», egli rispose: «Il migliore degli uomini è stato Giuseppe, figlio del Profeta di Allah [Giacobbe], nipote del Profeta di Allah [Isacco], pronipote dell’Amico di Allah [Abramo]» (lo ha trasmesso al Bukhâri).
L’esegesi afferma che la rivelazione della Sura fu occasionata dalle domande di alcuni meccani idolatri i quali, su istigazione dei rabbini, cercarono di mettere in difficoltà l’Inviato di Allah chiedendogli di spiegare perché Giacobbe e la sua famiglia si stabilirono in Egitto.
Le vicende di Giuseppe sono oggetto di un'opera apocrifa dell'Antico Testamento dal titolo Libro di Giuseppe e Aseneth.
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