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espressione storiografica per definire il Regno d'Italia tra settembre 1943 e giugno 1944 Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Regno del Sud è una locuzione utilizzata in ambito storico, giornalistico, saggistico e archivistico per indicare il periodo di continuità amministrativa legittima del Regno d'Italia durante la seconda guerra mondiale, compreso tra il settembre 1943 e il giugno 1944 con la liberazione di Roma.[1][2]
L'espressione si riferisce alla situazione creatasi nei territori controllati dal Regno d'Italia dopo l'annuncio dell'armistizio di Cassibile e la conseguente fuga da Roma di Vittorio Emanuele III e del governo italiano presieduto da Pietro Badoglio, e il suo trasferimento a Brindisi, territorio del regno non occupato dai tedeschi. In una condizione di sovranità limitata dai termini dell'armistizio con le forze alleate e con gran parte del territorio italiano occupata dall'esercito tedesco; questo governo controllava solo alcune zone dell'Italia meridionale e la Sardegna, mentre la Sicilia ricadde sotto di esso dal mese di febbraio del 1944. Con l'avanzare del fronte di guerra estese gradualmente la sua giurisdizione verso nord, con la cessione da parte dell'AMGOT, delle zone via via liberate dai tedeschi e occupate dagli Alleati.[1][3][4]
Dopo lo sbarco degli Alleati in Sicilia, l'armistizio di Cassibile, il suo annuncio dell'8 settembre e la fuga del re da Roma, il Governo Badoglio, insediatosi a Brindisi, mantenne la struttura costituzionale del Regno d'Italia, cercando di ricostruire l'amministrazione statale, poiché la quasi totalità dei funzionari e dei dipendenti ministeriali erano rimasti intrappolati nella capitale[4].
La sera del 10 settembre Vittorio Emanuele III annunciò, in un messaggio registrato trasmesso da Radio Bari, i motivi che l'avevano spinto a lasciare Roma:[5][6]
«Per il supremo bene della patria, che è sempre stato il mio primo pensiero e lo scopo della mia vita, e nell'intento di evitare più gravi sofferenze e maggiori sacrifici, ho autorizzato la richiesta di armistizio. Italiani, per la salvezza della Capitale e per poter pienamente assolvere i miei doveri di Re, col Governo e con le Autorità Militari, mi sono trasferito in altro punto del sacro e libero suolo nazionale. Italiani! Faccio sicuro affidamento su di voi per ogni evento, come voi potete contare, fino all'estremo sacrificio, sul vostro Re. Che Iddio assista l'Italia in quest'ora grave della sua storia.»
Per gli Alleati era necessario che nell'Italia liberata vi fosse un governo in grado di esercitare un potere legittimo da contrapporre a quello della Repubblica Sociale Italiana costituitasi a Salò. Per questo, già il 19 settembre le provincie pugliesi di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto e la Sardegna non furono poste sotto il controllo della Amministrazione militare alleata dei territori occupati (AMGOT), ma riconosciute indipendenti e affidate al governo di Badoglio, pur sotto lo stretto controllo della Allied Control Commission.[4]
Uno dei primi atti del governo insediatosi a Brindisi fu la firma del cosiddetto armistizio lungo, integrazione dall'armistizio corto firmato a Cassibile il 3 settembre. Pur rendendo esecutivo il principio della resa incondizionata, gli Alleati si impegnavano a ammorbidire le condizioni in proporzione all'aiuto che l'Italia avrebbe fornito nella lotta contro i nazisti.[7]
Il 13 ottobre il governo dichiarò guerra alla Germania.[8] Dal punto di vista politico tale dichiarazione era molto importante, poiché poneva l'Italia all'interno delle forze alleate, sia pur con la qualifica di cobelligerante.[9] Da questo momento il governo italiano cominciò lentamente ad acquisire maggior autonomia. In questa prima fase erano sotto il controllo del governo soltanto la Sardegna e le provincie pugliesi, mentre il resto del territorio liberato rimaneva sotto il controllo dell'Amministrazione militare alleata.[7]
L'11 febbraio 1944 gli Alleati trasferirono al governo italiano la giurisdizione sulla Sicilia, che era sotto l'Amministrazione militare alleata dal luglio 1943, e sulle province dell'Italia meridionale già occupate e su quelle che venivano via via liberate. La competenza dell'AMGOT si ridusse così a Napoli, alle zone prossime al fronte e a quelle di particolare interesse militare.[2]
Sempre nel febbraio del 1944, il governo si trasferì a Salerno, che divenne così la capitale provvisoria d'Italia.[10] La cosiddetta svolta di Salerno permise di trovare un compromesso tra i partiti antifascisti, la monarchia e il maresciallo Badoglio che consentisse di formare un governo di unità nazionale con la partecipazione di tutte le forze politiche presenti nel Comitato di Liberazione Nazionale, accantonando temporaneamente i dissidi politici e istituzionali sorti dopo la caduta del fascismo. Il 22 aprile 1944 entrò quindi in carica il secondo governo Badoglio, sostenuto politicamente da una coalizione degli appena ricostituiti partiti italiani.[11][12]
Il 4 giugno 1944 Roma venne liberata e Vittorio Emanuele III nominò l'indomani il figlio Umberto quale Luogotenente del regno, ritirandosi a vita privata. Umberto si insediò al Quirinale e, su proposta del CLN, affidò l'incarico di formare il nuovo governo a Ivanoe Bonomi, anziano leader politico già Presidente del Consiglio prima dell'avvento del fascismo.[2][13][14] Il nuovo governo si insediò così in luglio nella Capitale.
L'espressione «Regno del Sud» è stata utilizzata spesso in contrapposizione alla cosiddetta «Repubblica di Salò», l'autoproclamatasi Repubblica Sociale Italiana, guidata da Benito Mussolini e riconosciuta dalla Germania nazista, che nello stesso periodo controllava la porzione del territorio italiano sotto occupazione militare tedesca.[4][8][15][16]
Secondo alcuni storici, l'espressione è usata in modo improprio, sia come raffronto con Salò, sia perché il "regno" non viene considerato come una entità a sé stante, ma come continuazione del Regno d'Italia[17] senza discontinuità formale.
Un primo utilizzo dell'espressione è attribuita all'economista Agostino degli Espinosa, all'epoca dei fatti addetto all'ufficio stampa del governo di Brindisi,[18] che pubblicò nel 1946 un saggio intitolato proprio Il Regno del Sud, con il quale l'autore intendeva rendere noto «un primo tentativo di cronaca degli avvenimenti in cui si è espressa la vita politica dell'Italia liberata fra il 10 settembre 1943 e il 5 giugno 1945.»[19][20]
In alcuni casi «Regno del Sud» è stato utilizzato con valenza politica, per identificare la discontinuità tra il periodo fascista e la nascita dei primi governi democratici nel dopoguerra.[12][21]
In ambito storiografico la locuzione è usata per identificare in modo estensivo anche il periodo che arriva al 1945 e alla fine della guerra, fino a quando, cioè, l'Italia era ancora divisa e il governo italiano, che pur si era ristabilito a Roma, non aveva il pieno controllo del territorio e degli enti locali, di polizia e militari. In questa situazione gli atti amministrativi, militari e politici e la relativa documentazione erano suddivisi tra quelli gestiti dal governo di Roma, dalla Repubblica Sociale Italiana, dalle forze partigiane e dagli eserciti in campo.[22]
Nelle polemiche politiche, storiche e giornalistiche sui fatti successivi all'armistizio, il Regno del Sud viene talvolta indicato come uno stato fantoccio privo di reale autonomia alle dirette dipendenze degli Alleati, per analogia al giudizio che viene dato della Repubblica di Salò quale stato privo di autonomia creato dalla Germania nazista.[23] In tal senso il «Regno del Sud» è indicato, ex post, come il vero continuatore dello Stato italiano dal punto di vista giuridico, in contrapposizione alla Repubblica Sociale Italiana, in virtù dell'esito del conflitto.[16] Inoltre l'azione intrapresa dal governo e dai funzionari stabilitisi a Brindisi è vista anche come il tentativo di un ritorno alla situazione politica e costituzionale pre-fascista, con riferimento al regime monarchico parlamentare liberale terminato con la marcia su Roma nel 1922.[24]
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