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moglie di Seneca Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Pompea Paolina (I secolo – I secolo) fu la moglie del filosofo e scrittore romano Lucio Anneo Seneca.
Pompea Paolina era presumibilmente la figlia di Pompeo Paolino, un membro dell'agiata classe equestre proveniente dall'odierna Arles.[1] Paolina fu molto probabilmente la seconda moglie di Seneca, che era precedentemente stato sposato a una donna di cui non è stato tramandato il nome.[2] Nella sue opera Ad Helviam (2.5) Seneca afferma di aver recentemente perso un figlio ancora bambino, mentre alcuni anni più tardi il filosofo stoico afferma che la moglie comprende il suo bisogno di meditare la sera nel De ira (3.36.3-4). In nessuno dei due casi Seneca menziona la moglie per nome e diversi storici sostengono che lo scrittore si riferisca a un primo matrimonio.[3]
Seneca cita Paolina, seppur marginalmente, nelle Epistulae morales ad Lucilium, in cui la descrive come una donna molto attenta e premurosa nei suoi riguardi:
«Ciò ho ripetuto alla mia Paolina, che mi raccomanda la mia salute. E sapendo che la vita di lei si compenetra nella mia, comincio ad aver cura di me stesso, per averla di lei [...] E quegli che tanto non istima la moglie e l'amico da vivere più lungamente per amor loro, e persiste a voler morire, è uomo debole.»
La gran parte delle informazioni su Pompea Paolina sono riportate da Tacito, che descrive il suicidio di Seneca negli Annales.[4] Dopo la fallita congiura di Pisone, Nerone ordinò a Seneca di suicidarsi e inviò soldati ad assicurarsi che il suo vecchio precettore obbedisse all'ordine. Tacito riporta che Paolina fosse così sconvolta da tagliarsi le vene insieme al marito, che rimase molto impressionato dal gesto, ma che non lo disapprovò. Nerone però aveva ordinato che Paolina non venisse uccisa affinché lui non fosse tacciato di tirannia e così la donna fu medicata e sopravvisse a Seneca per alcuni anni:
«Nerone però, non avendo motivi di odio personale contro Paolina, e per non rendere ancora più impopolare la propria crudeltà, ordina di impedirne la morte. Così, sollecitati dai soldati, schiavi e liberti le legano le braccia e le tamponano il sangue; e, se ne avesse coscienza, è incerto. Non mancarono, infatti, perché il volgo inclina sempre alle versioni deteriori, persone convinte che Paolina abbia ricercato la gloria di morire insieme al marito, finché ebbe a temere l'implacabilità di Nerone, ma che poi, al dischiudersi di una speranza migliore, sia stata vinta dalla lusinga della vita. Dopo il marito, visse ancora pochi anni, conservandone memoria degnissima e con impressi sul volto bianco e nelle membra i segni di un pallore attestante che molto del suo spirito vitale se n'era andato con lui.»
Cassio Dione invece riporta una versione diversa dalla scena in cui è proprio Seneca ad istigare la moglie al suicidio, in parte perché la donna ha adottato gli ideali stoici e non teme dunque la morte, e in parte per risparmiare a Paolina ulteriori supplizi per mano di Nerone:
«Seneca però volle che la moglie sua Paolina fosse con esso tratta a morte, dicendo che persuasa la aveva a sprezzare la morte, e che essa bramato aveva di morire insieme con lui. Seneca adunque anche le di lei vene tagliò, ma morendo egli difficilmente, ed affrettando i soldati la di lui morte, la consorte egli prevenne, e Paolina rimase superstita.»
Pompea Paolina è una figura ricorrente nelle raffigurazioni della morte di Seneca, soprattutto nell'arte francese del XVIII secolo. Uno dei primi fu La Mort de Sénèque di Noël Hallé (1750). Il tema divenne così popolare che l'Académie française lo scelse come soggetto per il Grand Prix del 1773. La competizione fu vinta da Jean-François-Pierre Peyron, ma la sua opera è andata perduta; i bozzetti preparatori sono sopravvissuti e mostrano che la donna aveva un ruolo di rilievo. Tra le opere in concorso c'ere anche la Morte di Seneca di Jacques-Louis David, che mette in evidenza Paolina sulla sinistra, illuminata da una luce bianca.[5]
Nel 1791 Jean-Joseph Taillasson si focalizzò unicamente sulla donna nel dipinto Pauline, femme de Sénèque, rappelée à la vie, Il quadro rappresenta un soldato romano che entra in una stanza e ordina di fermare il sanguinamento di Paulina e salvarle la vita.[6]
Pompea Paolina è una delle 106 donne descritte da Giovanni Boccaccio nel De mulieribus claris, in cui la moglie di Seneca occupa il novantaquattresimo capitolo. Christine de Pizan ricorre a Paolina come esempio di devozione nei confronti del marito ne La Cité des dames (1405), mentre Martin le Franc, seguendo l'esempio di Boccaccio, la utilizza come figura esemplare ne Le Champion des dames (1442).
Nei suoi Saggi, Michel de Montaigne cita Paolina tra le "trois bonnes femmes" (II.35), le tre donne romane particolarmente degne di nota e ammirazione:
«A che Paolina avendo un poco ripreso lo spirito, e riscaldata la magnanimità del suo coraggio con nobilissima affezione: "No, Seneca", rispose ella, "io non sono già per lasciarvi senza la mia compagnia in così fatta necessità: io non voglio che altrimenti voi pensiate che i virtuosi esempi della vostra vita non m'abbiano ancora insegnato a saper ben morire; e quando potrei io né meglio, né più onestamente, né più a mio grado farlo che con esso voi? Così fate pur conto che io me ne vada insieme con esso voi.»
La tragedia di François L'Hermite La Mort de Sénèque, rappresentata per la prima volta nel 1644 e pubblicata nel 1645, si apre con Paulina che supplica il marito di lasciarla morire con lui, una richiesta che il filosofo respinge con forza. La tragedia fece il suo debutto all'Illustre Théâtre di Parigi, portata in scena dalla compagnia di Madeleine Béjart e di Molière.
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