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film del 1982 diretto da Alan Parker Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Pink Floyd - The Wall è un film del 1982 diretto da Alan Parker. Il film, tranne alcune scene recitate, è costruito attorno alle canzoni contenute nel concept album The Wall, un'opera rock dei Pink Floyd del 1979 della quale rappresenta la trasposizione cinematografica.[1][2][3] Venne presentato fuori concorso il 23 maggio 1982 al 35º Festival di Cannes[4][2] e venne proiettato per la prima volta il 14 luglio dello stesso anno al Leicester Square Empire Theatre di Londra.[5][1] Il brano Another Brick in the Wall ha vinto il BAFTA per la migliore canzone originale.[6][7]
Pink Floyd - The Wall | |
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Una scena del film | |
Titolo originale | Pink Floyd - The Wall |
Lingua originale | inglese |
Paese di produzione | Regno Unito |
Anno | 1982 |
Durata | 95 min |
Rapporto | 2,35:1 |
Genere | drammatico, musicale, animazione |
Regia | Alan Parker |
Soggetto | Roger Waters (ispirato dall'album The Wall) |
Sceneggiatura | Roger Waters |
Produttore | Alan Marshall |
Produttore esecutivo | Steve O'Rourke |
Casa di produzione | Metro-Goldwyn-Mayer |
Distribuzione in italiano | UIP |
Fotografia | Peter Biziou |
Montaggio | Gerry Hambling |
Effetti speciali | Gerald Scarfe (animazioni), Martin Gutteridge, Graham Longhurst |
Musiche | Pink Floyd, Michael Kamen |
Scenografia | Brian Morris, Chris Burke, Clinton Cavers |
Costumi | Penny Rose |
Trucco | Paul Engelen, Peter Frampton |
Interpreti e personaggi | |
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In una stanza d'albergo a Los Angeles Pink, rockstar con problemi di droga, subito prima di un concerto sta guardando alla TV un vecchio film di guerra grazie al quale rivive i momenti più significativi della sua tragica esistenza: il padre morto nella seconda guerra mondiale quand'egli era ancora in fasce, il crudele maestro di scuola, la madre iperprotettiva, la moglie infedele e le groupies che darebbero l'anima per stare con lui.
Tutti questi avvenimenti non hanno fatto altro che erigere intorno a Pink un muro psicologico che lo protegge dalle altre persone, ma che col passare del tempo lo soffoca. Dopo avere portato con sé in albergo una groupie e avere distrutto la stanza, Pink pone l'ultimo mattone nel muro, chiudendosi del tutto nella sua follia. Il suo staff lo trova in condizioni disumane e, dopo averlo rimesso in sesto, lo trascina a tenere il concerto che però nella sua mente assume la forma di un raduno nazista nel quale egli è il leader che arringa le masse dal palco.
Ormai al culmine della pazzia, Pink immagina scorribande di squadre naziste e martelli che al suo comando marciano al passo dell'oca finché, in un attimo di lucidità, si sottopone a un processo nel quale tutti i personaggi significativi della sua vita, rappresentati come grottesche creature, lo accusano delle sue infamie: al termine, il giudice nella sentenza decreta l'abbattimento del muro, riesponendo così Pink al mondo reale.
«È un miscuglio, un amalgama di idee folli di Roger Waters; (...) Penso che sia l'unica persona al mondo a sapere di cosa si tratti. Sono sicuro che la maggior parte di noi non lo sappia. Pensavamo tutti che fosse un mucchio di cose vecchie, in realtà. Penso che sia un film interessante, ma penso anche che fosse pretenzioso illudersi di sapere quello che stavamo facendo. Ma forse Roger l’ha fatto. Il resto di noi ha improvvisato tutto, mentre andavamo avanti.[1]»
Verso la metà degli anni settanta, i Pink Floyd erano all'apice del successo; Waters iniziò a sentirsi sempre più estraniato e distante psicologicamente dal loro pubblico:
«Il pubblico e quei concerti enormi si fanno, penso, per amore del successo. Quando una band o una persona divengono degli idoli, può avere a che fare col successo che quella persona manifesta, ma non più necessariamente con la qualità del lavoro che produce. Non diventi un fanatico perché il lavoro di qualcuno è buono, diventi tale perché sei toccato direttamente dalla sua fama e dalla sua attrazione personale. Le star dei film e del rock 'n' roll rappresentano in tal senso la vita che tutti noi facciamo. Questi si trovano davvero al centro della loro vita. Ed è questo il motivo per cui le masse spendono anche molti soldi per andare a vederli ad un concerto anche se si trovano a notevole distanza dal palcoscenico, talvolta scomodi, dove anche il suono si sente male»
Waters si sentiva dunque a disagio per questa forma di successo che non dipendeva necessariamente dai lavori del suo gruppo. L'idea del film nacque quindi proprio da questo disorientamento e la stessa decisione di dare al protagonista il nome di "Pink", è un evidente trasposizione di come il gruppo si sentiva rispetto ai propri fans.[9] Il film simboleggiò l'apertura verso una nuova era per le rock band, che i Pink Floyd esplorarono (...) sentendo la realtà dell'"essere dove si è" degli esistenzialisti, riconoscendosi in Jean-Paul Sartre[10].
Roger Waters e il disegnatore Gerald Scarfe per il The Wall Tour avevano ideato un vero e proprio spettacolo teatrale e avevano poi scritto una prima stesura della sceneggiatura per realizzare un film; questa sceneggiatura venne proposta al regista Alan Parker che inizialmente rifiutò l'incarico in quanto impegnato in un altro film ma accettò l'incarico di produttore; per avere un'idea di cosa fosse l'opera che avrebbero realizzato, Parker andò in Germania con Michael Seresin per assistere a un concerto del tour, rimanendone impressionato; concluso poi l'impegno di Parker con l'altro film, si ritrovò con Waters e Scarfe per revisionare la sceneggiatura; inizialmente la regia fu affidata a Seresin e Scarfe ma presto vennero sostituiti da Parker che rivoluzionò il progetto iniziale abbandonando l'idea di inserire filmati presi durante i concerti oltre a quella di avere Waters come protagonista che venne poi assegnato a Bob Geldof che Parker aveva apprezzato per l'interpretazione di un video musicale. Le riprese iniziarono il 7 settembre 1981 e durarono due mesi; per il montaggio ci vollero altri otto mesi.[1]
Waters, dal canto suo, spodestato dal ruolo di comando e incapace di seguire personalmente la regia, abbandonò le riprese per un mese di vacanze forzate, lasciando Parker libero di organizzare il lavoro. Il regista accantonò così l'idea di utilizzare riprese effettuate dal vivo durante i concerti del tour di The Wall utilizzando soltanto le sequenze animate di Scarfe che, in quei concerti, erano proiettate sul muro che s'innalzava progressivamente fino a nascondere totalmente il gruppo alla vista del pubblico per tutta la seconda metà dello spettacolo, per poi venire abbattuto solo nel finale.
Il film, fatta eccezione per brevi scene recitate, è interamente costruito attorno alle canzoni che compongono l'album The Wall: esse tuttavia presentano molte differenze rispetto alle versioni contenute nel disco. Nel film è stata aggiunta la canzone What Shall We Do Now?. Inoltre le tracce Hey You e The Show Must Go On furono escluse dal film perché ridondanti rispetto all'andamento della storia.[11]
Le animazioni di Gerald Scarfe che accompagnano Empty Spaces/What Shall We Do Now?, Waiting for the Worms e The Trial venivano proiettate durante le esecuzioni dal vivo dell'album (cosa che non accadeva con l'animazione per Goodbye Blue Sky). Alcune di queste erano state disegnate per i tour del 1974 (Shine On You Crazy Diamond).[senza fonte]
Il film venne proiettato "fuori gara" durante il Festival di Cannes 1982.[16] La première del film fu invece all'Empire di Leicester Square[13] a Londra, il 14 luglio 1982[5]. Presenziarono tutti i quattro membri del gruppo tranne Richard Wright,[13] che non era più membro della band. Intervennero inoltre Scarfe, Paula Yates, Pete Townshend, Sting, Roger Taylor, James Hunt, Lulu e Andy Summers.[17] Il film negli Stati Uniti è stato vietato ai minori di 17 anni, in Italia fu concessa la visione ai minori di 14 anni solo se accompagnati da adulto. In Regno Unito è stato vietato ai minori di 15 anni non accompagnati da adulto.
«La première a Cannes fu incredibile! Scaricarono due camion di equipaggiamento audio dagli studi di registrazione così che potesse apparire ancora meglio di quanto fosse. Fu uno degli ultimi film a essere presentati al vecchio Palais e il suono era tale che la vernice si scrostava dalle pareti. Era come neve che iniziò a piovere dall'alto e alla fine tutti sembravano avere della forfora sulle spalle. Ricordo che vidi Terry Semel, che all'epoca era a capo della Warner Bros., seduto di fianco a Steven Spielberg. Ci separavano solo cinque file e sono sicuro di aver visto Steven Spielberg fare delle smorfie a Semel quando si accesero le luci, dicendogli "che cazzo è questo?".
"Che cazzo è questo?" era invece l'espressione più adatta. Era qualcosa che nessuno aveva mai visto prima, una fusione di live-action, film e mondo surreale.»
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