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prima occupazione sovietica delle repubbliche baltiche, grazie al patto Molotov-von Ribbentrop con i nazisti Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'occupazione sovietica dei paesi baltici nel 1940 copre il periodo storico che va dalla firma dei patti di mutua assistenza sovietico-baltica nel 1939, alla loro invasione e annessione nel 1940, per poi toccare infine alle deportazioni di massa del 1941.
Occupazione sovietica dei paesi baltici parte della Seconda guerra mondiale, dell'Occupazione dei paesi baltici e delle Occupazioni militari dell'Unione Sovietica | |||
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Truppe sovietiche a Riga capitale della Lettonia | |||
Data | 15 giugno - 6 agosto 1940 | ||
Luogo | Stati baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) | ||
Esito | Vittoria sovietica
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Schieramenti | |||
Comandanti | |||
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Voci di operazioni militari presenti su Wikipedia | |||
Nel settembre e nell'ottobre 1939 il governo sovietico costrinse gli Stati baltici, in virtù della sua influenza, a concludere patti di mutua assistenza che autorizzavano i sovietici a stabilire in loco basi militari. In seguito all'invasione dell'Armata Rossa nell'estate del 1940, le autorità sovietiche costrinsero i governi baltici a dimettersi. I presidenti di Estonia e Lettonia furono imprigionati e successivamente morirono in Siberia. Il presidente della Lituania, invece, abbandonò il Paese e si rifugiò negli Stati Uniti.
Sotto la supervisione sovietica, i nuovi governi comunisti fantoccio appena costituiti organizzarono elezioni i cui risultati erano palesemente truccati.[2] Poco più tardi, le "assemblee popolari" appena elette approvarono risoluzioni che chiedevano l'ammissione nell'Unione Sovietica. Nel giugno del 1941 i nuovi governi sovietici effettuarono espulsioni di massa dei cosiddetti "nemici del popolo". Per questi motivi, all'inizio, molti baltici accolsero i tedeschi alla stregua di liberatori quando occuparono la regione geografica una settimana più tardi.[3][4]
Dopo l'invasione sovietica della Polonia avvenuta il 17 settembre 1939 in accordo con i contenuti del patto Molotov-Ribbentrop, ai sovietici fu concessa libertà di azione anche sulla Lettonia, sulla Lituania e sull'Estonia. Tale facoltà diede a Mosca la possibilità di occuparle impedendo alla Germania di utilizzare i tre stati come testa di ponte per avvicinarsi a Leningrado.[5] I sovietici esercitarono pressioni sulla Finlandia e sui paesi baltici affinché concludessero trattati di mutua assistenza. I sovietici inoltre misero in dubbio la neutralità dell'Estonia in seguito alla fuga di un sottomarino polacco da Tallinn il 18 settembre, internato per essersi rifugiato lì dopo lo scoppio delle ostilità in seguito all'attacco da parte di due dragamine tedeschi che lo avevano danneggiato. Una settimana dopo, il 24 settembre 1939, il ministro degli Esteri estone ricevette un ultimatum da Mosca. I sovietici chiesero la stipula di un trattato di mutua assistenza per stabilire basi militari in Estonia.[6][7] Gli estoni non ebbero altra scelta che consentire la creazione di basi navali, aeree ed militari sovietiche su due isole estoni, Suur-Pakri e Väike-Pakri, e presso il porto di Paldiski.[6] L'accordo venne firmato il 28 settembre 1939. Un simile trattamento toccò alla Lettonia il 5 ottobre 1939 e alla Lituania il 10 ottobre 1939. Gli accordi consentirono all'Unione Sovietica di stabilire presidi militari sul territorio delle repubbliche baltiche per tutta la durata della guerra europea,[7] stazionando 25.000 uomini in Estonia, 30.000 in Lettonia e 20.000 in Lituania.
Nel 1939 la Finlandia respinse simili richieste sovietiche per cedere o consegnare in affido parti del suo territorio. In risposta al diniego, l'Unione Sovietica simulò un bombardamento contro un suo villaggio di frontiera (incidente di Mainila) come casus belli per attaccare la Finlandia, dando luogo alla cosiddetta guerra d'inverno a fine novembre.[8] I finlandesi furono in grado di resistere agli invasori per oltre tre mesi; al termine di questo conflitto la nazione scandinava perse oltre il 10% dei suoi territori, ma preservò la sua sovranità. I baltici rimasero neutrali nel conflitto finlandese e i sovietici lodarono il loro comportamento esemplare nei confronti dell'URSS.[9]
Furono stanziate per eseguire possibili azioni militari contro gli Stati baltici circa 435.000 unità: si contavano a livello di arsenale circa 8000 cannoni e mortai, oltre 3.000 carri armati e più di 500 mezzi blindati.[10] Il 3 giugno 1940 tutti i soldati sovietici localizzati negli Stati baltici finirono sotto il comando di Aleksandr Loktionov.[11] Il 9 giugno Semën Timošenko, a capo del distretto militare di Leningrado, ricevette la direttiva 02622ss/ov. In essa si affermava che entro il 12 giugno bisognava essere pronti per:
Il 12 giugno 1940, stando a quanto riporta il direttore dell'Archivio di Stato russo del Dipartimento navale Pavel Petrov (C.Phil.) in relazione ai registri dell'archivio,[10] la flotta del Baltico ricevette l'ordine di attuare un blocco militare totale dell'Estonia. Il 13 giugno alle 10:40 le forze sovietiche iniziarono a muoversi nelle posizioni prestabilite e furono pronte ad agire entro le ore 22 del 14 giugno: quattro sottomarini e un certo numero di unità leggere della marina furono posizionate nel mar Baltico, nel golfo di Riga e in quello di Finlandia per impedire agli stati baltici l'accesso al mare aperto;[13] un contingente navale suddiviso in tre divisioni di cacciatorpediniere fu posizionato ad ovest di Naissaar per supportare l'invasione; i quattro battaglioni della prima brigata di fucilieri di marina furono posizionati sulle navi da trasporto Sibir, 2ª Pjatiletka ed Elton per sbarcare presso l'isola di Naissaar e di Aegna; la nave da trasporto Dnestr e i cacciatorpediniere Storozevoi e Silnoi furono posizionati con truppe per assaltare la capitale Tallinn; il 50º battaglione salì sulle navi in attesa di colpire Kunda. Al blocco sovietico parteciparono 120 imbarcazioni, tra cui un incrociatore, 7 cacciatorpediniere e 17 sottomarini, insieme a 219 aerei tra cui l'8ª brigata aerea formata da 84 bombardieri DB-3 e Tupolev SB e la 10ª brigata con 62 velivoli.[13]
Il 14 giugno 1940 i sovietici emisero un ultimatum alla Lituania. Il blocco militare sovietico dell'Estonia entrò in azione mentre l'attenzione del mondo era focalizzata sulla conquista di Parigi ad opera della Germania nazista. Due bombardieri sovietici abbatterono l'aereo passeggeri finlandese "Kaleva" che volava da Tallinn a Helsinki trasportando tre buste diplomatiche delle ambasciate statunitensi a Tallinn, Riga ed Helsinki. L'impiegato del Servizio Esteri degli Stati Uniti Henry W. Antheil Jr. morì nell'incidente.[14] insieme ad altri otto passeggeri, tra cui due corrieri diplomatici francesi ed equipaggio; il motivo non fu mai chiarito ma tra le ipotesi ventilate ci fu la possibile presenza a bordo della valigia diplomatica di Antheil dei futuri piani sovietici nella regione del baltico preparati dallo stato maggiore estone.[15]
Molotov aveva accusato gli stati baltici di aver cospirato contro l'Unione Sovietica e aveva consegnato un ultimatum a tutti i paesi baltici per istituire governi approvati dai sovietici. Minacciando l'invasione e accusando i tre stati di aver violato i patti originali formando una coalizione anti-sovietica, Mosca chiese nuove concessioni, quali ad esempio la sostituzione dei governi in carica nei tre Stati e la facoltà di permettere illimitati spostamenti di truppe nei confini dei Paesi baltici.[16][17][18][19]
I governi locali decisero che, dato il loro isolamento internazionale e la soverchiante superiorità numerica degli avversari ai confini dei loro territori o già all'interno di essi, fosse inutile resistere con la forza e convenisse evitare inutili spargimenti di sangue.[20] L'occupazione degli stati baltici coincise con un colpo di Stato da parte dei comunisti in ogni paese, con l'appoggio delle truppe sovietiche.
Il 15 giugno l'URSS entrò in Lituania.[21] Le truppe sovietiche aggredirono le guardie di frontiera lettoni a Masļenki (nei pressi di Pytalovo).[22] Il 16 giugno 1940 l'URSS invase l'Estonia e la Lettonia.[23] Secondo un articolo del Time pubblicato al momento delle occupazioni, nel giro di pochi giorni circa 500.000 truppe sovietiche dell'Armata Rossa si insediarono nei tre stati baltici - solo una settimana prima della definitiva conquista della Francia ad opera della Germania nazista.[24]
Un numero indefinito di truppe sovietiche (secondo alcuni 650.000) penetrò in Estonia, Lettonia e Lituania,[25] superando dunque di gran lunga gli eserciti nazionali di ciascun paese.[26]
Gran parte delle Forze di difesa estoni e della Lega di difesa estone si arresero di concerto con le disposizioni del governo estone e furono disarmate dall'Armata Rossa.[27][28] Solo il battaglione indipendente estone di stanza a Tallinn in via Raua fece resistenza ai danni della milizia comunista dell'Armata Rossa e di "Autodifesa popolare",[29] combattendo contro le truppe invasori il 21 giugno 1940.[30] Quando l'Armata Rossa dispiegò rinforzi aggiuntivi supportati da sei mezzi corazzati, la schermaglia proseguì per diverse ore fino al tramonto. Alla fine la resistenza militare fu piegata ricorrendo a negoziati e il battaglione indipendente si consegnò e fu disarmato.[31] Diversi furono i feriti di entrambi gli schieramenti: morirono circa dieci russi e due militari estoni di cui si conosce il nome, Aleksei Männikus e Johannes Mandre.[32] I sovietici che presero parte agli scontri erano guidati dall'ex pugile due volte medaglia d'argento Nikolai Stepulov.[33]
I governi in esilio - con ambasciate a Londra - furono riconosciuti da numerosi governi occidentali durante la guerra fredda.[nota 1] Con il ripristino dell'indipendenza da parte delle Repubbliche Sovietiche che lasciarono l'URSS, questi governi in esilio furono integrati negli Stati appena ricostituiti.
Una volta consolidato il potere sulla regione, seguirono repressioni politiche ed espulsioni di massa di 131.500 cittadini da parte dei sovietici.[4][34] Le cosiddette istruzioni di Serov, "[disposizioni riguardo] alla procedura di esecuzione delle deportazioni di elementi antisovietici da Lituania, Lettonia ed Estonia", contenevano dettagliate procedure e protocolli da seguire per effettuare la deportazione dei cittadini baltici.
I sovietici iniziarono una metamorfosi costituzionale degli Stati baltici formando dapprima "Governi del Popolo" di transizione[35] guidati da stretti collaboratori di Stalin[36] simpatizzanti comunisti locali, nonché funzionari trasferitisi dall'Unione Sovietica. I presidenti e i governi di tutti e tre i paesi dovettero dimettersi e si procedette a sostituirli con i governi del popolo.
Il 14-15 luglio, a seguito di decreti emanati in maniera contraria alle leggi locali, si tennero le elezioni parlamentari: a concorrere furono autorizzati solo i comunisti e i partiti alleati[37][38] e i risultati furono palesemente truccati.[2] Il servizio stampa sovietico li rilasciò infatti ancor prima che le votazioni si concludessero, come dimostra un giornale di Londra stampato 24 ore prima della chiusura dei sondaggi.[39][40] I "Parlamenti del popolo", appena eletti, si riunirono il 21 luglio, ciascuno con un solo punto all'ordine del giorno: presentare una richiesta di adesione all'Unione Sovietica. Tali domande, presentate e accolte dall'unanimità dei partecipanti, furono analizzate dal Soviet Supremo dell'URSS, il quale "accettò" tutte e tre le richieste nei primi di agosto. La versione ufficiale sovietica affermava che tutti e tre i paesi baltici diedero luogo a rivoluzioni socialiste e invocarono volontariamente l'adesione all'Unione Sovietica.
I giovani governi installati nei paesi baltici iniziarono ad allineare le loro politiche con quelle sovietiche.[41] Secondo la dottrina prevalente nel processo, le vecchie società "borghesi" furono distrutte in modo che nuove società socialiste, gestite da fedeli cittadini sovietici, potessero essere plasmate al loro posto.[41]
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