Neopitagorismo
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Il neopitagorismo fu una ripresa della filosofia di Pitagora e delle dottrine elaborate dalla sua scuola, che si ebbe a partire dall'epoca ellenistico-romana, e fu connotata da una forte impronta misterica e religiosa.
L'area di diffusione del movimento neopitagorico non è più la Grecia bensì il territorio italico della Magna Grecia, soprattutto Napoli,[2] sebbene esso sia fiorito anche ad Alessandria d'Egitto.[3] Le prime manifestazioni di questa nuova corrente filosofica si avvertirono nel III secolo a.C. e presero lo spunto da alcune sentenze attribuite a Pitagora nonché dagli scritti di pitagorici antichi come Archita di Taranto, Timeo di Locri e Ocello Lucano, congiunti a dottrine platoniche, aristoteliche e stoiche.[3]
Figure importanti del neopitagorismo furono Publio Nigidio Figulo (I secolo a.C.),[3] Apollonio di Tiana (I secolo d.C.), ritenuto l'esponente principale,[3] Nicomaco di Gerasa (prima metà del II secolo), Numenio di Apamea (II-III secolo), e Moderato di Cadice, vissuto nel I secolo ma che con le sue Lezioni pitagoriche già inclinerà il pensiero filosofico verso il neoplatonismo:[4] all'inizio del III secolo, infatti, con Filostrato il neopitagorismo confluirà in quest'ultimo.[5]
Per la sua diffusione nell'ambiente romano, tra i suoi cultori vi fu anche il poeta Virgilio (I secolo d.C.),[2] il cui influsso sotterraneo si sarebbe esteso fino a Dante.[6]