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Matteo 26 è il ventiseiesimo capitolo del vangelo secondo Matteo nel Nuovo Testamento. Il capitolo è composto dall'inizio della narrazione della Passione di Cristo, che continua poi nel capitolo 28, contenendo il piano dei capi degli ebrei per uccidere Gesù, l'accordo di Giuda con Caifa per tradire Gesù, l'Ultima Cena coi dodici apostoli e l'istituzione dell'Eucarestia,[1] l'agonia nell'orto del Getsemani ed il successivo avverarsi della predizione di Gesù sul tradimento di uno dei dodici, oltre al rinnegamento di san Pietro.[2]
Il testo originale era scritto in greco antico. Il capitolo è diviso in 75 versetti.
Tra le principali testimonianze documentali di questo capitolo vi sono:
I versetti 1-5 raccontano la cospirazione ai danni di Gesù.[3] Meyer, riportando l'opinione del teologo Johannes Wichelhaus, nota come "la funzione d'insegnamento di nostro Signore sia qui terminata".[4]
Nella casa di Simone il Lebbroso, una donna compie un 'atto stravagante' che evidenzia chiaramente lo status messianico di Gesù come quello dell' 'unto'.[1] Al versetto 8, i discepoli, insieme, sollevano obiezioni alla donna, mentre in Giovanni 12,4 è solo Giuda Iscariota ad esprimersi contrariamente a tale atto. Meyer ha notato che il resoconto di Matteo "non è certamente in contraddizione con quello di Giovanni, ma solo meno preciso".[4]
In contrasto con l'atto stravagante della donna che unse Gesù, Giuda Iscariota (cfr. Matteo 10,4) da una prima avvisaglia del suo tradimento quando si scaglia contro la donna per aver "sprecato" a sua detta il contenuto prezioso del vaso, un unguento che sarebbe valso una somma consistente di denaro da dare ai poveri.[1] Qui, Giuda diviene l'esempio tipico di chi, pur seguendo Gesù, pensa di poter fare a meno di lui e non lo riconosce come il vero figlio di Dio, da servire e onorare.[6]
Da ebreo osservante della legge di Mosè, Gesù celebra il suo ultimo Pesach a Gerusalemme, istituendo in quell'occasione l'Eucarestia, connettendo così il suo sacrificio di redenzione con il 'sangue dell'alleanza' in Esodo 24,8 e Geremia 31,31.[1]
Gesù sembra ad un certo punto del racconto vacillare di fronte alla crocifissione ormai imminente, ma egli fissa il percorso della sua vita sulla volontà di Dio, diradando così i dubbi circa la sua morte.[7] La sottomissione al volere divino: "Sia fatta la tua volontà" (versetti 39 e 42), allude alla preghiera del Padre Nostro, come la parola "Padre mio" (versetto 39).[7] Il giardino del Getsemani è collocato sul Monte degli Ulivi, dove re Davide un trempo pregò per un traditore (2 Samuele 15,30-31), e luogo ideale quindi per il suo discendente, Gesù, per invocare una preghiera analoga.[8]
La storia dell'arresto di Gesù coinvolge diverse persone, riprese anche da scene precedenti, con i capi del sinedrio che complottano per catturare Gesù per "evitare una rivolta" (versetto 4 e versetto 16), il tradimento di Giuda come Gesù aveva predetto (vv. 21, 25, 45), la folla di "capi dei sacerdoti ed anziani del popolo" (versetti 3-5, 14-16) e la predizione delle sofferenze di Gesù.[9]
Il processo mostra Gesù non come una "vittima di tragiche circostanze" né come una "vittima della macchina della giustizia ordinaria", ma piuttosto come l'obbiettivo preciso di un attacco da parte di persone che lo odiano.[7] I suoi nemici "dicono falsità sul suo conto (vv. 59–60), lo accusano di blasfemia (v. 65), lo condannano a morte (v. 66), lo colpiscono e lo insultano (vv. 67–68)".[7] Per contro, l'identità di Gesù diviene sempre più chiara come Messia e Figlio di Dio, che costruisce il tempio (cfr. 2 Samuele 7,14), siede alla destra del Padre (Salmi 110,1) e soffre come uno schiavo (Isaia 50,6).[10]
Nella prima parte di questo capitolo, Giuda abbandona il gruppo e quindi i discepoli si disperdono quando Gesù viene arrestato; Pietro, malgrado la sua promessa (v. 35), nega di conoscere Gesù, dando forma ad un "climax di fallimento dei discepoli".[11] Questo passaggio è un controbilanciamento ai poteri di Gesù, tanto vituperati da chi lo accusa, che ancora una volta ha predetto correttamente ciò che venne fatto da Pietro.[12] Un punto che unisce Gesù e Pietro è che entrambi subiscono tre gradi di giudizio.[11] Il vangelo di Matteo non idealizza i discepoli, ma al contrario li "presenta come completamente umani", come dei peccatori, esattamente come lo erano stati Noè, Mosè, Davide e Salomone.[11] Dale Allison ha sottolineato che "Dio può usare le persone ordinarie per i propositi più straordinari e, quando questi cadono nel peccato, egli solo può perdonarle."[11]
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