Malattia di Wilson
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La malattia di Wilson (un tempo detta anche morbo[1] di Wilson), o degenerazione epatolenticolare, è una malattia genetica, trasmessa in modo autosomico recessivo, che determina l'accumulo di rame nei tessuti; i sintomi si manifestano a livello neurologico-psichiatrico e soprattutto a livello del fegato. Nei bambini l'esordio è spesso con sintomi epatici, mentre negli adulti sono i sintomi neurologici a esordire per primi.[2] Si può manifestare tra i 5 e i 40 anni, e gli esordi precoci corrispondono a un decorso più grave, pericoloso e rapido.[3] I sintomi appaiono in genere tra i 6 e i 20 anni, anche se in alcuni casi sono stati descritti primi sintomi in pazienti molto più anziani.[4]
Malattia di Wilson | |
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L'anello di Kayser-Fleischer (l'area circolare marroncina sul bordo dell'iride), dovuto all'accumulo di rame sulla cornea, è comune nella malattia di Wilson, specie in presenza di sintomi neurologici | |
Malattia rara | |
Cod. esenz. SSN | RC0150 |
Specialità | endocrinologia |
Eziologia | genetica |
Classificazione e risorse esterne (EN) | |
ICD-9-CM | 275.1 |
OMIM | 277900 |
MeSH | D006527 |
MedlinePlus | 000785 |
eMedicine | 183456 e 1153622 |
GeneReviews | Panoramica |
Sinonimi | |
degenerazione epatolenticolare degenerazione lenticolare progressiva | |
Eponimi | |
Samuel Alexander Kinnier Wilson | |
La condizione è dovuta a una mutazione nella proteina della malattia di Wilson (gene ATP7B). Una singola copia anomala del gene è presente in una persona su cento, senza determinare alcun sintomo, essendo la patologia causata da un gene recessivo (si tratta di portatori sani della malattia). Se un individuo eredita il gene da entrambi i genitori, è a rischio di manifestare la patologia. La malattia di Wilson ha un'incidenza di 2,66/100 000 con una prevalenza di 6,21/100 000.[4] La malattia prende il nome da Samuel Alexander Kinnier Wilson (1878-1937), neurologo inglese che per primo descrisse la condizione nel 1912.[5]
Senza cura, la malattia può essere facilmente letale in pochi anni, tuttavia esistono farmaci efficaci in grado di controllarla; la cura prevede l'utilizzo di farmaci chelanti che riducono l'assorbimento di rame e ne rimuovono l'eccesso dall'organismo, farmaci di mantenimento, a volte fisioterapia, e un'adeguata dieta povera di rame, ma occasionalmente è necessario anche un trapianto di fegato in caso di grave insufficienza epatica.[6] A causa della grande variabilità dei sintomi e del decorso, la diagnosi è raramente tempestiva, per cui i pazienti aspettano anche anni, con peggioramento dei sintomi, prima di sapere di esserne affetti e potersi curare. Comunque, se trattata adeguatamente, la malattia regredisce in buona parte e non riduce l'aspettativa di vita dei pazienti, che rimane identica a quella della popolazione sana, così come si può mantenere una buona qualità di vita; tuttavia il trattamento farmacologico e il monitoraggio devono proseguire in maniera costante e cronica per tutta la durata della vita.[2]