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«Mai più la guerra!» è il passo principale del discorso pronunciato in francese da Papa Paolo VI il 4 ottobre 1965, in occasione del ventennale della fondazione delle Nazioni Unite ed in coincidenza con il giorno di San Francesco d’Assisi. Con questo discorso il pontefice chiese ai rappresentanti di 116 nazioni presenti al Palazzo di vetro di New York di porre fine ad ogni guerra ed a ogni inutile spargimento di sangue[1].
Dopo una breve stagione che lasciava sperare a un futuro di pace, erano venuti meno o erano stati rimossi i grandi protagonisti della distensione tra i popoli: Papa Giovanni XXIII, John F. Kennedy e Nikita Chruščëv. Nel frattempo era ripresa la Guerra fredda e gli Stati Uniti si erano direttamente impegnati nella guerra del Vietnam. Altri conflitti minori, come la rivolta dei mercenari in Congo avevano investito il pianeta.
Il Papa, impegnato nella conclusione del Concilio Vaticano II, avviato dal suo predecessore Giovanni XXIII, volle ribadire la scelta di pace della Chiesa cattolica e dello Stato della Città del Vaticano, pur non rappresentato all’ONU, anche con gli strumenti della diplomazia e della comunicazione. Scelse quindi di appoggiare gli sforzi dell’Onu di trasformare l’istituzione internazionale in uno strumento di pace, ribadendo la necessità di processi multilaterali - affidati a iniziative e strumenti di dialogo e confronto - nella soluzione dei problemi tra i popoli [2].
Paolo VI compì un viaggio rapidissimo. Dopo aver visitato la cattedrale di San Patrizio pranzò col cardinale Francis Joseph Spellman e poi entrò nel palazzo di vetro per pronunciare il suo discorso. Infine celebrò la messa nello Yankee Stadium e ripartì. La mattina dopo, alle 13:00 era già a Roma [3].
Il Papa inizia il suo discorso all'Assemblea generale con i saluti, anche a nome dei cardinali che lo hanno accompagnato e di tutti i componenti del Concilio Ecumenico Vaticano II. Prosegue presentando la Chiesa come messaggera di pace. Definisce inoltre il suo discorso come l’epilogo di un percorso di colloquio della Chiesa con il mondo intero, durato venti secoli di storia.
«Voi avete davanti un uomo come voi; egli è vostro fratello, e fra voi, rappresentanti di Stati sovrani, uno dei più piccoli, rivestito lui pure, se così vi piace considerarci, d'una minuscola, quasi simbolica sovranità temporale, quanta gli basta per essere libero di esercitare la sua missione spirituale, e per assicurare chiunque tratta con lui, che egli è indipendente da ogni sovranità di questo mondo. Egli non ha alcuna potenza temporale, né alcuna ambizione di competere con voi; … qualunque sia l'opinione che voi avete sul Pontefice di Roma, voi conoscete la Nostra missione; siamo portatori d'un messaggio per tutta l'umanità; e lo siamo non solo a Nostro nome personale e dell'intera famiglia cattolica, ma lo siamo pure di quei Fratelli cristiani, che condividono i sentimenti da Noi qui espressi, e specialmente di quelli da cui abbiamo avuto esplicito incarico d'essere anche loro interpreti. Noi siamo come il messaggero che, dopo lungo cammino, arriva a recapitare la lettera che gli è stata affidata; così Noi avvertiamo la fortuna di questo, sia pur breve, momento, in cui si adempie un voto, che Noi portiamo nel cuore da quasi venti secoli. Sì, voi ricordate: è da molto tempo che siamo in cammino, e portiamo con Noi una lunga storia; Noi celebriamo qui l'epilogo d'un faticoso pellegrinaggio in cerca d'un colloquio con il mondo intero, da quando Ci è stato comandato: "Andate e portate la buona novella a tutte le genti". … E facciamo Nostra la voce dei poveri, dei diseredati, dei sofferenti, degli anelanti alla giustizia, alla dignità della vita, alla libertà, al benessere e al progresso [4].»
Il Papa prosegue sottolineando la formula di convivenza offerta dalle Nazioni Unite al pluralismo degli Stati e il grande principio, sancito dall’ONU, che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, dalla violenza, dalla guerra e nemmeno dalla paura e dall’inganno
«I popoli considerano le Nazioni Unite come il palladio della concordia e della pace; … l'edificio, che avete costruito, non deve mai più decadere, ma deve essere perfezionato e adeguato alle esigenze che la storia del mondo presenterà. Voi segnate una tappa nello sviluppo dell'umanità, dalla quale non si dovrà più retrocedere, ma avanzare. Al pluralismo degli Stati, che non possono più ignorarsi, voi offrite una formola di convivenza, estremamente semplice e feconda. Ecco: voi dapprima vi riconoscete e distinguete gli uni dagli altri. Voi non conferite certamente l'esistenza agli Stati; ma qualificate come idonea a sedere nel consesso ordinato dei Popoli ogni singola Nazione; date cioè un riconoscimento di altissimo valore etico e giuridico ad ogni singola comunità nazionale sovrana, e le garantite onorata cittadinanza internazionale. ... Voi sancite il grande principio che i rapporti fra i popoli devono essere regolati dalla ragione, dalla giustizia, dal diritto, dalla trattativa, non dalla forza, non dalla violenza, non dalla guerra, e nemmeno dalla paura, né dall'inganno[4].»
Nel congratularsi per la grande estensione dell’Assemblea, il papa non può non evidenziarne l’incompletezza. Nel 1964 infatti ne era uscita l'Indonesia di Sukarno, la Cina vi era rappresentata dalla sola Taiwan poiché continuava a negarsi l'ammissione della Repubblica Popolare Cinese e la Svizzera aveva scelto di non aderire.
«Lasciate che Noi Ci congratuliamo con voi, che avete avuto la saggezza di aprire l'accesso a questa aula ai Popoli giovani, agli Stati giunti da poco alla indipendenza e alla libertà nazionale; la loro presenza è la prova dell'universalità e della magnanimità che ispirano i principii di questa Istituzione. … Voi esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati; diciamo questa seconda formola: per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete una Associazione. Siete un ponte fra i Popoli. Siete una rete di rapporti fra gli Stati. Staremmo per dire che la vostra caratteristica riflette in qualche modo nel campo temporale ciò che la Nostra Chiesa cattolica vuol essere nel campo spirituale: unica ed universale. Non v'è nulla di superiore sul piano naturale nella costruzione ideologica dell'umanità. La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i Popoli. ... procurate di richiamare fra voi chi da voi si fosse staccato, e studiate il modo per chiamare, con onore e con lealtà, al vostro patto di fratellanza chi ancora non lo condivide ... consentite che ve lo dica Colui che vi parla, il Rappresentante d'una Religione, la quale opera la salvezza mediante l'umiltà del suo Fondatore Divino. Non si può essere fratelli, se non si è umili. Ed è l'orgoglio, per inevitabile che possa sembrare. che provoca le tensioni e le lotte del prestigio, del predominio, del colonialismo dell'egoismo; rompe cioè la fratellanza[4].»
Poi, richiamando le parole di John F. Kennedy, l'appello per la pace.
«E allora il Nostro messaggio raggiunge il suo vertice; il vertice negativo. Voi attendete da Noi questa parola, che non può svestirsi di gravità e di solennità: non gli uni contro gli altri, non più, non mai! A questo scopo principalmente è sorta l'Organizzazione delle Nazioni Unite; contro la guerra e per la pace! Ascoltate le chiare parole d'un grande scomparso, di John Kennedy, che quattro anni or sono proclamava: "L'umanità deve porre fine alla guerra, o la guerra porrà fine all'umanità". Non occorrono molte parole per proclamare questo sommo fine di questa istituzione. Basta ricordare che il sangue di milioni di uomini e innumerevoli e inaudite sofferenze, inutili stragi e formidabili rovine sanciscono il patto che vi unisce, con un giuramento che deve cambiare la storia futura del mondo: mai più la guerra, mai più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità! Se volete essere fratelli, lasciate cadere le armi dalle vostre mani. Non si può amare con armi offensive in pugno. Le armi, quelle terribili. specialmente, che la scienza moderna vi ha date, ancor prima che produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, alimentano sentimenti cattivi, creano incubi, diffidenze e propositi tristi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà e di utile lavoro, falsano la psicologia dei popoli[4].»
Pace, ma nella fratellanza e non in base a mera "coesistenza pacifica".
«Ci accorgiamo di far eco ad un altro principio costitutivo di questo Organismo, cioè il suo vertice positivo: non solo qui si lavora per scongiurare i conflitti fra gli Stati, ma si lavora altresì con fratellanza per renderli capaci di lavorare gli uni per gli altri. Voi non vi contentate di facilitare la coesistenza e la convivenza fra le varie Nazioni; ma fate un passo molto più avanti, al quale Noi diamo la Nostra lode e il Nostro appoggio: voi promovete la collaborazione fraterna dei Popoli. Qui si instaura un sistema di solidarietà, per cui finalità civili altissime ottengono l'appoggio concorde e ordinato di tutta la famiglia dei Popoli per il bene comune, e per il bene dei singoli. Questo aspetto dell'Organizzazione delle Nazioni Unite è il più bello: è il suo volto umano più autentico; è l'ideale dell'umanità pellegrina nel tempo; è la speranza migliore del mondo; è il riflesso, osiamo dire, del disegno trascendente e amoroso di Dio circa il progresso del consorzio umano sulla terra; un riflesso, dove scorgiamo il messaggio evangelico da celeste farsi terrestre. Qui, infatti, Noi ascoltiamo un'eco della voce dei Nostri Predecessori, di quella specialmente di Papa Giovanni XXIII, il cui messaggio della Pacem in terris ha avuto anche nelle vostre sfere una risonanza tanto onorifica e significativa[4].»
Il Papa non tralascia di affrontare argomenti che non possono che affiancare l’esigenza di pace universale: libertà per tutti, compresa la libertà religiosa, rispetto per la vita, anche per quanto riguarda il problema della natalità.
«Perché voi qui proclamate i diritti e i doveri fondamentali dell'uomo, la sua dignità, la sua libertà e, per prima, la libertà religiosa. Ancora, Noi sentiamo interpretata la sfera superiore della sapienza umana, e aggiungiamo: la sua sacralità. Perché si tratta anzitutto della vita dell'uomo: e la vita dell'uomo è sacra: nessuno può osare di offenderla. Il rispetto alla vita, anche per ciò che riguarda il grande problema della natalità, deve avere qui la sua più alta professione e la sua più ragionevole difesa: voi dovete procurare di far abbondare quanto basti il pane per la mensa dell'umanità; non già favorire un artificiale controllo delle nascite, che sarebbe irrazionale, per diminuire il numero dei commensali al banchetto della vita[4].»
Paolo VI conclude il suo intervento affermando che la moderna civiltà deve basarsi su principi spirituali e sulla fede in Dio.
«Una parola ancora, Signori, un'ultima parola: questo edificio, che state costruendo, si regge non già solo su basi materiali e terrene: sarebbe un edificio costruito sulla sabbia; ma esso si regge, innanzitutto, sopra le nostre coscienze. ... Mai come oggi, in un'epoca di tanto progresso umano, si è reso necessario l'appello alla coscienza morale dell'uomo! Il pericolo non viene né dal progresso né dalla scienza: questi, se bene usati, potranno anzi risolvere molti dei gravi problemi che assillano l'umanità. Il pericolo vero sta nell'uomo, padrone di sempre più potenti strumenti, atti alla rovina ed alle più alte conquiste! In una parola, l'edificio della moderna civiltà deve reggersi su principii spirituali, capaci non solo di sostenerlo, ma altresì di illuminarlo e di animarlo. E perché tali siano questi indispensabili principii di superiore sapienza, essi non possono non fondarsi sulla fede in Dio. ... Per noi, in ogni caso, e per quanti accolgono la Rivelazione ineffabile, che Cristo di Lui ci ha fatta, è il Dio vivente, il Padre di tutti gli uomini[4].»
Nel suo percorso automobilistico, comprendente anche le strade del quartiere nero di Harlem, Paolo VI fu salutato da milioni di persone. Il suo discorso all’Assemblea delle Nazioni Unite ricevette molti applausi. Il Papa, tuttavia, fu ricevuto all'aeroporto Kennedy di New York soltanto dal sindaco della città e dal segretario generale delle Nazioni Unite U Thant ma da nessun altro rappresentante degli Stati membri. Poté incontrare il presidente degli Stati Uniti Lyndon Johnson soltanto in un albergo e non in un luogo ufficiale. Il suo discorso, inoltre, ricevette numerose critiche per essere andato troppo a fondo su problemi tanto controversi[3].
In ogni caso, Paolo VI non fu il primo papa a lanciare al mondo appelli di pace. Già nel 1917 Papa Benedetto XV pubblicò una celebre "Nota di pace" indirizzata alle cancellerie delle nazioni belligeranti della prima guerra mondiale.
Il 24 agosto 1939, Papa Pio XII diffuse il suo Radiomessaggio rivolto ai governanti ed ai popoli nell'imminente pericolo della guerra, contenente la famosa frase «Nulla è perduto con la pace! Tutto può esserlo con la guerra» suggerita, secondo la comune opinione, proprio dall'allora sostituto Segretario di Stato, Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI[5].
Papa Giovanni XXIII scriverà addirittura un'enciclica (Pacem in terris), citata dal suo successore nel discorso all’ONU. Nessuno, però, si era spinto a pronunciare un discorso di pace di persona e di fronte ai rappresentanti della diplomazia e nel più alto consesso mondiale. Il passaggio principale «Mai più la guerra» fu poi inserito in una preghiera per la pace da Giovanni Paolo II il 2 febbraio 1991[6].
Il discorso di Paolo VI all'ONU fu poi ricordato dallo stesso Giovanni Paolo II nella preghiera dell’Angelus del 16 marzo 2003, nell’imminenza dello scoppio della guerra in Iraq [7].
Nel cinquantenario del discorso di Paolo VI, il 25 settembre 2015, Papa Francesco rivolgerà all’Onu una richiesta identica: «Basta guerra, negazione di tutti i diritti»[3].
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