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raccolta di poesie di Catullo Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Il Liber (o Carmina) è una raccolta di poesie in vario metro del poeta romano Gaio Valerio Catullo.
Carmi - Canti | |
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Titolo originale | Liber |
Altri titoli | Carmina; Poesie |
Le Poesie di Catullo nella traduzione di Mario Rapisardi (frontespizio della prima edizione del 1889) | |
Autore | Gaio Valerio Catullo |
1ª ed. originale | I secolo a.C. |
Editio princeps | Venezia, Vindelino da Spira, 1472 |
Genere | raccolta di poesie |
Lingua originale | latino |
Il Liber consta di 116 carmi divisi in tre sezioni:
All'inizio della raccolta vi è una dedica rivolta allo storico e biografo Cornelio Nepote (carme I) che sembra però riferibile alla prima parte dell'opera e non a essa nella sua totalità. In questa prefazione dedicatoria, Catullo definisce infatti i suoi carmi come nugae, ovvero cosucce di poco conto, e la sua opera libellus, alludendo a una raccolta composta da non più di un migliaio di versi, così rendendo plausibile l'esclusione della seconda parte (i carmina docta).
Nelle nugae e negli epigrammata il tema dominante è la passione per Lesbia, descritta come una donna d'eccezionale fascino e cultura, della quale il poeta è perdutamente innamorato. Catullo attinge in gran misura dalle poesia greca di Callimaco e Saffo ma i suoi componimenti assumono forme ed espressioni sempre originali.
Nei carmina docta, invece, c'è un Catullo più composto e classico, in cui il mito rappresenta un modello etico, o comunque un mezzo per affermare l'assolutezza e la sacralità di quei valori che Catullo sente minacciati nella vita del suo tempo ma anche nella sua vita privata. Il primo ed il secondo carme sono rispettivamente un epitalamo ed un contrasto corale. L'Attis, il carme successivo, narra la vicenda del giovane omonimo, giunto in Frigia, che si evira in preda ad una furia religiosa così da poter divenire sacerdote della dea Cibele. Rinsavito, Attis si rende conto del suo gesto e si abbandona ad un lamento in riva al mare, creando un acceso lirismo narrativo. Il quarto carme, comunemente intitolato Le nozze di Peleo e Teti fin dall'Umanesimo, è un epitalamio che racconta appunto le vicende delle nozze fra i due. La peculiarità principale dell'epitalamo però è data dalla tecnica artistica, l'ekphrasis giunta dagli Alessandrini, con cui il poeta introduce con un pretesto poetico mutuato dall'argomento focale, un altro episodio in contrasto: l'abbandono di Arianna da parte di Teseo: i due nuclei narrativi devono contrapporre la fides e linfidelitas. I successivi componimenti (65-66) sono in stretta relazione: il primo è la un'epistola indirizzata all'oratore Ortensio Ortalo, amico e rivale di Cicerone, difensore dei poeti e poeta egli stesso, nella quale è presente la dedica del carme successivo, traduzione dell'opera di Callimaco "La chioma di Berenice", fatta da Catullo allo stesso Ortalo. Il carme 67 tratta dell'argomento della 'porta chiusa', ovvero una nuova deformazione del παρακλαυσίθυρον (paraklausìthyron), cioè del lamento dell'amante di fronte alla porta chiusa dell'amato: in questo componimento infatti, una porta racconta le vicende che riguardano la moglie del padrone e delle sue relazioni adulterine. L'ultimo componimento racconta della vicenda mitica riguardante Protesilao e Laodamia, il quale riassume bene i due temi principali della poesia catulliana di questo periodo, ovvero la morte di un congiunto (la scomparsa del fratello) e l'amore disperato e carnale (la passione per Lesbia).
La strutturazione del libro così come ci è pervenuto non fu probabilmente ordinata dallo stesso Catullo, ma da qualche editore che ne curò la pubblicazione postuma.
Una parte importante del Liber catulliano è costituita dai componimenti a sfondo amoroso dedicati a Lesbia, dai quali si evince che la relazione ebbe un principio felice ma che nel protrarsi del tempo, fu oscurata dai numerosi tradimenti della donna, alternando momenti di gioia a momenti di infelicità per il poeta. La visione catulliana dell'amore è una concezione totalmente nuova per la società romana tradizionalista, che considerava ufficiale soltanto il legame consacrato, ovvero il matrimonio, e inferiori i rapporti extraconiugali. Per Catullo, il rapporto con Lesbia, anche se vissuto con estrema trasgressività contro i moralisti (carme 5), è comunque fondato su un "patto" (foedus) che comporta lealtà, stima, rispetto reciproco e fedeltà incondizionata, e perciò non ha meno valore rispetto ad un matrimonio. Nell'amore, come nell'amicizia, il foedus è un patto reciproco di valore religioso, che impone il rispetto della fides, della fedeltà alla parola data. Amare e bene velle, il desiderio carnale e l'affetto, sono aspetti complementari ed indivisibili del rapporto: l'infedeltà annienta l'inviolabilità del bene velle ed acuisce il desiderio, però divenuto sofferenza. Odio e amore vengono così a convivere, in una coincidentia oppositorum che genera disorientamento, follia e disperazione. Catullo portò la poesia ad un nuovo livello, fondendo i caratteri greco-ellenistici con la profondità psicologica dell'avventura amorosa, intessendo il proprio lavoro di momenti di vita privata, volti a raccontare la sua vicenda: ai dialoghi con l'amante, ricchi di vezzeggiativi e locuzioni familiari, si alternano ombrosi soliloqui.
Un'altra forma d'amore descritta da Catullo è, non meno intensa, quella fraterna, che sfocia nel suo carme 101 (epigramma), dedicato appunto al fratello prematuramente scomparso e che termina con un accorato addio, in cui viene esplicata l'impossibilità del poeta di intervenire, poiché le parole sono vane davanti ad una tale sofferenza.
Oltre all'amore, vi sono numerosi altri temi affrontati in questa raccolta di carmi. Molti di essi sono dedicati ad amici scrittori e lasciano intravedere uno spicchio di vita quotidiana che il poeta conduceva a Roma, e soprattutto i rapporti con la cerchia dei neoterici. Venustas, lepos, iocunditas ovvero eleganza, grazia, piacevolezza sono i princìpi letterari e comportamentali ai quali un poeta neoterico doveva attenersi: in contrapposizione alla morale comune tradizionale, secondo la quale l'unico vero interesse del cives doveva essere il negotium (ossia l'adempimento ai doveri pubblici e politici), questo gruppo di poeti avanguardisti prediligeva l'otium (la vita privata e tutto ciò che la concerneva: l'amore, gli scherzi, le polemiche letterarie, le frequentazioni, ecc..). Li univa il gusto per la raffinatezza e per l'anticonformismo, perciò anche la derisione della grossolanità, del cattivo gusto e dell'effimera presunzione.
La presenza nel libellus catulliano di una Musa iocosa che si serve dello strumento della parodia è stata evidenziata in numerosi carmi, nei quali il poeta costruisce alessandrinamente possibilità di interpretazioni diverse a seconda del livello dei suoi destinatari e delle loro possibilità interpretative, ponendo per la prima volta il pericolo del fraintendimento nel passaggio dall'oralità alla scrittura[1][2].
«Vivamus, mea Lesbia, atque amemus,
Rumoresque senum severiorum
Omnes unius aestimemus assis.»
«Viviamo, mia Lesbia, e amiamo,
e le chiacchiere dei vecchi troppo severi
consideriamole quanto un soldo»
Catullo compone i suoi carmi con grande consapevolezza artistica, ma ciò nonostante conferisce loro forte spontaneità e immediatezza espressiva.[3]
In ottemperanza al criterio callimacheo della poikilia (varietas in latino: varietà, intesa tanto in senso tematico e metrico quanto linguistico),[3] Catullo fa uso nella sua opera di più registri linguistici diversi, che fonde assieme per creare una lingua letteraria che comprenda tanto forme colte e dotte quanto forme "volgari", proprie del sermo familiaris.[4][5][6] Di conseguenza, anche il lessico appare particolarmente ampio, tanto da accogliere assieme forme oscene e volgari,[7][8] diminutivi,[9][10] grecismi,[11][12] interiezioni,[13][14][15] onomatopee[16][17][18] ed espressioni idiomatiche o proverbiali.[19][20] La sintassi è prevalentemente semplice e paratattica, e richiama le strutture della lingua parlata; si segnalano, in particolare, l'uso del partitivo in dipendenza da pronomi o aggettivi neutri singolari o da avverbi; il congiuntivo esortativo alla seconda persona adoperato con valore di imperativo; l'uso dell'indicativo nella proposizione interrogativa indiretta, normalmente costruita con il congiuntivo; il pronome neutro in funzione predicativa retto dal verbo essere.[6]
La costruzione e la scelta del lessico non sono però frutto del caso: Catullo seleziona attentamente, stilizzandoli, gli elementi del linguaggio quotidiano e familiare, e li rielabora, mantenendone intatta l'espressività, alla luce del suo fine gusto letterario. Egli non è, d'altro canto, il primo a fare uso del linguaggio parlato in letteratura: lo stesso procedimento si era verificato in Grecia già a partire dalla lirica arcaica, mentre a Roma le forme del linguaggio quotidiano erano caratteristiche del genere comico, ma erano presenti anche nelle Satire di Gaio Lucilio.[6][21][22]
La forte capacità espressiva ed emotiva dell'opera catulliana è testimoniata da alcuni stilemi ricorrenti, come le forme dialogiche, le allocuzioni, le iterazioni, gli incipit ex abrupto,[10][23] le metafore,[24] i diminutivi,[25][26][27][28][29][30][31] gli aggettivi possessivi uniti ai nomi propri.[32] Con l'intento di creare un effetto di marcato contrasto, Catullo affianca a tali elementi del linguaggio colloquiale alcune forme e usi propri del linguaggio letterario, come le allusioni, tipiche della letteratura alessandrina, gli epiteti di stampo epico, spesso ricalcati dal greco,[33][34][35] gli arcaismi ispirati al linguaggio di Omero ed Ennio.[6][36][37]
Il fine gusto letterario catulliano interviene anche al livello compositivo, e definisce nei carmi una struttura retorica elaborata ed equilibrata, basata su simmetrie, antitesi, parallelismi, riprese e Ringkomposition. Tale precisa architettura stilistica è però efficacemente dissimulata, in modo tale da conferire ai carmi un senso di grande immediatezza e potenza espressiva.[6]
I componimenti brevi, nugae ed epigrammi, non presentano differenze di grande rilievo, sotto il profilo della lingua e dello stile, rispetto ai carmina docta, anche se in questi lo stile appare più elaborato e dotto, particolarmente ricco di riferimenti allusivi, arcaismi[38] e grecismi. Appaiono infatti in essi particolarmente forti gli influssi della poetica di Ennio, dell'epica e della tragedia arcaica in campo latino, ma soprattutto dei poeti ellenistici in campo greco. Non mancano, tuttavia, elementi afferenti al linguaggio colloquiale, in particolare i diminutivi.[31][39][40] Tale esempio, in cui l'umanizzazione del mito operata in ambito alessandrino arriva alla fusione tra la vicenda biografica personale e quella mitologica, è alla base dell'elegia di età augustea.[41]
I principali codici dell'opera di Catullo sono:
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