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adozione forzata della lingua italiana in Alto Adige durante il periodo fascista Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Con italianizzazione dell'Alto Adige si intende quel processo, imposto dalle autorità italiane, avvenuto successivamente alla prima guerra mondiale che vide l'adozione della lingua italiana come lingua ufficiale in Alto Adige[2], l'italianizzazione completa della toponomastica ufficiale preesistente tedesca nonché l'immigrazione interna da altre regioni d'Italia, favorita da una politica industriale.[3] La provincia, la cui popolazione nel 1919 era composta da una larga maggioranza di lingua tedesca e da minoranze di lingua italiana e ladina (il 90% madrelingua tedesca e il 4% ladina)[1] divenne ufficialmente parte del Regno d'Italia con il Trattato di Saint-Germain del 1919.
Con il decreto dd. 08.08.1923 n. 12637 Gab. emesso dal Prefetto Guadagnini in attuazione del R.D. 21.1.1923, n. 93,venne vietato l'uso del termine Tirolo[4]. Verranno poi, in aggiunta, vietate qualsiasi manifestazioni di commemorazione o ricordo dei caduti in divisa austro-ungarica, per paura che avrebbero potuto generare una manifestazione patriottica anti-italiana[5].
Il 24 ottobre 1923[6], un decreto prefettizio mise fine all'insegnamento in tedesco nella provincia[7] recependo le disposizioni nazionali del decreto del Re del 1º ottobre 1923, n. 21852; in risposta a ciò, si assistette alla creazione delle Katakombenschulen ("scuole nelle catacombe"), ad opera di Michael Gamper e Josef Noldin, dove si seguitava ad insegnare clandestinamente ai bambini la lingua tedesca.
Nel suo «discorso dell'Ascensione» del 26 maggio 1927 alla Camera dei deputati, Mussolini affermò di aver creato la provincia di Bolzano nel 1927, staccandola da quella di Trento, per poter meglio italianizzare il territorio («si è fatta la provincia di Bolgiano per più rapidamente italianizzare quella regione»)[8].
Nel 1939, con l'accordo sulle opzioni in Alto Adige, Adolf Hitler e Benito Mussolini concordarono che i cittadini di lingua tedesca residenti nella suddetta provincia potessero decidere se emigrare in Germania o nella Crimea (annessa in seguito all'invasione dell'Unione Sovietica al Grande Reich tedesco), oppure rimanere in Italia ed accettare la loro completa italianizzazione. Coloro che restarono vennero denominati Dableiber (letteralmente "i rimanenti") e furono additati come traditori, mentre coloro che decisero di andare (Optanten) vennero tacciati di filonazismo. Dei 246.036 aventi diritto, 211.799 optarono per la cittadinanza tedesca e l'emigrazione, mentre 34.237 decisero di rimanere: tuttavia, con lo scoppio della seconda guerra mondiale, l'accordo non fu mai pienamente attuato, e gli emigranti effettivi furono circa 75.000.[9]
Nel 1923, tre anni dopo l'annessione dell'Alto Adige al Regno d'Italia, i toponimi italiani, basati sul Prontuario dei nomi locali dell'Alto Adige vennero resi ufficiali per decreto.[10] Il nome tedesco "Tirol" venne bandito, così come i suoi derivati e le parole composte come "tirolese" e "sud tirolese".[10] I giornali tedeschi, le case editrici e le associazioni, tra cui il Alpenverein Südtirol, dovettero essere rinominati.[10] Alla base vi era un manifesto pubblicato da Ettore Tolomei il 15 luglio 1923, chiamato Provvedimenti per l'Alto Adige (anche detto "Misure per l'Alto Adige"), che divenne il modello per la campagna di italianizzazione. Le misure suggerite erano 32:[11]
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