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religioso, scrittore naturalista e politico italiano (1801-1875) Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giuseppe Francesco Baruffi (Mondovì, 15 ottobre 1801 – Torino, 12 marzo 1875) è stato un presbitero, scrittore e naturalista italiano, deputato del Regno di Sardegna, consigliere comunale di Torino e docente universitario.
Giuseppe Francesco Baruffi | |
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Deputato del Regno di Sardegna | |
Legislatura | III Legislatura |
Sito istituzionale | |
Dati generali | |
Titolo di studio | laurea in teologia |
Professione | docente universitario ed ecclesiastico |
Nato nel 1800 nel rione Pian della Valle di Mondovì, dal notaio Pietro e da Margherita Canale (cugina del medico monregalese Michele Gastone che fu attivo nelle società segrete piemontesi risorgimentali del periodo preunitario in preparazione dei successivi moti); compì i primi studi nella città natale ove, imitando un insegnante di filosofia[1], insieme con alcuni compagni, iniziò a raccogliere esemplari della flora del luogo[2]. Si trasferì poi a Torino per intraprendere gli studi universitari e, prima ancora di completarli, entrò in seminario e nel 1824 fu ordinato sacerdote[2].
Due anni dopo, nel 1826, Baruffi fu nominato professore di filosofia e cominciò ad insegnare. Nel 1833 divenne docente di aritmetica e geometria all'Università di Torino, incarico che conservò per quasi trent'anni, sino al 1862, quando fu collocato a riposo, forse anche per intrighi politici.[2].
Nel 1849 i concittadini di Mondovì lo elessero alla Camera dei deputati[3], organo legislativo che, insieme con il Senato Subalpino, formava il Parlamento di quello Stato, ma Baruffi diede le dimissioni dopo solo due mesi perché poco portato alle battaglie politiche. Nello stesso anno divenne un solerte consigliere comunale di Torino, carica che mantenne sino al 1875, anno della sua morte a settantaquattro anni di età. In tale ufficio, si impegnò nella promozione di interventi assistenziali per i ceti più disagiati e a favorire il risanamento urbanistico della città sabauda[2].
Con i suoi saggi, prevalentemente divulgativi, Baruffi diede un contributo apprezzabile alla diffusione della cultura scientifica del tempo[2][4]. Caldeggiò l'utilizzo del gas per l'illuminazione pubblica in un saggio del 1838[5]. Fu un convinto assertore dell'utilità di procedere al taglio dell'istmo di Suez appoggiando il progetto del Lesseps e a questo progetto dedicò un saggio pubblicato nel 1857[6]. Scrisse su questo argomento anche a Jules Barthélemy-Saint-Hilaire, membro della commissione sul grande progetto ingegneristico, corrispondendo anche con il medico Antoine Barthélémy Clot (1743-1868), vissuto molti anni in Egitto. Annunciò anche l'imminente apparizione della cometa di Halley ("veduta a Torino il 30 giugno 1861") e ne scrisse all'astronomo Giovanni Plana. Scrisse ai botanici Luigi Colla, Matthieu Bonafous (30 lettere a quest'ultimo) e al biologo (figlio dell'imperatore) Carlo Luciano Bonaparte.
Morì a Torino nel 1875, paralizzato e in condizioni di povertà[2].
È stato dedicato al suo nome l'Istituto tecnico commerciale e per geometri di Mondovì[7][8]
Una parte del suo epistolario (c. 650 lettere) è conservata nel Fondo Baruffi della Biblioteca di Storia e Cultura del Piemonte "Giuseppe Grosso" di Torino.[9]
Ad ogni estate il Baruffi, per quasi trent'anni, percorse a piedi mezza Europa per partecipare a congressi, conoscere studiosi, novità scientifiche e culturali, usi e costumi. Espose tutto in lunghi Letteroni raccolti in più volumi di Peregrinazioni autunnali ricchi di annotazioni. (1840-42) In una lettera ad esempio, parla di una interessante passeggiata da Torino a Mondovì "piena d'interesse", (Passeggiate dintorni di Torino, 15 opuscoli, 1853-1861). In un'altra confida con quale animo si mettesse in viaggio per le strade di Germania, Danimarca, Ungheria, Francia, Russia, Grecia, Turchia, Egitto. Senza pretese di eleganza divulgò la cultura scientifica e tecnica (ferrovie, navigazione a vapore, il telegrafo...). Fu amico e corrispondente di Giordani, Cantù, Cesare Balbo, Gioberti, d'Azeglio, e suo fratello Roberto, inoltre anche con André-Marie Ampère, Cousin, de Lamartine, Adolphe Thiers.[10]
«Il viaggiare è per me un libro in cui leggere con tutti e cinque i sentimenti: un libro in cui vedo, odo, gusto quasi ad un tempo; e queste cognizioni penetrano poi così addentro nella mia testa che più non isfuggono, oltreché s'imparano molte di quelle cose che non sono insegnate nei libri stampati. I viaggi allargano i nostri orizzonti e la mente vi si slancia meditando...Per volere divino la nostra vita non è che un movimento. Ho imparato anche un poco l'arte di viaggiare in economia ed oso dire "con frutto", un'arte, questa, proprio tutta pratica. Io viaggio questi due mesi d'estate per rifarmi delle fatiche e pene morali dell'anno scolastico dopo averne sudato quasi dieci nel lavoro come un bue sotto il giogo e con infiniti risparmii... Anche lungi dalla patria sotto qualunque cielo, cammino sempre sulla via del dovere e dell'onore, sempre! Viaggio coll'unico scopo di fare un doppio tesoro di salute e di cognizioni; e qui guàrdimi Iddio dal dire cosa che torni a mia vanagloria- ma posso dire d'aver procurato di portare dappertutto il nome piemontese con onore.»
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