divinità suprema della religione e della mitologia romana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Giove (inlatinoIupiter o Iuppiter, accusativoIovem o Diespiter) è il Dio della religione romana e italica, i cui simboli sono il fulmine e il tuono. Presente nel culto di tutti i popoli italici[1], esso è per eccellenza la divinità del cielo e della luce, come dice il suo nome, derivato dalla radice indoeuropea*dyeu- ("sfolgorare, risplendere"): nome che ricorre in gran parte degli antichi dialetti indoeuropei, dato che il greco Zeus Patér (Ζεὺς Πατήρ) e l'indoarioDyauṣ Pitā (द्यौष् पिता) corrispondono all'italico Iuppiter/Diespiter. Col tempo, Giove assorbì tutti gli attributi dell'equivalente greco Zeus, fino a venire completamente identificato con esso. Tinia è un dio simile presente nella mitologia etrusca.
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Al suo culto era consacrato il flamine maggiore, chiamato Flamine diale, il quale rivestiva una particolare importanza e sacralità in quanto quasi personificazione vivente di Giove, di cui celebrava i riti, godeva di grandi onori, ma, proprio per la sua funzione, era sottoposto a molteplici limitazioni e tabù, i più importanti dei quali erano che non poteva lasciare la città per più di un giorno, (questo limite fu portato da Augusto a due giorni) e non poteva dormire fuori dal proprio letto per più di tre notti.[senzafonte]
Questi sono gli epiteti conosciuti di Giove, secondo la lista compilata dallo storico svedese Carl Thulin e riportata dalla Paulys Realencyclopädie (1890), pagine 1142-1144. La sigla O. M. sta per Ottimo Massimo.
A questi va poi aggiunto anche l'epiteto di Vector[6] e Victor[7].
Gli amori di Giove sono per lo più una versione latina delle amanti e dei figli di Zeus; fanno eccezione alcuni nomi, come Circe, da cui avrebbe avuto Fauno, e Iarba, il re africano, che avrebbe avuto da una ninfa, Garamantide. Secondariamente si raccontava dei suoi amori con la figlia Venere, con cui generò Cupido.
Il futuro è sulle ginocchia di Giove - Espressione tratta da poemi omerici; usata talvolta per indicare che il futuro è sconosciuto agli uomini.
I Romani consacrarono l'albero del Noce a Giove: infatti il suo nome scientifico "Juglans regia", utilizzato ancora oggi, deriva dalla contrazione dell'espressione latina "Iovis glans" (ghianda di Giove) e dall'epiteto specifico "regia" che ne sottolinea l'importanza.
Giove viene citato da Caparezza nella canzone La caduta di Atlante ("Appena nato Giove m'ha regalato una biglia, zaffiro...")
Comune di Forlì, Epigrafia del villaggio. Segni dal Forlivese, Grafiche MDM, Forlì 1990. Come testimoniato dall'antico cippo di un tempio (dedicato a Giove, a Giunone e alle Parche) che sorgeva nella località di Monsignano di Predappio, presso Forlì.