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compositore, clavicembalista e cantante italiano Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
Domenico Alberti o Albertis[1] (Venezia, 1710 – Roma, 1740) è stato un compositore, clavicembalista e cantante italiano,[2] noto in particolare per aver diffuso l'accompagnamento di tastiera che da lui prende il nome di basso albertino.
Nobile veneziano, Alberti era un dilettante come Albinoni e i Marcello, nel senso che componeva ed eseguiva per puro diletto, senza preoccupazioni economiche.[1] Suo maestro di canto fu il sacerdote Antonio Biffi; di composizione Antonio Lotti, che succedette proprio a Biffi nel ruolo di maestro di cappella alla basilica di San Marco.[1][3]
Inizialmente si esibiva come cantante, spesso accompagnato dal clavicembalo. Si sa che fu paggio d'onore dell'ambasciatore di Venezia in Spagna nel 1736, e in quest'occasione, secondo quanto riferisce Laborde, cantò davanti a Farinelli il quale ne restò così impressionato da commentare che, se non si fosse trattato di un dilettante, sarebbe stato per lui «un rivale troppo temibile».[1][4]
Nel 1737 giunse a Roma per completare lo studio del clavicembalo, si rivelò anche compositore e ottenne notevole popolarità. La tecnica del basso albertino, ideata in realtà l'anno prima dal mediocre Maichelbeck, fu giudicata difettosa da alcuni contemporanei.[1][5]
L'opera omnia di Alberti è stata incisa dall'organista Manuel Tomadin nel 2015.[6]
Il basso albertino ha avuto fortuna, è stato accolto da molti grandi compositori (tra i quali spiccano i Wiener Klassiker Haydn, Mozart e Beethoven) e ha formato un modello importante nella musica classica per tastiera.[3]
La produzione di Alberti annovera opere, mottetti e sonate per clavicembalo la cui caratteristica è la ripartizione in due movimenti in forma binaria. Le trentasei sonate tradizionalmente attribuitegli, di cui quattordici sono pervenute, sono probabilmente una sovrastima.[3]
Una raccolta di sonate fu oggetto di plagio da parte di un suo presunto allievo, il castrato Giuseppe Jozzi, e apparve a nome di questi ad Amsterdam (1761).[7] La sussistenza del plagio integrale è discussa da chi ritiene che Jozzi fosse realmente autore di diversi movimenti,[7] ma la vicenda destò scandalo, e le sonate furono ripubblicate a Parigi e riattribuite all'Alberti.[1]
La produzione di Alberti include:[1]
La pratica del basso arpeggiato, che pure non è sistematica nell'Alberti, si diffuse e si impose presto a scapito del basso continuo nella musica europea dell'epoca.[1][10]
Curiosamente proprio in Alberti la tecnica che da lui prende il nome non è considerata molto efficace: egli infatti non se ne servì nel modo fluido affermatosi ad esempio con Mozart, ma la usò spesso quasi a mo' di pedale analogamente al cosiddetto basso di Murky (a ottave spezzate) e in un'armonizzazione piuttosto statica intorno all'accordo di tonica.[11]
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