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antica famiglia toscana Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
I Gangalandi o Conti di Gangalandi furono un'antica famiglia feudale e consorteria fiorentina originaria di Lastra a Signa
Gangalandi | |
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Partito: il primo d'oro; il secondo palato cinque volte d'argento-rosso diviso[1] | |
Stato | Marca di Tuscia Margraviato di Toscana Repubblica fiorentina Ducato di Firenze Granducato di Toscana (1569-1737) Granducato di Toscana (1737-1860) Stato Pontificio |
Titoli | |
Fondatore | Sigismondo de' Conti di Gangalandi |
Data di fondazione | XI secolo |
Etnia | italiana |
Rami cadetti |
|
La tradizione, legata alla leggenda di Ugo di Tuscia, vuole gli antenati dei Gangalandi tra le famiglie insignite del titolo di cavaliere dal margravio di Toscana. Le famiglie stesse adottarono, con alcune variazioni, lo stemma rosso-argenteo di Ugo nelle proprie armi, in segno dell'onore ricevuto[2]. All'interno della Badia Fiorentina, fatta costruire da Willa di Toscana, la madre di Ugo, è presente una lapide che ricorda l'anno 980, quando avvenne la suddetta investitura. Il fatto è rammentato anche da Dante nella Divina Commedia, canto XVI del Paradiso:
«Ciascun che della bella insegna porta
del gran barone il cui nome e il cui pregio
la festa di Tommaso riconforta,
da esso ebbe milizia e privilegio;»
A Sigismondo di Bonifacio si attribuisce il ruolo di capostipite dei Conti di Gangalandi, origine del nome della famiglia lastrigiana. Sigismondo, legato ai nobili Cadolingi e imparentato con gli Adimari, è uno dei contraenti di un atto notarile del 1108. La prima testimonianza del nome dei Gangalandi risale proprio a tale documento, dove si attesta che alcuni componenti della famiglia fiorentina Adimari e altri legati alla nobiltà dei Cadolingi di Fucecchio, tra cui proprio Sigismondo, donavano terreni e beni alla chiesa di San Martino e alla chiesa di San Michele presso Gangalandi, in quanto consapevoli che loro parenti e uomini nel passato avevano sottratto ingiustamente decime e beni che sarebbero spettati a tali chiese. Le due famiglie erano infatti proprietarie di vaste terre in questa zona di Gangalandi, cioè "Gangland", dal tedesco "terra o paese di passaggio", compresa tra il Rimaggio e la Gonfolina, nell'attuale territorio di Lastra a Signa [3]. Tale donazione e intenti collaborativi vennero instaurati solo in seguito ad un atto di forza da parte dei fiorentini: la presa del castello di Monte Orlando, nel 1107, durante l'espansione nel contado del comune di Firenze. Alla vana difesa del castello sembra ergersi un certo Arnolfo di Gangalandi.
I Gangalandi, pur non risiedendo nel capoluogo fiorentino, sono annoverati spesso tra i protagonisti delle vicende politiche cittadine, in particolare negli scontri tra Guelfi e Ghibellini, che comportarono a più riprese l'esilio dei membri della famiglia da Firenze. I Gangalandi parteciparono nel 1216 agli episodi che portarono all'assassinio di Buondelmonte de' Buondelmonti, evento che Dante indica più volte come la scintilla che portò la città a spaccarsi nelle due fazioni rivali. Membri della famiglia parteciparono anche a vere e proprie campagne militari come la battaglia di Campaldino del 1289 o la discesa in Italia dell'imperatore Enrico VII di Lussemburgo nel 1311. Proprio in quest'ultimo evento però Scolaio de' Gangalandi risulta tra quelli che l'imperatore condannò per opposto movimento politico, in quanto il gangalandino rimase nella città fiorentina a difendere il libero comune dall'autorità imperiale. Michele Gangalandi invece, una volta terminate le continue lotte tra le fazioni, divenne notaio delle Riformagioni a Firenze tra il 1334 e il 1354.
I Gangalandi, nonostante le vicende che li vedono protagonisti a Firenze, rimasero però sempre legati al territorio lastrigiano: a loro si attribuisce un atto di vendita ai monaci della Badia a Settimo di terreni, una pescaia e un porto, stipulato nel 1254 da Filippo e Corso de' Conti di Gangalandi. Da tali agglomerati urbani si svilupperà il borgo di Ponte a Signa, centro strategico per lo sviluppo del comune. Il nome della famiglia resterà legato sia a San Martino a Gangalandi, sede appunto di un comune e di una lega formata dai principali popoli dei pievieri della zona, che al castello di Lastra a Gangalandi, che solo nel 1821 cambierà denominazione per la vicinanza con Signa.
Ad inizio XV secolo Matteo de' Conti Gangalandi fu committente di importanti lavori artistici all'interno della basilica di Santa Maria del Carmine. Il nobile tuttavia fu l'ultimo del principale ramo dei conti, in quanto morì senza aver generato alcun erede.
Nonostante l'estinzione del ramo principale portatore del titolo di Conte di Gangalandi, la linea dinastica continuò probabilmente attraverso rami cadetti o collaterali nel contado fiorentino e, più in generale, in Toscana. Cenni dell'eredità del titolo si hanno con i Dandi di Gangalandi o Dandi de' Conti di Gangalandi, chiamati anche solo Conti di Gangalandi tralasciando il cognome Dandi, così da rimarcare la propria ascendenza nobile.
Si evince dallo stemma presente sulla facciata del palazzo del Podestà di Lastra a Gangalandi, che Bastiano de' Conti di Gangalandi fu podestà mediceo del comune nel 1611, mentre suo padre, Giovanmaria, aveva assunto il ruolo di podestà di Serravalle Pistoiese nel 1609. Lo stemma citato però, nonostante l'iscrizione "de' Conti di Gangalandi", non presenta il colore della prima partizione semplice d'oro, come quello del ramo principale, ma inquartato in decusse d'argento e di nero col leone d'oro tenente un giglio dello stesso. Il giglio fu concesso alla famiglia per l'uso sull'arme dal re di Napoli Renato d'Angiò nel 1442. Questo è appunto l'arme dei Dandi di Gangalandi[4], famiglia che risulta tra quelle avente membri insigniti del granducale Ordine di Santo Stefano papa e martire fondato da Cosimo I de' Medici.
Fausto Dandi di Gangalandi nel 1746 ereditò Villa Gangalandi Lancellotti da Domenico Gangalandi, fatta costruire a Roma nel 1737 dal padre di Domenico, un ricco estrattore di allume delle miniere dello Stato Pontificio di nome Fortunato Gangalandi. Fausto ospitò più volte papa Clemente XIV presso la chiesina annessa alla villa, eventi ricordati da una lapide del 1772[5]. Nel 1782 Fausto e Fortunato presentarono la richiesta per l'ammissione al patriziato fiorentino, titolo ora vincolato al regolamento disposto dalla nuova dinastia Asburgo-Lorenese, salita sul trono toscano con Francesco Stefano di Lorena. La famiglia Dandi, riconducibile ai conti Dandi di Gangalandi, è iscritta su uno dei libri d'oro della nobiltà fiorentina. A Roma il libro d'oro dell'Archivio Storico Capitolino[6] testimonia che Fausto e Fortunato Dandi Gangalandi vennero reintegrati nella nobiltà romana tramite "Senatus Consulto del 26 Luglio 1802 [...] redinte vigore Rescripti S.M. Pio VII" del giorno 1 Febbraio 1802, in quanto eredi anche del ramo dei Gangalandi che si era insediato nello Stato Pontificio. Nel 1816 Fortunato Dandi Gangalandi fu eletto Conservatore di Roma[7][8].
Fra le committenze artistiche più rilevanti si ricordano:
Villa Gangalandi Lancellotti, situata a Roma, fu costruita nel 1737 da Fortunato Gangalandi, ricco estrattore di allume delle miniere dello Stato Pontificio[9]. A fianco dell'edificio residenziale, sorto probabilmente ristrutturando un vecchio casolare preesistente del XVI secolo, venne costruita una chiesina dedicata alla Beata Vergine Maria ed a San Filippo Neri che fu, proprio come il conte gangalandino Fortunato, fiorentino d'origine ma romano d'adozione. Alla sua morte la villa passò al figlio Domenico che però morì senza discendenti, venendo quindi ereditata da Fausto Dandi Gangalandi nel 1746. La villa passò poi, nel 1806, al fratello Fortunato Dandi Gangalandi, che in seguito nel 1813 designò come erede suo nipote il conte Filippo Della Porta Rodiani. Successivamente la villa passò prima ai principi Massimo ed infine alla famiglia Lancellotti, da cui il secondo nome della dimora.
L'edificio principale della villa, della quale rimane solo un casino nobile situato di fronte all'ingresso del parco di Villa Ada[10] nel quartiere Parioli, fu demolito nel 1929 insieme alla cappella annessa a causa dell'urbanizzazione della zona. Stessa sorte toccò al vasto giardino, in cui era immersa, ora per la grandissima parte scomparso, che si estendeva da via Salaria all'attuale piazza Verbano. L'esterno dell'unico casino superstite risulta molto semplice sia dal punto di vista decorativo che architettonico, mentre l'interno si presenta riccamente decorato da affreschi di reperti archeologici e di paesaggi attestati a Paolo Anesi e datati intorno al 1740.
L'arme della famiglia Gangalandi in tutte le sue versioni ha sempre un elemento ricorrente: il palato di rosso e d'argento di Ugo di Toscana, origine del titolo nobiliare cavalleresco, presentando la sola differenza di un numero di pali rosso-argentei differente. Spesso lo stemma si trova timbrato del tipico elmo da famiglia nobile e dell'aquila coronata imperiale, mentre lo scudo partito è usualmente arricchito, nella prima sezione, da un leone, simboleggiante l'appartenenza della famiglia alla fazione ghibellina. La prima sezione della partizione a seconda del ramo familiare può essere semplice o inquartata decussata, in vari colori; così come il leone, che può variare sempre colore, ha la zampa libera o tenente un giglio d'oro, concesso da Renato I di Napoli nel 1442.
Altri stemmi di antenati, rami collaterali o cadetti dei Gangalandi in Toscana.
Un'arme che si discosta maggiormente da quella tradizionalmente legata alla casata gangalandina[11] venne invece presentata da Fausto e Fortunato Dandi Gangalandi nella richiesta di reintegrazione nella nobiltà romana.
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