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motivo folclorico e mitologico Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
La caccia selvaggia o schiera furiosa è un tema mitologico e folcloristico originario dell'Europa settentrionale, centrale e occidentale.[1] La struttura narrativa di tutte le versioni del mito si fonda su questa premessa: un corteo notturno di esseri sovrannaturali attraversa il cielo (o il terreno), mentre è intento in una furiosa battuta di caccia, con tanto di cavalli, segugi e battitori al seguito.[2]
Fra i protagonisti della battuta di caccia nelle varie culture si possono citare Odino, re Artù (Britannia), Carlo Magno (Francia), Herla (Britannia), Nuada (Irlanda), Arawn (Galles), re Waldemar (Danimarca), l'exercito antiguo (Spagna), e Wotan con il suo wilde jagd ("caccia selvaggia") in Germania. Si possono raggruppare le varianti secondo quattro classi, a seconda che il corteo soprannaturale sia composto da: soli animali (la maggioranza dei casi); anime dannate; esseri mostruosi o dalle origini comunque ultraterrene; un corteo guidato da un capogruppo, in genere legato alle forze ctonie.
Essere testimoni della caccia selvaggia viene considerato presagio di catastrofi e sciagure; i mortali che si trovano sul cammino del corteo sono in genere destinati a essere uccisi (rapiti e portati nel regno dei morti).
È un'immagine mitica del folklore europeo. Originaria di Germania e Britannia, si è diffusa in molte altre regioni europee, dalla Scandinavia alla zona delle Alpi.
Nelle varie tradizioni popolari quest'immagine viene inserita in diversi racconti e leggende, ma la radice originaria della credenza della caccia selvaggia affonda nella mitologia nordica: il dio Wotan (cioè Odino), psicopompo, nelle notti del Sacro Periodo (cioè quello che comprende i dodici giorni successivi al solstizio d'inverno) a cavallo di Sleipnir dalle Otto Zampe, mostruoso cavallo grigio, guida il corteo delle anime dei soldati morti in battaglia, in una vorticosa ridda (raid, assalto) attorno alla Terra.
Nella schiera dei morti talvolta viene, più precisamente, descritta la schiera di coloro che hanno perso la vita anzitempo (come i bambini non battezzati o i soldati caduti in battaglia). Le tradizioni sull'esercito furioso sono state interpretate come una configurazione mitica e rituale in cui si esprimerebbe, attraverso il riferimento a Wotan, una remota e persistente vocazione guerriera dei maschi germanici. Se l'immagine della cavalcata notturna è estranea alla mitologia greco-romana, è invece presente in quella dei Celti, nella figura della dea Epona, sempre associata ai cavalli. Questa dea era una divinità mortuaria, spesso rappresentata con una cornucopia simbolo dell'abbondanza; a lei si sovrapporrà successivamente la dea romana Diana. Ad Epona poi si collegavano anche altre figure del mondo religioso celtico (come la dea notturna Queen Mab), tramontate con l'arrivo del Cristianesimo. Nel corso del Medioevo questo nucleo mitico alimentò anche una tradizione cortese. Si tratta dei romanzi del ciclo arturiano nei quali Re Artù appare come un vero re dei morti. La sua raffigurazione in groppa ad un caprone sul mosaico di Otranto (XII secolo), così come la sua comparsa, dopo un secolo, alla testa della "caccia selvaggia", testimonia la contiguità tra rielaborazioni letterarie e credenze folkloriche incentrate sul rapporto con l'aldilà. Il viaggio di eroi come Erec, Perceval, Lancillotto verso castelli misteriosi, che un ponte, un prato o una landa separano dal mondo degli uomini, è stato riconosciuto come un viaggio verso il mondo dei morti.[3]
In Italia, soprattutto nell'area alpina, la caccia selvaggia viene associata a lontane luci, scalpitio di zoccoli, abbaiare di cani, urla demoniache, e un forte sibilare del vento. Il protagonista della caccia in questa zona si chiama Beatrik, e viene associato alla figura di Teodorico il Grande. La leggenda col tempo è stata inquadrata in una cornice cristiana che ne ha modificato i suoi connotati soprattutto nell'esito finale, utilizzandola a fini di ammonimento; in questa variante, l'intervento di un religioso riesce ad allontanare il corteo infernale.[senza fonte]
Il nome con cui viene indicata la mitica caccia selvaggia cambia di nazione in nazione attraverso l'Europa, ma anche spostandosi da una singola regione all'altra. In Inghilterra si chiama Wild Hunt, in Scozia Sluagh, in Germania Wutende heer, in Francia Chasse Arthur, in Svizzera Struggele selvaggia. Considerando solamente l'Italia, viene definita in Lombardia Caccia Morta (o Caça Morta in lombardo) o Caccia del Diavolo, in Piemonte Corteo dla Berta o Càsa d'i canètt, nel bellunese Caza selvarega o Caza noturna, in Trentino Caça selvadega o Ciaza Mata in Val di Non, in Valsassina Caça Selvadega.
Una penetrazione del mito europeo nell'immaginario popolare nordamericano è ravvisabile nel celebre racconto La leggenda di Sleepy Hollow (conosciuto in Italia anche come "La leggenda della Valle addormentata" ) di Washington Irving, patrimonio letterario dell'etnia nordeuropea insediatasi nel New England e nell'odierno stato di New York. Il racconto introduce la figura del "cavaliere senza testa", un guerriero fantasma che è solito cavalcare nelle notti nebbiose nei pressi del cimitero e della chiesa olandese della Valle, alla disperata caccia di una nuova testa.
Una seconda traccia di questo tema archetipico nella cultura statunitense (in questo caso contemporanea) è presente nell'iconico brano country (Ghost) Riders in the Sky di Stan Jones (1948), poi riadattato in varie cover da artisti successivi quali Johnny Cash, Elvis Presley e The Blues Brothers. Il testo originale parla infatti di un cowboy che nel bel mezzo del deserto avvista una mandria di mucche dagli occhi rossi percorrere i cieli al galoppo, rincorsa da mandriani fantasma decisi a catturarle, ma destinati a fallire perpetuamente nello scopo, in un ciclo eterno che li vede condannati a solcare i cieli all'infinito. Al malcapitato cowboy viene dunque proposto di unirsi a loro e di cavalcare per raggiungere il gregge dannato (espressamente definito "mandria del diavolo") in cambio della salvezza della sua anima.
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