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sacerdote dell'antica Roma che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi Da Wikipedia, l'enciclopedia libera
L'àugure[1] (dal latino augur, all'accusativo augurem) era un sacerdote dell'antica Roma che aveva il compito di interpretare la volontà degli dèi osservando il volo degli uccelli, a partire dalla loro tipologia, dalla direzione del loro volo, dal fatto che volassero da soli o in gruppo e dal tipo di versi che emettevano.
Questa figura era già nota alla cultura etrusca, come dimostra la Tomba degli Àuguri a Tarquinia, e a quella greca.[senza fonte]
L'àugure aveva un bastone ricurvo a forma di punto interrogativo: il lituo. La loro carica era a vita ed erano molto venerati, al punto che per chi li offendeva era prevista la pena di morte[senza fonte].
Secondo la leggenda questo ordine sacerdotale sarebbe stato creato da Romolo, che avrebbe scelto i primi tre sacerdoti, nominandone uno per ogni tribù di Roma.[2]
Secondo il mito della fondazione di Roma agli Auguri fu affidato il compito di interpretare i segni derivanti dall'osservazione degli uccelli da parte di Romolo, che li osservava dal Palatino, e di Remo, che li osservava dall'Aventino.[3]
Il collegio degli Auguri, assieme ai restanti collegi sacerdotali, finì con l'essere abolito dall'imperatore Teodosio I alla fine del IV secolo.[4]
Nel periodo arcaico c'erano due tipi di auguri: gli auguria privata, sulla cui base si prendevano alcune decisioni all'interno della famiglia, e gli auguria publica[5] per l'ambito pubblico. Di quest'ultimo tipo esistevano più auguri, che costituivano un collegium.
Tito Livio racconta come fosse noto a tutti che fossero nominati auguri appartenenti alle tre antiche tribù dei Ramnes, Titienses, Luceres, in modo che ognuna ne avesse lo stesso numero delle altre, e che comunque questi fossero in numero dispari[6].
Dalla nascita della Repubblica (509 a.C.) e fino alla fine del IV secolo a.C. solo i patrizi poterono far parte di questo collegio, mentre dal 300 a.C., dopo un'aspra lotta politica che vide contrapposti i plebei, guidati da Publio Decio Mure, ai patrizi, guidati da Appio Claudio Cieco, vi ebbero accesso anche i plebei[7].
L'arte degli auguri era chiamata augùrio o auspìcio. Il compito degli auguri era quello di trarre auspicia dall'osservazione del volo, del comportamento e del verso degli uccelli per capire se gli dèi approvavano o no l'agire umano sia nell'ambito pubblico che in quello privato, sia in pace che in guerra (auspicia deriva da aves specere, cioè "osservare gli uccelli"). L'augure non doveva predire quale fosse la cosa migliore da fare, ma solo se un qualcosa su cui si era già deciso incontrasse o meno l'approvazione divina.[8]
Lo stesso Livio però, raccontando della devotio del giovane cavaliere Marco Curzio, riporta che furono proprio gli Auguri ad indicare il modo per colmare l'immensa voragine che si era aperta al Foro romano,[9] agendo almeno in quell'occasione come interpreti delle cose divine.
Agli Auguri era affidato anche il compito di celebrare l'Inauguratio, la cerimonia con la quale si invocava la protezione degli dei sul nuovo re.[10]
Un episodio curioso viene raccontato dallo storico romano Floro secondo il quale il re Tarquinio Prisco:
«[...] per avere prova [dall'augure Attio Nevio] se era possibile ciò che egli stesso aveva in mente. [L'augure] dopo aver esaminato la cosa in base ai presagi, rispose che lo era. «Eppure proprio ciò io avevo pensato se potevo tagliare quella roccia con il rasoio». L'augure Nevio replicò: «Tu lo puoi allora». E il re la tagliò. Da quel momento la funzione dell'augure divenne sacra per i Romani.»
I segni (signa) inviati dagli dei erano di varia natura e la scienza augurale, dapprima avente per oggetto l'osservazione degli uccelli, poi si dedicò anche all'interpretazione di altri signa. Essi erano:
C'era poi un quinto tipo di presagi, quello che si traeva ex diris, cioè da avvenimenti crudeli o funesti.[12]
Tito Livio riferisce che era ben noto a tutti che a Roma nessuna decisione in guerra e in pace veniva presa senza avere prima consultato gli àuguri.[13]
L'importanza di questa carica religiosa si dimostra anche con la circostanza che agli Auguri fu concesso di indossare la trabea, la toga (o mantello) con più strisce di porpora, che precedentemente poteva essere indossata solo dai re.[14]
Gli atti degli Auguri (gli auspici), come anche quelli dei Pontefici e dei Feziali, assumevano caratteri di tipo religioso e giudiziario, come anche osservato da Cicerone:
«Maximum autem et praestantissimum in re publica ius est augurum cum auctoritate coniunctum»
«Grandissimi ed importantissimi sono infatti nello Stato i diritti e l'autorità degli àuguri.»
Il potere di annullare una decisione già presa, o anche solo di rimandare il giorno in cui prenderla, il potere di interrompere una assemblea, come l'auspicio nefasto rispetto l'assunzione di una magistratura che poteva comportare che l'eletto dovesse rinunciare alla carica pubblica, fa assumere agli auspici tratti dagli Auguri caratteristiche di tipo giudiziario.[15]
Gli auspicia (auspicium al singolare) erano divinazioni tratte dall'osservazione di fenomeni considerati divini. Nati come divinazioni tratte dall'augure dall'osservazione del volo degli uccelli, nel tempo sono state tratte da altri tipi di osservazioni. In giorni più recenti esistono ancora leggende a riguardo, come il caso dei "giorni della merla" oppure dei "corvi della Torre di Londra", sono un retaggio o eredità delle tradizioni passate.
Alcuni auspicia antichi e noti sono i seguenti.
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