Lettera a Tito
diciassettesimo libro del Nuovo Testamento / Da Wikipedia, l'enciclopedia encyclopedia
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La lettera a Tito è uno dei testi del Nuovo Testamento, attribuita a Paolo di Tarso e rivolta al suo discepolo Tito.
Lettera a Tito | |
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Vignetta ottocentesca per la Lettera a Tito | |
Datazione | seconda metà del I secolo-prima metà del II secolo |
Attribuzione | Paolo di Tarso (tradizionale) pseudoepigrafa (accademica) |
Destinatari | Tito |
Oggi la maggioranza degli studiosi ritiene comunque che questa lettera non sia opera diretta di Paolo, ma sia piuttosto riconducibile a una tradizione a lui successiva[Nota 1].
Tito era un greco, compagno e collaboratore di Paolo (Galati 2,1-3[1], Seconda lettera ai Corinzi 8,23[2]); forse fu battezzato dallo stesso Paolo, che perciò lo chiama figliolo verace secondo la fede comune (1,4). Dovette ben presto segnalarsi tra i cristiani più zelanti e aperti, se l'Apostolo lo portò, insieme a Barnaba, al Concilio di Gerusalemme (49÷50 d.C.), dove prevalse la linea di libertà dalla legge mosaica sostenuta da Paolo.
Tito appare nella lettera come il responsabile della comunità cristiana di Creta. Non sappiamo con precisione quando Paolo abbia evangelizzato l'isola di Creta. In At 27,8-9 si parla di una sosta dell'apostolo a Creta per un tempo notevole, nell'occasione del suo viaggio a Roma dopo l'appello a Cesare; potrebbe darsi che già allora egli abbia predicato il Vangelo. Certamente, però, S. Paolo è stato a Creta anche un'altra volta, e precisamente quando vi lasciò Tito affinché completasse l'opera avviata: questo dovrebbe essere avvenuto dopo la liberazione dalla prima prigionia romana (64 d.C.).
Stando al versetto 3,12, potrebbe esser stata scritta a Nicopoli d'Epiro; quasi sicuramente, in ogni caso, dalla Macedonia. A seconda dell'ipotesi adottata - opera diretta di Paolo o pseudoepigrafia - cambia sensibilmente la datazione della composizione.
L'oggetto dell'epistola sono la sana dottrina e le buone opere che ne conseguono.