A vent'anni di distanza dall'inizio del viaggio di Marco Polo (1271) due Genovesi, i fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi, nel maggio 1291 lasciavano con due navi il porto di Genova dirigendosi allo stretto di Gibilterra, onde proseguire verso occidente «per mare Oceanum ad partes Indiae». Due date, due avvenimenti che sono forse il simbolo più alto e più sfolgorante della gloria accesa su due nomi: Venezia, Genova. Nessuna età (salvo l'ancora discusso tentativo di Eudosso di circumnavigazione dell'Africa nel sec. II a. C.) aveva conosciuto ardimenti paragonabili a questi: da un lato la terraferma percorsa nel senso della sua massima larghezza da occidente all'oriente estremo; dall'altro il tentativo, in direzione opposta, di aprire una via inesplorata attraverso l'Oceano pauroso e immenso.
Resta assodato che l'origine della tradizione della prigionia dei Vivaldi in Etiopia non è genovese, e neppure italiana, ma appare qui[1] derivata dall'Abissinia stessa. Mercanti abissini al Cairo avranno detto, non sappiamo in che epoca, che nel loro paese si trovassero dei prigionieri europei; ed è probabilissimo che questi fossero genovesi perché, fra tutti erano i Genovesi quelli ch'eran soliti spingersi così lontano a S. dell'Egitto. Il pensiero sarà corso ai fratelli Vivaldi, e la leggenda trovò poi, per conservarsi, il terreno preparato dalle condizioni della cartografia verso la metà del sec. XV, allorché il Senegal poteva apparire una via d'accesso all'Abissinia dall'Atlantico.
L'immenso verso dantesco che chiude la grande avventura del viaggio di Ulisse:
«Infin che 'l mar fu sopra noi richiuso»
rimarrà il più degno suggello dell'audacia gloriosa dei due Liguri, che avevano tentato per mare un'impresa ch'era forse, nella realtà e nell'immaginazione, al di sopra di quello ch'era stato osato sino allora dall'ardimento umano.
↑ Nel codice dal titolo Itinerarium Ususmaris, della seconda metà del secolo XV.