Scendiamo assieme per le viuzze della Kasbah, tortuose e scoscese, piene di mistero con le finestrelle a grata, le donne velate, i profondi antri delle botteghe, gli arabi accovacciati che vendono monili d'argento. Cose e persone sono così assolutamente pittoresche, che sembrano messe lì apposta per una ripresa cinematografica. E poi, passata la porta di Francia, la città europea. O Avenue Jules Ferry, coi doppi filari d'alberi fino al mare, e i negozi ai lati, e sui marciapiedi le ragazze dalle camicette gonfie di primavera. Questa è vita. Io odio la guerra, odio il reparto che passa battendo gli scarponi sull'asfalto e il carro armato che riempie la strada di fragore.
Tunisi, 6 aprile 1943. Con Maria abbiamo passato tutto il pomeriggio alla Kasbah, divertendoci a gironzolare in mezzo alla folla, da una bottega all'altra. Mi piaceva sentirla parlare correttamente l'arabo coi mercanti. Per scherzo s'era messa a contattare un bel tappeto di Kairouan e io gliel'avrei comprato, anche se costava caro. Volle invece una collanina da pochi franchi, d'argento filigranato.
Tunisi, 9 aprile 1943. Sono ricoverato all'ospedale militare di Tunisi, dopo esservi entrato con regolare biglietto fornitomi dal comando del centro reclutamento. [...] L'edificio dell'ospedale, molto bello e moderno, è un'opera del regime: l'ha fatto costruire pochi anni fa il Duce per gli italiani di Tunisia, i quali ne sono orgogliosissimi. Certamente i francesi non hanno un ospedale così bello.