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scrittore, saggista, poeta, sceneggiatore, regista, attore e produttore cinematografico statunitense (1947-2024) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Paul Auster (1947 – 2024), scrittore statunitense.
Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all'apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui. Molto tempo dopo, quando fu in grado di pensare a ciò che gli era accaduto, avrebbe concluso che nulla era reale tranne il caso. Ma questo fu molto tempo dopo. All'inizio, non c'erano che il fatto e le sue conseguenze. La questione non è se si sarebbero potuti sviluppare altrimenti o se invece tutto fosse già stabilito a partire dalla prima parola detta dallo sconosciuto. La questione è la storia in sé: che abbia significato o meno, non spetta alla storia spiegarlo.
In principio c'è Blue. Piú tardi c'è White, e dopo ancora Black, e prima del principio c'è Brown. È Brown che l'ha svezzato, Brown che gli ha insegnato il mestiere, e quando Brown è invecchiato Blue ne ha preso il posto. È cosí che comincia: il luogo è New York, il tempo è il presente, e né l'uno né l'altro cambieranno mai. Ogni giorno Blue va in ufficio e siede alla scrivania aspettando che accada qualcosa. Non capita niente per un pezzo, finché un uomo di nome White varca la soglia, ed è cosí che comincia.
Adesso mi sembra che Fanshawe ci sia sempre stato. È lui il luogo dove per me tutto comincia, senza di lui non credo che saprei chi sono. Quando ci siamo incontrati non sapevamo ancora parlare, eravamo lattanti che arrancavano carponi fra l'erba, e a sette anni ci eravamo già punti le dita con uno spillo proclamandoci fratelli di sangue per la vita. Ogni volta che ripenso alla mia infanzia, vedo Fanshawe. Era lui che mi stava vicino, la persona con cui condividevo i miei pensieri e che vedevo appena alzavo gli occhi da me stesso.
Nel 1972, una carissima amica venne a trovarsi nei guai con la giustizia. Quell'anno si era stabilita in Irlanda e viveva in un paesino poco lontano dalla città di Sligo. Per caso ero andato a trovarla proprio il giorno in cui un poliziotto in borghese entrò con la macchina nel cottage e le si fece incontro con un mandato di comparizione. Le accuse erano abbastanza serie da pretendere un avvocato.
Secondo la leggenda di famiglia, il nonno di Ferguson partì a piedi da Minsk, sua città natale, con cento rubli cuciti nella fodera della giacca, viaggiò a ovest fino ad Amburgo passando per Varsavia e Berlino, comprò il biglietto per una nave chiamata Empress of China che attraversò l'Atlantico in mezzo a violente tempeste invernali ed entrò nel porto di New York il primo giorno del ventesimo secolo.[7]
La prima volta che gli strinsi la mano fu nella primavera del 1967. Ai tempi frequentavo il secondo anno di università alla Columbia: ero un ragazzo ignorante e affamato di libri che coltivava la fede (o l'illusione) di diventare un giorno così bravo da potersi definire un poeta; e da lettore di poesia, avevo già incontrato il suo omonimo nell'Inferno di Dante, un dannato che si trascina nei versi finali del canto XXVIII della prima Cantica. Bertran de Born, il poeta provenzale del XII secolo, tiene per i capelli la propria testa recisa che ondeggia avanti e indietro come una lucerna: senz'altro una delle immagini più grottesche nel catalogo di allucinazioni e supplizi che si sussegue per tutto l'Inferno. Benché fosse convinto estimatore della poesia di de Born, Dante lo condannò alla dannazione eterna per aver consigliato il principe Enrico di ribellarsi a suo padre, Re Enrico II; e dato che de Born aveva provocato una divisione fra padre e figlio rendendoli nemici, l'ingegnosa pena dantesca è dividere de Born da se stesso. Da qui il corpo decapitato che si lamenta nel mondo sotterraneo, chiedendo al viaggiatore fiorentino se può esistere dolore più tremendo del suo.
Un giorno c'è la vita. Per esempio, un uomo sano, neanche vecchio, senza trascorsi di malattie. Tutto è com'era prima e come sarà sempre. Passa da un giorno all'altro pensando ai fatti suoi, sognando solo il tempo che ancora gli si prepara. Poi, d'improvviso, capita la morte. Un uomo esala un leggero sospiro, si abbandona sulla sedia, ed è la morte. La sua subitaneità non lascia spazio al pensiero, non dà occasione allo spirito di cercare una parola che possa consolarlo. Restiamo soli con la morte, col dato inoppugnabile della nostra mortalità. La morte dopo lunga malattia possiamo accettarla con rassegnazione. Anche che la morte accidentale si può attribuire al destino. Ma che un uomo muoia senza causa apparente, che muoia solamente perché è uomo, ci spinge così vicino all'invisibile confine tra la vita e la morte da farci domandare su che lato di esso ci troviamo. La vita si fa morte, ed è come se quella morte avesse posseduto questa vita da sempre. Morire senza preavviso. Come dire: la vita si interrompe. E può interrompersi in qualunque momento.
Per un anno intero non fece altro che guidare, viaggiando avanti e indietro per l'America nell'attesa che i soldi finissero. Non aveva pensato che sarebbe continuato così a lungo, ma una cosa ne portò con sé un'altra, e al momento in cui Nashe si rese conto di ciò che gli stava accadendo, non aveva più la possibilità di desiderare che finisse. Il terzo giorno del tredicesimo mese incontrò il ragazzo che si faceva chiamare Jackpot. Fu uno di quegli incontri casuali, imprevisti, che sembrano nascere dall'aria sottile – un ramoscello spezzato dal vento che improvvisamente atterra ai tuoi piedi. Fosse capitato in qualunque altro momento, Nashe probabilmente non avrebbe aperto bocca. Ma poiché si era già arreso, poiché credeva che non ci fosse più niente da perdere, considerò l'estraneo come una sorta di sospensione della pena, come un'ultima possibilità di fare qualcosa per sé prima che fosse troppo tardi. E proprio per questo non ebbe esitazioni. Senza il minimo tremito di paura, Nashe chiuse gli occhi e saltò.
Sei giorni fa un uomo è saltato per aria per sbaglio sul ciglio di una strada del Wisconsin del nord. Non ci sono testimoni, ma pare che fosse seduto sull'erba accanto alla sua macchina intento a costruire una bomba, quando questa gli è esplosa tra le mani.[7]
Avevo dodici anni la prima volta che camminai sulle acque.[7]
Da quasi un anno fotografa le cose abbandonate. Ogni giorno ci sono almeno due lavori, a volte anche sei o sette, e ogni volta che lui e i suoi colleghi entrano in una casa si trovano di fronte le cose, le innumerevoli cose smesse e lasciate indietro dalle famiglie che sono andate via. Tutti gli assenti sono fuggiti di fretta, nella vergogna, nella confusione, e non c'è dubbio che, ovunque vivano ora (se hanno trovato un posto dove vivere e non sono accampati per strada) le loro nuove abitazioni sono più piccole di quelle che hanno lasciato. Ogni casa è una storia di fallimento – di bancarotta e di morosità, di debiti e di pignoramenti – e lui si è assunto il compito di documentare le ultime tracce residue di quelle vite sperse per dimostrare che un tempo le famiglie svanite sono state lì, che i fantasmi di persone che lui non vedrà e non conoscerà mai sono ancora presenti nel disordine delle cose seminate nelle case vuote.
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