Ma sta sulle ginocchia dei Numi l'evento futuro.[a Ulisse]
Se in man nostra tutto | fosse, il ritorno a procurar del padre | non si rivolgerebbe ogni mia cura?
Torna ora nelle tue stanze, bada alle tue cose, al fuso e al telaio, e ordina alle ancelle di pensare al lavoro. Agli uomini sono riservati i discorsi, a tutti, ma a me soprattutto che in questa casa regno e comando. [a Penelope]
Tra voi, principi insolenti, io non posso mangiare tranquillo ed essere sereno. Non vi basta, Proci, aver già divorato tante e preziose ricchezze mie, quando ero ancora ragazzo? Ora poiché sono adulto e comprendo quanto dicono gli altri, poiché il coraggio cresce nel mio cuore, cercherò di scagliare su di voi un destino amaro, sia che vada a Pilo sia che qui rimanga. [ai proci]
Io credo nell'evaporazione dei padri teorizzata da Massimo Recalcati: Telemaco attende il ritorno di Ulisse affinché ristabilisca ordine a Itaca, invasa dai Proci. Siamo dentro questa transizione, in cui figli senza orizzonte cercano la strada per diventare giusti eredi. (Fortunato Cerlino)
Per di più è chiaro in tutto il libro III e in tutto il libro IV, nei quali Telemaco tenta di avere notizie di suo padre, che quello che egli realmente vuole è la certezza della sua morte, non della sua esistenza, sebbene questo possa spiegarsi nel senso che egli dispera della seconda alternativa. L'indignazione di Telemaco per la prodigalità dei proci è notevolmente divisa dalla scrittrice in tutto il poema; su questo è furiosa forse per causa dello spreco continuo che vedeva in casa di suo padre. (Samuel Butler)
Quando gli Atridi Agamennone e Menelao stavano radunando i principi che si erano impegnati ad allearsi per attaccare Troia, giunsero all'isola di Itaca da Ulisse, figlio di Laerte, al quale era stato predetto che, se fosse andato a Troia, sarebbe ritornato a casa dopo vent'anni solo e povero, dopo aver perduto tutti i suoi compagni. Perciò, quando venne a sapere che stavano arrivando gli ambasciatori, si pose in capo un pileo, fingendo di essere pazzo, e aggiogò all'aratro un cavallo e un bue insieme. Palamede, non appena lo vide, capì che fingeva; prese allora il figlio di Ulisse, Telemaco, dalla culla e lo pose davanti all'aratro, dicendo: «Lascia questa commedia e unisciti agli alleati!». E così Ulisse promise che sarebbe venuto, ma da quel momento fu ostile a Palamede. (Fabulae)
Telemaco rifiutò i cavalli, che gli offriva Menelao, perché in Itaca pietrosa non aveva pascoli per nutrirli. Io non accetto il Cane, che volete donarmi, non perché mi manchino pochi tozzi di pane, ma perché in casa mia non ha cosa da guardare. Una sola Povertà, che vale per cento mastini, la difende da cento ladri. (Giuseppe Battista)
Come la figlia del mattin, la bella | dalle dita di rose Aurora surse, | surse di letto anche il figliuol d'Ulisse, | i suoi panni vestì, sospese il brando | per lo pendaglio all'omero, i leggiadri | calzari strinse sotto i molli piedi | e della stanza uscì rapidamente, | simile ad un degli Immortali in volto.
E tu, caro, giacché ti vedo assai grande e bello, | sii valoroso: così anche tra i posteri ci sarà chi ti lodi. (Atena)
Per Telemaco intanto preparava un bagno Policasta la bella, figlia minore di Nestore figlio di Peleo. E quando lo ebbe lavato e unto di olio abbondante, gli fece indossare una tunica, gli avvolse intorno un mantello bellissimo; dal bagno egli uscì bello come un dio immortale e andò a sedersi accanto a Nestore, signore di popoli.