[Su Piero Guccione] Da alcuni anni ormai sono un'ammiratrice dell'itinerario bello, complesso di Piero Guccione. Un'arte di vasta e raffinata ambizione, ricca di un'intensità di visione personale propria della tradizione modernista. Ciò che ne fa un artista totalmente modernista è che la sua opera non propone un rapporto trasgressivo con la pittura stessa. E ciò che non rende il suo lavoro tipicamente contemporaneo è l'essenza di una distanza ironica dal modo in cui la pittura incarna il pensare o suscita il sentire. Guccione non si volge al passato come a qualcosa da annullare o meglio (come si dice oggi) di cui appropriarsi. Né intende, con l'arte, sferrare ancora un attacco alle capacità di empatia dello spettatore. [...] I quadri di Guccione belli, solenni, appassionati hanno un vigore contemplativo che rende difficile considerarli semplicemente rilevanti. Quando saranno concluse tutte le rassegne, costruite le scuole, ratificate le clamorose transazioni di influenza, queste opere continueranno a parlare nel loro registro necessario d interiorità, di singolarità di amore per la pittura stessa.[3]
Dove voglio indirizzare la mia vitalità? Verso i libri o il sesso, verso l'ambizione o l'amore, verso l'ansia o la sensualità? Non posso avere tutto.[4]
La noia non è che il contrario della fascinazione: entrambe dipendono dall'essere al di fuori piuttosto che dentro una situazione, e l'una conduce all'altra.[5]
Leggere e ascoltare musica: trionfi del mio uscire da me stessa.[8]
Lo ripeto: non solo il fascismo (e una militarizzazione del potere) è il destino più probabile di tutte le società comuniste – specialmente quando le loro popolazioni sono indotte a ribellarsi – ma il comunismo in se stesso è una variante, la più efficace, del fascismo. Un facismo dal volto umano.[9]
Nessuno che ami la vita vorrebbe imitare la sua dedizione al martirio [...]. Tuttavia, Simone Weil ci commuove.[10]
Strano che non avessi mai pensato di andare in una biblioteca. Dovevo acquistarli, vederli in fila lungo una parete della mia minuscola camera da letto. Le mie divinità familiari. Le mie navicelle spaziali.[11]
Un giudizio, disse Nicky, è un grido di impotenza. Quando non si può far niente per cambiare una situazione, cosa resta se non giudicarla?[12]
[Sono] una combattente nuova di zecca in una battaglia molto antica.[13]
Vado in Cina. Attraverserò il ponte Luhu sul fiume Sham Chun che divide Hong Kong dalla Cina. Dopo essere stata in Cina per un po', attraverserò il ponte Luhu sul fiume Sham Chum che divide la Cina da Hong Kong.[14]
Fa male allora amare. È come accettare di farsi scorticare sapendo che in qualunque momento l'altra persona può andarsene via con la tua pelle.
La paura di invecchiare viene nel momento in cui si riconosce di non vivere la vita che si desidera. Equivale alla sensazione di abusare del presente.
Solo adesso mi sto rendendo conto di quanto mi sento in colpa d'essere omosessuale. Con H. ero convinta che la cosa non mi turbasse, ma mentivo a me stessa. Ho fatto in modo che gli altri (per esempio Annette) credessero che il mio vizio fosse H., e che se non fosse per lei non sarei omosessuale, o almeno non prevalentemente.
Il tema del silenzio può essere attuale o inattuale. Mai di moda. Ed oggi, nonostante ciò che di primo acchito si può pensare da parte di molti, è indubbiamente attuale. Forse più di quanto lo sia mai stato. «Man mano che diminuisce il presidio del linguaggio – ha notato Susan Sontag – aumenta quello del silenzio». E i nostri sono tempi in cui il linguaggio è visto come qualcosa di corrotto. (Massimo Baldini (filosofo))
↑ Da Davanti al dolore degli altri, Internazionale, n. 490, 30 maggio 2003, p. 30.
↑ Da un articolo per la rivista The New York Review of Books, 1963; citato in Simona Forti, Il femminile senza idolatrie, la Repubblica, 3 febbraio 2009.