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scrittore statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Scott Turow (1949 – vivente), scrittore e avvocato statunitense.
Il cliente, come la maggior parte dei clienti, diceva di essere innocente. Mancavano trentatré giorni alla sua esecuzione.
Arthur Raven, il suo avvocato, era ben deciso a non preoccuparsi. Dopotutto, rifletté, non era stata una sua decisione. Era stato scelto dalla Corte d'appello federale perché accertasse che, dopo dieci anni di controversie, non restasse alcun valido argomento legale per salvare la vita di Rommy Gandolph. Preoccuparsi non faceva parte del suo incarico.
Nonostante ciò, lui si preoccupava.
"Scusa?" chiese Pamela Towns, la giovane collega seduta in macchina accanto a lui. Ad Arthur era sfuggito un borbottio di angoscia quando si era trovato, ancora una volta, faccia a faccia con se stesso.
Sapeva che era un imbroglio e che l'avrebbero pizzicato. Sapeva che sarebbe successo un giorno o l'altro.
Erano stati stupidi, anzi, ammise, spudoratamente avidi. Avrebbero dovuto fermarsi prima. Invece, ogni volta che affiorava il pensiero di smettere, si sorprendeva a congegnarne qualcuna di peggio. Ora sapeva di essere nei guai.
Il solito motivetto. In più di venti e rotti anni, le persone che si erano sedute in quella poltrona di pelle davanti alla mia scrivania avevano selezionato nel loro juke-box sempre gli stessi inesorabili pezzi. "Non sono stato io. È stato quell'altro. Perché se la prendono con me." Il ritornello che mi si offriva quel giorno, "Sono pentito", era il più gettonato. In compenso da me si aspettavano di sentire immancabilmente la medesima tiritera: "Forse posso tirartene fuori". E io la ripetevo, pur sapendo che non di rado dovevo rimangiarmela. Ma è un brutto affare essere l'unica via di uscita di qualcuno.
Erano stati sposati per trentun anni; e la primavera successiva, pieno di determinatezza e di una certa speranza, si sarebbe risposato.[1]
Alba. L'aria è salmastra, malgrado questo posto sia lontano chilometri dall'acqua. Le quattro torri rastremate dominano un desolato paesaggio di mattoni, di catrame e di selciato rotto dalle erbacce, di bicchieri di plastica schiacciati e carte di caramelle, di pagine di giornale che svolazzano. Una distesa argentea di vetro rotto, formata dai resti di bottiglie frantumate, scintilla dolcemente... una falsa promessa in più. È un'ora d'insolito silenzio. Durante la notte si odono spesso i suoni di una vita estrema: urla di ubriachi, motori al massimo. A volte, spari. Il giorno porta voci, bambini, vagabondi, la specie in libertà. Ora il vento soffia, fischiando fra le maglie della rete di recinzione e sui mattoni. A un accenno di movimento, l'uomo che avanza da questa parte alza bruscamente gli occhi, ma in un passaggio fra gli edifici vede solo un cane accucciato che per qualche istinto animale, pur da una distanza di un centinaio di metri, ha deciso di non incrociarsi con lui. Un unico pneumatico usato sta ritto, inesplicabilmente, sul fondo crepato della zona giochi.
«Dovrebbe dispiacermi di più» dice Raymond Horgan.
In un primo momento mi domando se allude all'elogio funebre che dovrà tenere. Ha appena ricontrollato gli appunti e sta riponendo due schede nel taschino del vestito si saia blu. Ma quando osservo la sua espressione mi accorgo che è un'osservazione personale. Dal sedile posteriore della Buick ufficiale, guarda dal finestrino il traffico che diventa più congestionato via via che ci avviciniamo al South End. Ha assunto un'aria pensierosa.
«Voglia quindi la corte annullare la sentenza» tuona Jordan Sapperstein dal podio. «Signori giudici, non avete scelta.»
Seduto dietro il banco di noce sopraelevato distante circa quattro metri, il giudice George Mason trattiene a fatica una smorfia davanti agli eccessi di Sapperstein. Raramente è restio a far capire agli avvocati quando le loro tesi non sono convincenti, ma fare smorfie, come gli diceva suo padre tanto tempo fa, quando era bambino in Virginia, è pura maleducazione.
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