Ho avuto così occasione di assistere, e modestamente partecipare, ad un memorabile saccheggio. Il magazzino di Miani è costituito da una ventina di capannoni, e da altri grossi depositi di viveri a terra, cintati da un alto e lunghissimo muro. Quando vi arrivai io, il saccheggio era ormai giunto ad uno stadio avanzatissimo: parecchi capannoni già bruciavano. Tra una grande confusione di urla, crolli e spari, una folla di militari, borghesi nazionali ed arabi correva da una parte all'altra, affannandosi ad arraffare ciò che faceva loro più comodo, e caricavano autocarri, carretti, cammelli, asini, oppure se ne andavano portandosi sulle spalle sacchi di farina o di zucchero, che si vuotavano mezzi per la strada, lasciando sul terreno interminabili scie bianche.
Poi ci recammo nel reparto viveri. I miei militi, allenati ai trafugamenti di scarsa importanza, qui si sentivano smarriti, schiacciati dall'enormità del saccheggio. Anche noi ci mettemmo a correre da un deposito all'altro, in cerca di roba pregiata. Del tabacco e del caffè non esisteva più nemmeno il ricordo. E così pure erano spariti, il vino, l'anice e il cognac.
Si diceva che fossero stati gli arabi a dare l'assalto al magazzino, sostenendo una vera battaglia contro i soldati di guardia, insufficienti a difendere il lungo perimetro delle mura. Ma forse era stato il nostro stesso comando-piazza ad abbandonare quell'enorme quantità di materiali: dato che non è possibile trasportarli altrove, è meglio che siano depredati, piuttosto che finiscano in mano al nemico.