Rosita Copioli (1948 – vivente), poetessa e scrittrice italiana.
- Ragazzo, | con il cuore che sgorga lacrime | come il cuore del dolore, | e il tuo pianto è una cascata di cristallo senza fine, | ascolta le mie parole di artigiano, | che lavora con la pelle e con il tempo. | Il canto, che è come il tuo pianto, | va puntato, stretto, fissato, | fermamente battuto ai suoi punti celesti: | gli corrisponde un firmamento. | L'arte è inchiodare il firmamento: | non ti è già dato, dev'essere trovato: | sei tu che lo dovrai | rendere reale. (Il firmamento[1])
Raffaella Fazio, lapoesiaelospirito.it, 4 marzo 2022.
- Quando ero ragazza cominciò la dissacrazione di tutta la letteratura che era stata voce di bellezza. In nome delle ideologie, si negava la libertà e la forza della poesia. Venivano bandite parole come "natura", "anima", "mito". Archetipi e simboli ridotti a un ridotto valore di segni, all'interno di una demitizzazione generale. Ribellarsi contro simili diktat era in me istintivo. Una negazione della tradizione classica, basata fondamentalmente sull'idea della natura, con tutto quel che ciò significava, mi era inconcepibile. Certo, avevo moltissimo desiderio di nuovo, ma non nella linea della distruzione. I miei autori erano i romantici inglesi e tedeschi, in una linea che saliva dai presocratici, Omero, Lucrezio, Virgilio, e poi Dante e Petrarca, Boiardo-Ariosto, Tasso, fino a Leopardi e ai romantici.
- La libertà e la forza della parola – la parola emozionale e nominante delle origini, quella dove si configurano i miti, quella che si offre come strumento del Dio-persona, quella che continua a tessere l'anima delle cose insieme con la nostra – non erano mai morte nella poesia, che le garantisce perché dentro di noi corrisponde alla stessa capacità di rigenerazione della natura. Fu dunque una necessità e un atto simbolico ripartire dal prediletto Leopardi, che mentre accettava la distruzione delle illusioni operata dall'assottigliarsi degli "errori" del pensiero, ugualmente levava questa voce indomita di rigenerazione alle soglie del mondo moderno, in ideale fraternità con i suoi grandi contemporanei: con Goethe, Novalis, Hölderlin, Keats, Shelley.
- Aborrivo la volontà nichilistica che traspariva dalle tendenze dominanti del Novecento, perché seguitavano l’istinto di morte o la razionalizzazione materialistica del mondo moderno. La sensazione di asfissia che provavo nell'accerchiamento ideologico di ogni settore della vita di quegli anni era insopportabile. Non tolleravo che la poesia, la letteratura, l'arte venissero considerate subalterne, quando la loro essenza risiede nello spirito della libertà, e nella forza del rinnovamento della vita. In modo davvero singolare il linguaggio delle neoavanguardie si integrava perfettamente con il processo politico, sociale, tecnologico, che la società neocapitalistica e borghese di quegli anni assorbiva dal modello americano, per sostituirsi a quello ancora contadino cui apparteneva l'Italia alla fine della seconda guerra mondiale.