[Ad Azzecca-garbugli] Oh! signor dottore, come l'ha intesa? l'è proprio tutta al rovescio.
[A Lucia] Parlo da buon cristiano; e della Madonna penso meglio io che non voi; perché credo che non vuol promesse in danno del prossimo. Se la Madonna avesse parlato, oh, allora! Ma che cos'è stato? una vostra idea. Sapete cosa dovete promettere alla Madonna? Promettetele che la prima figlia che avremo, le metteremo nome Maria: ché questo son qui anch'io a prometterlo: queste son cose che fanno ben più onore alla Madonna: queste son divozioni che hanno più costrutto, e non portan danno a nessuno.
[A don Abbondio] Posso aver fallato; e mi scusi, – rispose Renzo, aprendo e disponendosi a uscire.
Felicità. Cos'è la felicità, per Renzo Tramaglino? Si tenti l'avventura di entrare nel suo romanzo. Non in quello che uno scrittore di nome Alessandro Manzoni dice di trascrivere e riscrivere. Ma in quello autobiografico che, all'interno del romanzo manzoniano, Renzo ama raccontare a se stesso. E agli altri, incontenibile. E, fra essi, all'anonimo romanzatore: suo improvvisato e incontrollabile segretario, nell'occasione. La propensione narrativa di Renzo imbocca dapprima, «nella sua fantasia», la strada di un romanzo precocemente operaio; ma poi l'abbandona, per assecondare un più disponibile e idillico romanzo familiare [...].
Fra Cristoforo crede di aiutare i giovani promessi, costretti alla fuga dal borgo, con due lettere di presentazione. Li spedisce in due conventi, a Monza e a Milano. E finisce per consegnarli, sprovveduti, a due sconvolgenti romanzi: Lucia inciampa nelle trame di sangue della Monaca e dell'innominato; e nell'allegra follia di una «coppia d'alto affare» (don Ferrante e donna Prassede); Renzo si dissipa, tra strade e osterie, nel «grosse Welt della storia»: da Milano a Bergamo, andata-ritorno-andata, via carestia e peste [...].
Ma se Renzo ha imparato e continua a imparare, nulla ha imparato e nulla può imparare Lucia; per lei la verità sapienziale non è una conquista, è una dote da trasmettere. Ma se Renzo era andato di parole, temperamentoso e affettatuzzo: troppo alla propria esperienza attribuendo. In una vana persuasione d'orgoglio, aveva creduto che il suo decalogo di quietitudine poggiasse sul granito; e fosse un «monumento» di conclusiva saggezza. Fu l'ultima sua mattería; quasi una fanfaronata, spiantata e scavezzata dall'umile rigore di Lucia. Ché ogni appoggio è dirupante nel ritmo vicissitudinale della storia: della storia vera e di quella supposta, che si svolge e nuovamente s'involge; e insolentisce, inconcludibile.