I morti camminano tra noi. Zombi, morti viventi, comunque li si voglia chiamare questi sonnambuli sono la minaccia più terribile per l’umanità, dopo l’umanità stessa. Sarebbe impreciso chiamare loro predatori e noi prede. Altro non sono che una peste, e la razza umana ne è l’ospite. Le vittime più fortunate vengono divorate, le ossa completamente spolpate, la carne consumata. Quelle meno fortunate passano dalla parte degli aggressori, trasformate in putridi mostri carnivori. Contro queste creature le strategie di guerra e il pensiero tradizionali non servono a nulla. La scienza del porre fine alla vita, sviluppata e perfezionata sin dai primordi della nostra esistenza, non può proteggerci da un nemico che non ha alcuna «vita» cui porre fine. Significa dunque che i morti viventi sono invincibili? No. È possibile fermare queste creature? Sí. Il migliore alleato dei nonmorti è l’ignoranza, il loro più atroce nemico la conoscenza. Ecco perché è stato scritto questo libro: per rendere disponibili le conoscenze necessarie a sopravvivere contro queste bestie disumane. (p. 6)
Citazioni
Troppo spesso ai non-morti si attribuiscono poteri sovrumani: forza fuori dal comune, velocità della luce, telepatia, ecc. Si è parlato di zombi che volano o che si arrampicano come ragni su superfici verticali. Benché simili caratteristiche siano un ottimo ingrediente per storie sensazionali, il singolo zombi è in realtà ben lontano dall’essere un demone magico e onnipotente. Non bisogna dimenticare che il corpo del non-morto è, sotto tutti gli aspetti pratici, umano. I cambiamenti che avvengono riguardano il modo in cui questo nuovo corpo rianimato viene utilizzato dal cervello ora infetto. Non c'è zombi che possa volare a meno che non lo potesse già fare da essere umano. Lo stesso vale per la capacità di creare campi di forza, teletrasportarsi, muoversi attraverso i solidi, trasformarsi in lupo, sputare fuoco, o tutta una serie di altre misteriose abilità attribuite ai morti viventi. Immaginiamo il corpo umano come una borsa degli attrezzi. Il cervello non-morto ha a disposizione quegli attrezzi e soltanto quelli. Non ne può creare di nuovi dal nulla, ma può, come vedremo, utilizzarli in modi inusuali e spingerli oltre i normali limiti di resistenza umani. (p. 12)
L'incapacità di riconoscere ed evitare il dolore è ciò che rende i morti ambulanti tanto formidabili. Le ferite non vengono neppure notate e, quindi, non possono fermare un attacco. Anche con il corpo gravemente danneggiato, uno zombi continuerà ad attaccare finché di lui non rimarrà più nulla. (p. 14)
Sarebbe impreciso affermare che gli zombi non hanno cuore. Non è invece impreciso affermare che in pratica non se ne fanno niente. Il sistema circolatorio dei non-morti non è che una rete di inutili tubicini pieni di sangue congelato. (p. 16)
Gli umani che credono di aver seminato i propri inseguitori non-morti farebbero bene a ricordare la storia della lepre e della tartaruga, con la differenza che in questo caso la lepre ha buone possibilità di essere divorata viva. (p. 17)
Scegliere le armi giuste (mai portarne con sé una sola) può fare la differenza tra uccidere un mucchio di zombi e diventare uno di loro. Nell'affrontare i non-morti è facile credere nella strategia super-commando: dotarsi delle armi più potenti e pesanti possibili e uscire a «fargli il culo». Questa, oltre a una sciocchezza, è un vero suicidio. Gli zombi non sono certo come le guardie di quei film di guerra in cui un prigioniero riesce a fuggire da solo: non crollano al tappeto con la prima raffica di mitra a salve. Armarsi per affrontare gli zombi richiede attenta riflessione, sangue freddo e l'analisi pratica di tutti i fattori determinanti. (p. 26)
L'M16 modello A1 è considerato da molti il peggiore fucile d'assalto mai inventato. Il meccanismo di sparo eccessivamente complicato è difficile da pulire e tende a incepparsi. Per regolare il mirino, cosa che va fatta ogni volta che il bersaglio si avvicina o si allontana, bisogna usare uno spillo, una penna a sfera o qualcosa del genere. E se non lo si ha o lo si è perso? [...] I primi risultati in battaglia durante la guerra del Vietnam furono talmente scarsi che i guerriglieri comunisti si rifiutavano di raccogliere i fucili degli americani caduti. Il nuovo M16 modello A2, anche se migliorato sotto vari aspetti, è tuttora considerato un’arma di seconda categoria. Se ne avete la possibilità, fate come i Vietcong e scartate l'M16 a priori. (p. 37)
Gli americani hanno un rapporto particolare con le pistole. Sembrano apparire in ogni film, ogni programma televisivo, ogni romanzo, ogni fumetto. Gli eroi americani le hanno sempre portate, dallo sceriffo del vecchio West all’intrepido poliziotto di città. I criminali ci vanno a nozze; liberali e conservatori ne discutono continuamente. I genitori ne tengono lontani i figli e gli industriali ci fanno immense fortune. La pistola è sinonimo di America forse ancor più dell’automobile. Ma questa icona culturale quanto è utile di fronte a una folla di carnivori appena tornati dal mondo dei morti? A dire il vero non molto. (p. 39)
La maggior parte delle persone non crede che certe cose possano succedere finché non succedono. Non è stupidità o debolezza, è solo la natura umana. Non biasimo nessuno per questa incredulità. Non pretendo affatto di essere più intelligente o migliore degli altri. Credo che in realtà si riduca tutto alla casualità della nascità. A me è capitato di nascere in mezzo a persone [(ebrei)] che vivono nella costante paura dell'estinzione. È parte della nostra identità, parte della nostra mentalità, e ci ha insegnato attraverso prove ed errori orribili a stare sempre in guardia. (Jurgen Warmbrunn, p. 39)
Nell'ottobre del 1973, quando gli arabi ci attaccarono a sorpresa buttandoci quasi nel Mediterraneo, avevamo tutti i rapporti dell'intelligence, tutti i segnali di allarme, e ci eravamo semplicemente "distratti". Non avevamo neppure preso in considerazione l'eventualità di un assalto convenzionale a oltranza coordinato da più nazioni, soprattutto non durante la più sacra delle nostre festività. La chiami pure stagnazione, rigidità, o imperdonabile mentalità da gregge. Si immagini un gruppo di persone che fissano tutte una scritta su un muro, e si congratulano a vicenda per come hanno letto le parole correttamente. Ma dietro a questo gruppo c'è uno specchio la cui immagine mostra il vero messaggio di quella scritta. Nessuno guarda lo specchio. Nessuno pensa che sia necessario. Bene, dopo aver quasi permesso agli arabi di finire quello che aveva cominciato Hitler, ci rendemmo conto che quell'immagine speculare non solo era necessaria, ma doveva caratterizzare per sempre la nostra politica nazionale. Dal 1973 in poi se nove analisti dell'intelligence giungevano alla stessa conclusione, era dovere del decimo non essere d'accordo. Non importa quanto una possibilità possa essere inverosimile o esagerata, uno deve sempre scavare più a fondo. Se la centrale nucleare di un paese vicino può essere usata per la produzione di plutonio adatto all'utilizzo bellico, tu scavi; se girano voci di un dittatore che sta costruendo un cannone così grande da poter lanciare proiettili all'antrace da un paese all'altro, tu scavi; e se c'è anche la minima possibilità che i cadaveri comincino a rianimarsi diventando fameliche macchine di morte, tu scavi e scavi fino a trovare la verità assoluta. (Jurgen Warmbrunn, p. 40)
Non è questo che siamo? Semplicemente un cervello tenuto in vita dalla macchina complessa e vulnerabile che chiamiamo corpo? Il cervello non può sopravvivere se anche una sola parte di questa macchina viene distrutta o privata di sostanze necessarie come il cibo o l'ossigeno. Questa è la sola differenza scientifica tra noi e i "non morti". Il loro cervello non ha bisogno di un sistema di supporto per sopravvivere, così è necessario attaccare l'organo stesso. (Jurgen Warmbrunn, p. 41)
Chi pensa alla CIA, probabilmente immagina due dei nostri miti più popolari e duraturi. Il primo è che la nostra missione è perlustrare il globo in cerca di ogni plausibile minaccia contro gli Stati Uniti, e il secondo è che abbiamo il potere di portare a termine il primo. Questo mito è il sottoprodotto di un'organizzazione che, per sua stessa natura, deve esistere e operare in segreto. Il segreto è un vuoto e niente può riempire un vuoto meglio delle congetture paranoiche. «Ehi, hai sentito chi ha ucciso tal dei tali? Ho sentito che è stata la CIA. Ehi, e che mi dici del colpo di stato nella repubblica delle banane? Deve essere stata la CIA. Ehi, fai attenzione quando visiti quel sito, lo sai chi tiene un file con tutti i siti visitati da chiunque? La CIA!». Questa è l'immagine che la gente aveva di noi prima della guerra, un'immagine che eravamo più che felici di incoraggiare. Volevamo che i cattivi sospettassero di noi, che ci temessero, e che magari ci pensassero due volte prima di provare a far del male a uno qualunque dei nostri cittadini. Questo era il vantaggio di essere visti come una sorta di polipo onnisciente. L'unico svantaggio era che anche la nostra gente credeva in quell'immagine, così ogni volta che da qualche parte succedeva qualcosa senza alcun preavviso, verso chi pensa venisse puntato il dito? (Bob Archer, p. 52)
La verità è che la Central Intelligence Agency e gli altri servizi ufficiali e no degli Stati Uniti non sono mai stati degli illuminati globali che vedono tutto e sanno tutto. Tanto per cominciare, non abbiamo mai avuto finanziamenti sufficienti. Anche durante la guerra fredda, nei giorni degli assegni di banco, non era fisicamente possibile avere occhi e orecchie in ogni stanza di servizio, grotta, vicolo, bordello, bunker, ufficio, casa, macchina e risaia dell'intero pianeta. Non mi fraintenda, non voglio dire che eravamo impotenti, e forse abbiamo davvero alcuni dei meriti che i nostri estimatori e i nostri critici ci hanno attribuito nel corso degli anni. Ma se si mettono insieme tutte le balzane teorie dietrologiche, da Pearl Harbour fino al giorno prima del Grande panico, allora si ottiene un'organizzazione più potente non solo degli Stati Uniti, ma di tutte le forze unite dell'intera razza umana. (Bob Archer, p. 53)
Nei regimi totalitari - comunismo, fascismo, fondamentalismo religioso - il supporto popolare viene dato per scontato. Lì possono cominciare una guerra, la possono portare avanti, possono mettere chiunque in uniforme per quanto gli pare senza mai doversi preoccupare nemmeno della più blanda reazione politica. In una democrazia è l'esatto contrario. Il supporto pubblico deve essere ben gestito, come ogni risorsa nazionale limitata. Bisogna spenderlo con saggezza, con parsimonia, cercando di ottenere il massimo risultato dall'investimento. L'America è particolarmente sensibile alla stanchezza che una guerra comporta, e niente scatena una reazione violenta come la percezione della sconfitta. Dico "percezione" perché l'America è per tanti versi la società del tutto o niente. Ci piacciono le grandi vittorie, i touchdown, i ko al primo round. Ci piace sapere, e far sapere a tutti, che la nostra vittoria è stata non solo indiscussa, ma assolutamente schiacciante. Altrimenti... be'... guardi in che condizioni eravamo prima del Panico. Non avevamo perso l'ultima "scaramuccia" [la guerra in Iraq], tutt'altro. Avevamo in realtà portato a termine un compito molto difficile, con pochissime risorse e in condizioni estremamente sfavorevoli. Avevamo vinto, ma il popolo non la vide in questo modo perché non era stata il blitzkrieg che il nostro spirito nazionale esigeva. Era passato troppo tempo, era stato speso troppo denaro, erano state perse o irrimediabilmente danneggiate troppe vite. Non avevamo semplicemente sperperato tutto il nostro supporto nazionale, eravamo finiti profondamente in rosso. (Travis D'Ambrosia, p. 57)
La Russia, la mia Russia, non era altro che un casino apolitico. Vivevamo nel caos e nella corruzione, campavamo alla giornata. Nemmeno l'esercito era un bastione del patriottismo; era un posto dove imparare un mestiere, procurarsi da mangiare e da dormire, e magari tirare anche su un po' di soldi da mandare a casa quando il governo decideva che era opportuno pagare i soldati. «Giuramento di proteggere la madrepatria»? Queste non erano parole della mia generazione. Si sentivano dai vecchi veterani della Grande Guerra Patriottica, quei derelitti fuori di testa che un tempo assediavano la Piazza Rossa con le loro lacere bandiere sovietiche e le sfilze di medaglie appuntate alle loro uniformi scolorite e mangiate dalle tarme. Quella frase sul dovere verso la madrepatria era una barzelletta. (Maria Zhuganova, p. 83)
Mi ricordo che stavo accanto a questo tizio, Sergei, un miserabile, enorme figlio di puttana con la faccia triste. Le sue storie su come era cresciuto in Russia mi avevano convinto che non tutte le cloache del Terzo Mondo dovevano essere ai tropici. (T. Sean Collins, p. 87)
India e Pakistan. Come Corea del Nord e Corea del Sud, o la NATO e il vecchio Patto di Varsavia. Se due parti dovevao usare le armi nucleari una contro l'altra, sarebbero state l'India e il Pakistan. Tutti lo sapevano, tutti se lo aspettavano, ed è esattamente per questo che non successe. Perché il pericolo era così onnipresente che nel corso degli anni era stato progettato un sistema per evitarlo. Il telefono rosso tra le due capitali era attivo, gli ambasciatori erano in stretti rapporti di amicizia, e i generali, i politici e tutti quelli coinvolti nel processo erano addestrati per far sì che il gorno temuto da tutti non arrivasse mai. (Ahmed Farahnakian, p. 90)
Quando una bomba ti esplode vicino fa letteralmente scoppiare i liquidi nel tuo corpo, come un accidenti di palloncino. Questo non succede con Zom, forse perché ha meno fluidi nel corpo di noi o perché quel suo fluido è più come una gelatina. Non lo so. Ma non servì a un cazzo, non ci fu nemmeno l'effetto TNI. [...] Trauma Nervoso Improvviso. Credo che si chiami così. È un altro effetto subìto da chi si trova nei paraggi di una forte esplosione. Il trauma a volte è così forte che i tuoi organi, il cervello, si spegne tutto, come se Dio staccasse l'interruttore della tua vita. Ha a che fare con gli impulsi elettrici o qualcosa del genere. Non so. Non sono un cazzo di dottore. (Todd Wainio, p. 97)
È una cosa vecchia come... non so, credo vecchia come la guerra. È la paura, amico, solo la paura, e non devi essere il nuovo Sun Tzu del cazzo per sapere che il vero combattimento non è uccidere o fare del male all'altro, ma spaventarlo abbastanza da mettere la parola fine alla battaglia. Abbattere il loro spirito, ecco cosa cerca di fare ogni esercito, dalle pitture tribali sul viso alla blitzkrieg a... come chiamammo il primo round della seconda guerra del golfo, Shock and Awe? Nome perfetto, 'Stupore e Terrore'! Ma se il nemico non può essere preso di soprassalto e intimorito? Non è difficile stupirli e terrorizzarli, è biologicamente impossibile! Ecco cosa successe quel giorno fuori da New York, ecco il fallimento che quasi ci fece perdere la maledetta guerra. Il fatto che non potevamo stupire e terrorizzare Zom ci rimbalzò in faccia come un boomerang e in realtà permise a Zom di sorprendere e terrorizzare noi! Loro non hanno paura! Non importa cosa facciamo, non importa quanti ne uccidiamo, non avranno mai, mai paura! (Todd Wainio, p. 102)
Ha mai visto l'effetto di un'arma termobarica? Ha mai chiesto a quelli con le stellette sulle spalle che cosa sanno? Ci scommetto le palle che non le direbbero mai tutta la verità. Sentirebbe parlare di calore e pressione, la palla di fuoco che continua a espandersi, a esplodere, e letteralmente frantuma e incendia ogni cosa sul suo cammino. Calore e pressione, ecco cosa significa termobarico. Sembra abbastanza cattivo, giusto? Quello che non sentirebbe raccontare è l'immediato effetto collaterale, il vuoto che si crea quando la sfera di fuoco si contrae. Chiunque rimane vivo finirà con l'aria risucchiata fuori dai polmoni o - questo non lo ammetteranno mai con nessuno - con i polmoni strappati fuori dalla bocca. (Todd Wainio, p. 103)
[Sulla Corea del Nord] La popolazione era pesantemente militarizzata, inquadrata in ranghi con una capacità di reazione al confronto della quale Israele sembrava Islanda. Più di un milione tra uomini e donne sotto le armi e altri cinque milioni come riserve. È più di un quarto della loro intera popolazione, per non parlare del fatto che quasi tutti mel paese prima o poi ricevevano un addestramento militare di base. Più importante di questo addestramento, però, e più importante di ogni altra cosa per quel tipo di guerra, avevano un livello di disciplina nazionale quasi sovrumano. I nordcoreani venivano indottrinati sin dalla nascita, spinti a credere che le loro vite erano insignificanti, che esistevano solo per servire lo stato, la rivoluzione, e il Grande Leader. (Hyungchol Choi, p. 185)
Ero un otaku. So che ormai questo termine significa tantissime cose per tantissime persone, ma per me significava semplicemente 'tagliato fuori'. So anche che gli americani, soprattutto i giovani, devono sentirsi intrappolati dalle pressioni sociali. È così per tutti gli umani. Tuttavia, se ho capito bene la vostra cultura, l'individualismo è per voi una cosa da incoraggiare. Voi riverite il "ribelle", la "canaglia", quelli che con fierezza si allontanano dalla massa. Per voi l'individualità è il distintivo dell'onore. Per noi è il nastro della vergogna. Prima della guerra, tutti gli aspetti della nostra vita erano sottoposti a giudizi esterni. L'aspetto, il modo di parlare, tutto, dalla posizione professionale al modo in cui starnutivi, doveva essere pianificato e orchestrato seguendo la rigida dottrina del confucianesimo. Alcuni avevano la forza, o la mancanza di forza, necessaria per accettare questa dottrina. Altri, come me, sceglievano l'esilio in un mondo migliore. Quel mondo era il cyberspazio, ed era fatto su misura per gli otaku giapponesi. Non sono in grado di parlare del vostro sistema di istruzione né, in effetti, di quello di qualsiasi altro paese, ma il nostro era quasi interamente basato sulla conservazione della memoria. Dal primo giorno in cui mettevano piede in un'aula, ai bambini giapponesi del periodo prebellico venivano somministrati volumi su volumi di fatti e figure che non avevano nessuna applicazione pratica nelle nostre vite. Fatti che non avevano una componente morale, un contesto sociale o un legame umano col mondo esterno. Non avevano altro motivo di esistere se non perché padroneggiarli portava all'ascensione. A quei bambini non insegnavano a pensare, bensì a memorizzare. (Kondo Tatsumi, pp- 189-190)
In Giappone gli hibakusha, i 'sopravvissuti alla bomba', occupavano un gradino unico nella nostra scala sociale. Eravamo trattati con pena e compassione: vittime, eroi e simboli per ogni programma politico. Eppure, come esseri umani, eravamo poco più che degli emarginati. Nessuna famiglia permetteva ai suoi rampolli di sposarci. Gli hibakusha erano lo sporco, il sangue che macchiava la purezza dell'onsen[1] genetico giapponese. (Tomonaga Ijiro, p. 200)
Gli ainu sono l'etnia indigena più antica del Giappone, e nella nostra scala sociale sono persino più in basso dei coreani. (Tomonaga Ijiro, p. 201)
I kami sono gli spiriti che vivono in ogni singolo aspetto della nostra esistenza. Li preghiamo, li onoriamo, speriamo di compiacerli e di conquistarci il loro favore. Sono gli stessi spiriti che spingono le grandi imprese giapponesi a benedire il futuro sito delle loro industrie, gli stessi spiriti che spingevano i giapponesi della mia generazione a venerare l'imperatore come una divinità. I kami sono le fondamenta dello shintoismo, letteralmente 'la via degli dèi', e il culto della natura è uno dei più sacri e antichi princìpi di questa dottrina. (Tomonaga Ijiro, p. 204)
Mi ero ormai reso conto che i morti viventi erano sorprendentemente privi di odori. Sì, c'era quel sottile accenno di decomposizione, più forte se il corpo si era trasformato da parecchio, o se la carne masticata si era spinta oltre le budella raccogliendosi in un cumulo marcescente negli indumenti intimi. Nelle altre circostanze, però, i morti viventi emanavano quello che io definisco "puzzo inodore". Non avevano nemmeno i batteri nello stomaco o in bocca che, negli umani, sono responabili dell'alito cattivo. (Tomonaga Ijiro, p. 207)
Prima della guerra vivevamo in una condizione di semi-isolamento, peggio che al culmine della guerra fredda. Almeno ai tempi di mio padre potevi contare sull'appoggio economico dell'Unione Sovietica e dei suoi pupazzi del ComEcon, per quel che valeva. Dalla caduta del blocco comunista, però, la nostra diventò un'esistenza di privazione costante. Cibo razionato, carburante razionato... il paragone più azzeccato che mi viene in mente è con la Gran Bretagna dei bombardamenti aerei; anche noi, come quell'isola assediata, vivevamo sotto la nuvola scura di un nemico onnipresente. L'embargo degli Stati Uniti, sebbene non più serrato come durante la guerra fredda, mirava comunque a sopprimere la nostra economia punendo qualsiasi nazione che provava a stabilire con noi un rapporto di scambio libero e aperto. Tra tutti i successi che ottenne la strategia americana, il suo trionfo più eclatante fu che Fidel poté usare la scusa dell'oppressore per restare al potere. «Guardate quanto è dura la vostra vita», ci diceva. «È colpa dell'embargo, è colpa degli yankee, e senza di me starebbero imperversando sulle nostre spiagge in questo stesso momento!». Era un genio, il figlio prediletto di Macchiavelli. Sapeva che non l'avremmo mai deposto finché il nemico era alle porte. E così sopportammo le difficoltà e l'oppressione, le lunghe code e le voci zittite. Era questa la Cuba dove ero cresciuto, e non avrei mai potuto immaginarla diversa. Poi i morti cominciarono a risorgere. (Seryosha Garcia Alvarez, p. 209)
Guardi quello che successe in Islanda, un paradiso prebellico, così sicura e remota che non sentiva neppure il bisogno di avere un esercito permanente. Cosa avrebbero potuto fare in Islanda dopo la ritirata dell'esercito americano? Come potevano fermare il torrente di profughi dall'Europa e dall'ovest della Russia? Non è difficile capire come quell'idiliaco paradiso glaciale si sia trasformato in un calderone di sangue ghiacciato, e perché sia ancora oggi la zona bianca più infestata del pianeta! (Seryosha Garcia Alvarez, p. 210)
Sì, l'Unione Sovietica era arretrata e inefficiente, e sì, la nostra economia crollò dalle cima di montagne di armi. Ma quando la madrepatria ne ebbe bisogno, queste montagne salvarono i suoi figli. (Sergei Ryzhkov, p. 265)
La guerra ci ha riportati alle nostre radici, ci ha fatto ricordare che cosa significa essere russi. Siamo di nuovo forti, di nuovo temuti, e per un russo questo significa una sola cosa: finalmente siamo di nuovo al sicuro! (Maria Zhuganova, p. 297)
Max Brooks, Manuale per sopravvivere agli zombi, traduzione di Stefano Suigo, Einaudi, 2012, ISBN 978-88-06-21126-4
Max Brooks, World War Z. La guerra mondiale degli zombi, traduzione di Nello Giugliano, Cooper, 2013, ISBN 978-88-7394-072-2