storico rumeno Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Matei Cazacu (1946 – vivente), storico rumeno.
Citazioni
Una volta mi è successo di captare «l'ostilità» di Dracula. Accadde nel 1992, a Parigi. Ero stato invitato alla proiezione privata del film Dracula di Francis Ford Coppola in un cinema parigino. Mia moglie e io, usciti sotto un temporale fortissimo, che sembrava volerci impedire di andare avanti. La nostra emozione fu ancora più grande quando, poco dopo, vedemmo la stessa scena sul grande schermo: una tempesta suscitata da Dracula contro i cacciatori di vampiri. Una situazione sconcertante, che avrebbe lasciato di sasso i miei amici americani se fossero stati presenti! (p. 12)
Mircea è stato senza dubbio il più importante principe valacco del XV secolo, ma il suo regno fu costantemente minacciato dall'ascesa degli Ottomani nelle penisola balcanica. (p. 30)
Il regno di Michele I durò solo due anni. Nell'aprile-maggio del 1420 un esercito turco attaccò la Valacchia e Michele perse la vita in battaglia. Fu il primo principe a cadere contro gli Ottomani; nel corso del secolo altri due subiranno la stessa sorte. (p. 33)
A partire dal 1420 il trono del paese divenne la posta in gioco delle lotte intestine fra i discendenti di Dan I e quelli di Mircea, soprannominati anche «i Dracula» (Dràculesti, in romeno). I primi si appellarono al re d'Ungheria e ai nobili transilvani, i quali erano ben contenti di garantirsi la fedeltà e l'alleanza dei principi della Valacchia, custodi dei passaggi nei Carpazi. I secondi erano aiutati dai Turchi, i quali disponevano di teste di ponte a nord del Danubio: fortezze inespugnabili che, accanto ai soldati regolari, albergavano bande d'irregolari «razziatori e incendiari» (akîngis), pagati con il bottino che riuscivano ad accaparrarsi (schiavi, bestiame, eccetera). La grande aristocrazia del paese – i boiardi, che formavano la classe politica per eccellenza – si divideva anch'essa tra le due potenze vicine e rivali. Coloro che possedevano i domini vicino al Danubio tendevano a favorire i Turchi per paura di vedere i loro beni saccheggiati e distrutti. Gli altri, proprietari nella zona delle colline a sud dei Carpazi, erano in buoni rapporti commerciali con le città della Transilvania e sostenevano i principi nominati dal re d'Ungheria. Tuttavia, una volta insediato sul trono, un principe appoggiato dagli Ottomani non poteva ignorare l'importanza delle relazioni di buon vicinato con la Transilvania e si affrettava a concludere trattati commerciali e amichevoli con le città sassoni di Brasov e di Sibiu. In tal modo la Valacchia poteva svolgere il suo ruolo d'intermediaria tra la penisola balcanica e l'Europa centrale. Le difficoltà si presentavano allorché le bande di predoni turchi facevano razzie in Transilvania. In questi casi il principe valacco faceva spesso il doppio gioco, congiungendo le proprie forze a quelle dei Turchi ma avvisando segretamente i Transilvani delle intenzioni dei nemici. Inoltre, i sultani ottomani avevano preso l'abitudine di esigere degli ostaggi in garanzia dei giuramenti di fedeltà dei Valacchi. Uno o più figli del principe e dei principali boiardi del paese venivano quindi trattenuti ad Adrianopoli o a Brasov, più tardi a Istanbul, e venivano educati alla turca. Del resto, fin dal XIV secolo, i re d'Ungheria praticavano lo stesso sistema. In tali condizioni, regnare sulla Valacchia presupponeva una vera e propria abilità acrobatica. (pp. 34-35)
[Sull'Ordine del Drago] Quest'ordine era stato creato da Sigismondo nel 1408, dapprima come ordine ungherese e poi come ordine imperiale tedesco, allo scopo di costituire intorno a sé una confraternità di baroni legati alla sua persona. Vi si contavano solo tre sovrani stranieri, ovvero il re di Polonia, il despota della Serbia e Vlad Dracul. I membri dovevano portare le insegne dell'ordine, un drago schiacciato da una croce sulla quale era scritto «O, quam misericors est Deus», e sul braccio piccolo della croce «pius et justus», più tardi «paciens et justus». Il venerdì i membri portavano abiti neri e avevano l'obbligo di aiutare le vedove e gli orfani dei membri deceduti. È fuori discussione che l'ammissione di Vlad Dracul a quest'ordine era la più alta onorificenza mai ricevuta da un principe valacco da parte dell'imperatore tedesco, e significava l'ingresso nella cerchia degli intimi e degli alleati di Sigismondo. (p. 38)
[Su Vlad III di Valacchia] La rottura del contatto con la madre potrebbe spiegare alcuni tratti del suo carattere, come la durezza e l'insensibilità nei confronti della sofferenza altrui, e in particolar modo le terribili torture e sevizie che avrebbe riservato alle donne, ai bambini e ai neonati. (p. 75)
Con ogni evidenza Vlad Dracula non sapeva scrivere, al massimo sapeva leggere. Non si è conservata nessuna lettera scritta di suo pugno, nessuna firma, nessun monogramma autografo. (p. 79)
All'epoca lo slavone era la lingua del culto e della cultura, l'equivalente del latino e del greco. Venne impiegato per i documenti e la corrispondenza dei principi valacchi fino al XVII secolo, come fu il caso presso i Serbi, i Bulgari, i Russi e gli Ucraini. Per quanto riguarda la corrispondenza con le città sassoni della Transilvania, a volte si ricorreva al latino. Dracula parlava queste lingue? L'unica certezza che abbiamo concerne la sua padronanza del turco, appreso in occasione del soggiorno forzato nell'Impero ottomano. Il resto sono solo supposizioni. (p. 79)
Al partire dal 1444, quando aveva quattordici o quindici anni, l'età che segnava il passaggio allo stato di «giovane» (juvenis), quindi di maggiorenne, Vlad Dracula dovette fare i conti, suo malgrado, con un terzo universo: il mondo ottomano dell'Asia minore e poi di Adrianopoli, in Europa. La società nella quale si ritrovò immerso non assomigliava in nulla e per nulla a quella in cui era cresciuto. Le usanze, la lingua, la religione, i vestiti, tutto gli era estaneo. Rimase subito colpito dalla venerazione di cui godeva il sultano da parte dei sudditi, che si consideravano come suoi schiavi. [...] Anche la profonda religiosità dei musulmani, le loro usanze semplici e il loro amore per la giustizia dovettero incuriosire Dracula. Alla corte del sultano, dove visse almeno un anno, poté osservare la straordinaria varietà di nazionalità che formavano la sua cerchia: nobili provenienti dalle grandi famiglie turche dell'Anatolia, Greci rinnegati, Serbi, Albanesi, Arabi, Africani, Italiani, Persiani, eccettera. [...] Infine, e contrariamente a un'opinione ancora tenace, i Turchi non inducevano i cristiani a convertirsi per forza: si poteva rimanere cristiani e godere della fiducia del sultano e degli alti dignitari. Fu il caso di molti greci e Italiani, che ne hanno lasciato testimonianza nei loro scritti. [...] Vlad rimase profondamente colpito da questa società aperta e dinamica, una vera e propria meritocrazia al servizio del solo monarca. Ne analizzò il funzionamento e tentò di applicarlo alla Valacchia nel corso del suo regno più lungo, dal 1456 al 1462. (pp. 80-82)
[Su Maometto II] Considerato in un primo tempo come un uomo debole, poco intelligente, ignorante, senza esperienza militare, dedito più al vino e alle donne che non agli affari dell'Impero, il nuovo sultano aveva fatto tremare la cristianità prendendo d'assalto Costantinopoli, la capitale dell'Impero romano d'Oriente. A partire da questa data non ci furono più anni senza guerre. (p. 112)
Nel mondo ortodosso i cadaveri venivano riesumati dopo uno, tre, cinque o sette anni, per verificare lo stato di decomposizione. Un cadavere intatto o ritrovato con la faccia contro la terra significava che si trattava di un non-morto, di un vampiro, al quale bisognava concedere una sepoltura decente dopo avergli conficcato un paletto di biancospino nel... cuore... (p. 130)
Non si conosce la tomba di Vlad. La tradizione vuole che Dracula sia stato sepolto nel convento di Snagov, su un'isola, nel bel mezzo di un lago situato a trentacinque chilometri a nord di Bucarest. La chiesa attuale risale all'inizio del XVI secolo; le celle e le altre costruzioni sono scomparse e solo qualche rovina attesta l'esistenza del convento del XIV e XV secolo; secondo la cronaca ufficiale della Valacchia sarebbe stato ricostruito da Vlad. Una serie di restauri iniziati nel XX secolo hanno restituito all'edificio l'aspetto di un tempo, gli affreschi del XVI secolo hanno rivelato alcuni ritratti principeschi degli anni 1550-1560, piuttosto ben conservati. Ma nulla su Vlad o i suoi discendenti. (p. 187)
I discendenti di Vlad Dracula hanno svolto un ruolo importante nella storia della Valacchia e anche della Moldavia nel corso del XVI e XVII secolo e hanno occupato i due troni per oltre settantadue anni, dal 1508 al 1630. Di fatto, con essi, la dinastia dei Basarab terminò definitivamente. Inoltre, fatto importante, i principi discendenti da altre famiglie e clan nobiliari valacchi che regnarono lungo il XVII secolo aggiunsero il nome Basarab al nome di battesimo, allo scopo di sottolineare la loro legittimità e appartenenza alla dinastia fondatrice dello Stato. (p. 202)
Mattia Corvino aveva cercato d'instaurare in Ungheria una monarchia nazionale centralizzata, che facesse del re la «legge vivente» e neutralizzasse il potere degli ordini e della grande aristocrazia terriera. Il sistema poggiava sull'esercito e su una burocrazia che gestiva le risorse dello Stato. Questa concezione dello Stato moderno, la stessa di Luigi XI in Francia, di Enrico VII Tudor in Inghilterra, degli Sforza a Milano e dei Medici a Firenze, necessitava di un discorso ideologico coerente che giustificasse la concentrazione del potere nelle mani del sovrano. Per raggiungere il suo scopo Mattia Corvino fece appello ad alcuni umanisti italiani e ungheresi e si avvalse della storiografia, della stampa, del mecenatismo, della poesia latina e popolare e anche dei pamphlet. (p. 208)
Sappiamo che Vlad era cristiano ortodosso, come la maggior parte della popolazione della Valacchia. Peraltro, al principe è stata attribuita la fondazione di almeno due chiese [...]. È anche risaputo che fece donazioni e confermò i privilegi del monte Athos [...]. Ricordiamo invece che Vladislav II, il quale aveva regnato nove anni, aveva costruito una sola chiesa, e che Stefano il Grande (1457–1504) eresse la prima chiesa dopo dieci anni di regno. Vlad, dunque, costruì due o forse anche tre chiese in sei anni di regno. (p. 213)
La diffidenza di Vlad nei confronti dei monaci mendicanti e predicatori di confessione cattolica è comprensibile se si considera la storia della Valacchia, come pure quella della Moldavia. L'ortodossia della maggior parte della popolazione romena dei due paesi, ma anche della Transilvania, era solidamente radicata dopo la creazione, nel corso del XIV secolo, delle metropoli ecclesiastiche dipendenti dal patriarcato di Costantinopoli. Gli sforzi dei re d'Ungheria di ricondurre queste popolazioni nell'ambito della Chiesa cattolica si accompagnarono a varie pressioni sui principi e sulle loro famiglie. Queste pressioni erano più visibili in Transilvania, dove gli inquisitori obbligavano spesso i contadini che dipendevano da signori cattolici ad abbracciare la fede dei padroni. Molti ecclesiastici ortodossi vennero imprigionati o scacciati dai loro villaggi manu militari, soprattutto nel XIV secolo e durante la prima metà del XV. In Valacchia e in Moldavia i predicatori cattolici avevano ogni libertà d'azione tra la popolazione della loro fede; avevano però la proibizione di praticare il poselitismo tra gli ortodossi. Peraltro, la Moldavia aveva accolto parecchi eretici, hussiti e altri, originari dell'Ungheria e della Boemia, i quali trovavano in quella terra d'asilo la libertà di coscienza e di culto che veniva loro rifiutata in patria. Casi simili devono essere avvenuti in Valacchia, ma lo stato della documentazione ci impedisce di entrare nei particolari. I re d'Ungheria e di Polonia, dal canto loro, si ergevano a protettori dei cattolici romeni, e ogni conflitto o tensione con i principi della Valacchia e della Moldavia si ripercuoteva in campo confessionale. Le persecuzioni di Dracula contro i monaci cattolici possono quindi essere considerate come in sintomo dei suoi cattivi rapporti con l'Unghera e la Transilvania a un dato momento del suo regno. (pp. 216-217)
L'apparizione e la diffusione del cristianesimo hanno rafforzato considerevolmente il ruolo dell'anima che deve separarsi del corpo per andare in Purgatorio o verso uno spazio non definito, nel caso della Chiesa ortodossa. Quest'incertezza, alimentata fino a oggi dalla cristianità orientale alla quale appartengono i popoli balcanici e slavi dell'Est (a eccezione dei polacchi), ha favorito la credenza nei vampiri. (p. 248)
Il vampiro fa quindi parte della grande famiglia degli spettri o fantasmi, comune a tutte le civiltà. Nel mondo slavo e balcanico qui preso in esame, il suo nome, quello con il quale è universalmente noto, deriva da un antico termine slavo, opyr o opir, che ha dato la forma «vampiro» in bulgaro, serbocroato, macedone, polacco e ucraino, e alcune varianti molto simili nelle altre lingue slave. La radice di opyr deriva da una parola che significa «pipistrello», e quella di opir contiene il significato di «volare, planare, fluttuare in aria come il vapore». Da qui la metamorfosi dell'anima errante sotto forma di pipistrello, mosca, falena o uccello in generale. Quando questa metamorfosi avviene nel corpo di un animale come il lupo, ecco i lupi mannari, vurkolak, nelle lingue slave, pricolici, in greco e in romeno. Nel romeno s'incontra anche il termine strigoi per designare il vampiro (strigoaica al femminile), da strix, striga, che ha dato l'italiano «strega». Un altro termine per questi esseri della notte, dal quale è derivato il vocabolo francese cauchemar (incubo) e il tedesco Mahr, è mora in serbocroato, russo e bulgaro, moroi in romeno: si applica soprattutto agli spiriti dei bambini nati morti o morti senza battesimo. (p. 249)
Utilizzando la tecnica dell'intervista registrata, Ann Rice rivoluziona l'immagine del vampiro. Con il suo eroe, Lewis, il vampiro smette di essere un demonio per diventare simile all'uomo, tormentato dalle stesse passioni e dalle stesse debolezze. Così come Bram Stoker aveva fatto in epoca vittoriana, Ann Rice inaugura il vampiro del XX secolo, una nuova età dell'oro che crea sempre nuove cerchie di lettori. (p. 271)
[Su Dracula] Con Lugosi il principe dei vampiri prendeva un forte accento ungherese e sfoggiava un elegante mantello nero, con il quale l'attore si sarebbe fatto seppellire nel 1958, otto film dopo. Un personaggio molto lontano dal conte Orlock (nome derivato da vârcolac), interpretato invece dall'inquietante Max Schreck. (p. 272)
[Su Nosferatu il vampiro] La bellezza formale di questo film muto, la figura scarna del conte Orlock, volta a volta minaccioso e fragile, immobile e dotato del dono dell'ubiquità, il ritmo irregolare dell'azione e la scenografia estremamente spoglia ne hanno fatto un grande classico del cinema. (p. 272)
Nosferatu rispecchia l'atmosfera della Germania post imperiale, che viveva il fallimento del sogno di dominare il mondo attraverso la miseria del popolo e la trasfigurazione artistica dell'espressionismo. L'insuccesso del piano del conte Orlock di assoggettare il pianeta poteva in qualche modo riallacciarsi al fallimento dell'imperatore Guglielmo II, anche se il vampiro ebbe almeno la consolazione di conoscere l'amore. (p. 272)
Di questa vasta produzione cinematografica dedicata ai vampiri, sono pochi gli adattamenti del romanzo di Stoker veramente riusciti. Soltanto Murnau (1922) e Werner Herzog (1978), Tod Browning (Dracula, 1931) e Terence Fisher (The Horror of Dracula, 1958) si dimostrarono all'altezza. Così fino al 1992, quando Francis Ford Coppola rinnovò completamente il genere con il suo Dracula (Bram Stoker's Dracula), capolavoro assoluto. La recitazione di Gary Oldman (Dracula) Anthony Hopkins (Van Helsing), Wynona Ryder (Mina Murray) e Keanu Reeves (Jonathan Harker) è considerata semplicemente perfetta da molti critici. La parte di Gary Oldman, conte vampiro o dandy londinese, è di un'intensità straordinaria. I costumi sono strepitosi e la musica contribuisce, essa pure, a fare di questa produzione un non plus ultra. (p. 274)
Nessuna fonte medievale o moderna indica in Vlad Dracula un vampiro. L'elemento riportato nel poema di Michele Beheim, secondo cui Vlad aveva l'abitudine di lavarsi le mani nel sangue del nemico quando si trovava a tavola, non è una prova sufficiente. Nulla dice che bevesse quel sangue. Peraltro, un vampiro si sarebbe servito direttamente alla fonte o, meglio, alla vena giugulare! In tale contesto il supplizio preferito di Dracula, quello del palo, è piuttosto una controprova. Infatti, impalando le sue vittime, Vlad impediva loro di diventare vampiri, cosa che invece sarebbe stata possibile, data l'assenza di riti funerari richiesti per garantire il riposo eterno: confessione, estrema unzione, comunione, una candela accesa al capezzale, preparazione minuziosa del corpo, sepoltura secondo le regole... Se Dracula fosse stato un vampiro, perché mai avrebbe impedito alle sue vittime di diventarlo a loro volta? (p. 296)
Anche se non fu un vampiro, Vlad Dracula visse in un paese nel quale la popolazione credeva fortemente in questi esseri della notte. E continua a crederci, almeno nella valle dell'Olt, senza però considerare Dracula alla stregua di uno di essi. Meglio così.
Matei Cazacu, Dracula. La vera storia di Vlad III l'impalatore, traduzione di Marianna Basile, Oscar Mondadori, 2010, ISBN 978-88-04-55392-2