geologo, divulgatore scientifico e giornalista italiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Mario Tozzi (1959 – vivente), geologo, giornalista e saggista italiano, noto anche come autore e personaggio televisivo.
Colobraro se ne sta come un paese delle streghe della letteratura, arrampicato su una collina ripidissima con le case in bilico sul baratro, quasi isolato rispetto al contesto della grande fiumara del Sinni che gli scorre sotto. Lo scenario è davvero spettacolare, sia dal basso sia, soprattutto, dall'alto guardando al fondovalle, e sconosciuto al grande movimento turistico [...] è uno degli ultimi paesi di quella magia lucana che hanno fatto la storia del Meridione d'Italia nell'immediato dopoguerra.[1]
Reggio Calabria e Messina furono rase al suolo: è una buona idea quella di costruire proprio lì, il Ponte[sullo stretto di Messina] a campata unica più lungo del mondo?[2]
L'allevamento intensivo è in tutto il mondo una causa di malattia, quando non provoca una serie di problemi di varia natura, a cominciare da quelli ambientali [...].
Forse troppa carne ci fa male, per non parlare poi di un problema, chiamiamolo così, etico: animali così concentrati, mal trasportati, mal tenuti; sostanzialmente curati per essere poi abbattuti.
[...] oggi siamo arrivati al punto di allontanare così tanto l'animale dalla carne che poi consumiamo da non poter riconoscere oggettivamente in un hamburger la mucca o il maiale che ne erano all'origine. Se chiediamo a un bambino oggi da dove viene quell'hamburger, non sa nemmeno che si tratti di un essere vivente: pensa che sia un pezzo di plastica, o un'altra sostanza di questo tipo.
Io sono vegetariano per queste ragioni ambientali, per quelle di salute e in parte anche per quelle di carattere etico. Forse non è necessario che tutti diventiamo vegetariani, però forse potrebbe essere una buona cosa per l'ambiente, per la terra, per il pianeta, se tutti consumassimo un po' meno carne: ci sarebbe meno desertificazione, meno deforestazione, ci sarebbe forse una vita un po' più sana e non saremmo costretti, quasi obbligati, a fare diete senza senso quando invece potremmo nutrirci meglio e con maggior rispetto armonico per il resto dei viventi.
in Né carne né pesce: vegetariani e vegani ai fornelli, Newton Compton, Roma, 2014. ISBN 978-88-541-6955-5
[Sul motivo per cui è vegetariano] La mia è una scelta ambientale nel senso stretto, una decisione che ho preso circa vent'anni fa. Il consumo eccessivo di carne e pesce non fa bene al pianeta.
Si arriva al paradosso per cui in certe parti dell'Africa non si può mangiare il granturco perché si usa come foraggio. La gente muore di fame pur avendo la possibilità di mangiare. Non è tollerabile togliere di bocca il mais agli uomini per darlo agli animali da allevamento, ecco perché ho scelto di non far parte di questo sistema.
Quasi il novanta per cento dello stock ittico che si mangiava negli anni Cinquanta, non è più disponibile. Una platessa viene uccisa intorno ai dieci anni di età per essere mangiata quando può viverne benissimo quaranta, a volte addirittura intorno ai sei anni, età in cui non si è nemmeno riprodotta. Stessa cosa succede a merluzzi e tonni. L'intervento dell'uomo modifica completamente l'ecosistema.
Spesso succede di trovare frutta croccante al di fuori e molle nell'interno. Questo succede perché il nostro terreno è molto sfruttato dalle arature. In Oriente, dove la terra non soffre le arature profonde cui sono sottoposti i nostri terreni e che in più sfrutta il concime naturale degli animali liberi, le vitamine rimangono e il terreno produce verdura e frutta migliori.
Il contadino che coltiva su terre inquinate e usa acqua contaminata non rientra nel biologico, anche se per molti vale il detto “L'ho preso dal contadino, più biologico di così!”.
Si è scritto molto sulla fine del mondo. Centinaia di libri (e non pochi film) danno corpo ad apocalissi a tinte fosche e drammatiche, in cui l'uomo viene spesso dipinto come vittima inerme e innocente di forze ostili a lui superiori. [...] cercherò di spiegare come i veri pericoli da cui occorre guardarsi non siano quelli sbandierati da visionari e sedicenti esperti digiuni di scienza, ma quelli che siamo noi stessi a creare. [...] Ma è di gran lunga più comodo credere a Nostradamus o ai Maya che prendere atto del clima che cambia o delle risorse che cominciano a scarseggiare. (pp. 7-8)
Gli uomini sono [...] fatti così: neanche la vicinanza della fine riesce a porre un freno alla loro bramosia di profitto. (p. 61)
Per tacitare la propria coscienza, a un certo punto gli uomini cominciarono a prodigarsi per salvare dall'estinzione i pochi esemplari rimasti di specie che loro stessi avevano messo in pericolo. Successe per esempio con il panda gigante, che in Cina era stato ridotto a poche decine di esemplari perché l'agricoltura aveva distrutto il suo habitat. E successe alla tigre siberiana. Ma che cos'altro erano, i panda e le tigri, se non autentici morti viventi, visto che non si provvedeva al ripristino e alla tutela dei loro habitat naturali? (p. 94)
[...] erano almeno 40.000 le specie di viventi che in un modo o nell'altro avevano un peso nella nostra sopravvivenza. Eppure, grazie a noi, ogni ora sparivano tre specie di viventi. E spesso si trattava di animali che non avevamo avuto nemmeno modo di conoscere. La rana dalla cova gastrica, per esempio, fu scoperta negli anni Settanta e annientata in un decennio. L'estinzione di una specie è per sempre, non c'è possibilità di ritorno. (p. 96)
Come abbiamo potuto pensare che l'uomo fosse nato cacciatore? Quando erano scesi dagli alberi distinguendosi dalle altre scimmie, la prima cosa che fecero gli esemplari di Homo fu darsela a gambe: erano ottime prede, non certo cacciatori. (p. 97)
I pascoli naturali erano finiti da un pezzo, e dato che per nutrire gli animali c'era bisogno di terra da coltivare, si provvide intensificando la deforestazione del pianeta. In sostanza, si distruggeva la foresta che ci serviva per respirare, per bere e per mangiare, per allevare animali con cui poi ci saremmo sfamati. Ma molte di quelle terre non erano adatte all'agricoltura, e nel giro di cinque o sei anni diventarono improduttive, inducendo gli uomini ad abbattere altri alberi. (p. 97)
Ma non era solo sul piano ambientale che produrre carne era poco conveniente. Di tutti i mangimi, cereali e fibre somministrati a una vacca, solo l'11 per cento produceva effettivamente carne, il resto veniva bruciato per vivere. Per ottenere 50 chili di proteine animali ce ne volevano 800 di proteine vegetali che, oltretutto, erano molto più disponibili: un ettaro coltivato a spinaci forniva una quantità di proteine superiore di 25 volte rispetto a uno coltivato a cereali per ottenere carne. (p. 98)
Gli allevamenti, poi, erano per la gran parte prigioni in cui l'esistenza già breve degli animali non era certo amena. [...] qualcuno pensò di somministrargli [alle vacche] mangimi a base di farine animali, trasformando in carnivori coatti gli erbivori per definizione. La natura in quel caso si ribellò, colpendo animali e uomini con quella che definimmo «sindrome della mucca pazza», come se i pazzi non fossimo noi. Vacche con le corna segate e polli che passavano l'intera vita nello spazio di un foglio A4 e senza sapere che cosa fosse la luce del giorno, non facevano comunque onore agli uomini. (pp. 98-99)
Già nel 1830, in Ohio, le pressanti richieste di un capitale sempre più aggressivo avevano portato al brevetto della disassembly line, la catena di smontaggio: il maiale veniva appeso per uno stinco ancora vivo e poi sventrato in 120 secondi da 126 macellai che lavoravano in mezzo metro di sangue e liquami, spesso ferendosi con i coltelli e con le orecchie assordate dal «grugnito dell'universo». Le Stock Yards di Chicago trattavano 20 milioni di animali all'anno. Henry Ford avrebbe preso esempio da lì per inventare la sua assembly line, la catena di montaggio, che avrebbe dato un impulso fondamentale alla ricerca del profitto. (p. 99)
Mi manca la televisione, quel chiacchiericcio di sottofondo che ti fa pensare che tutto continua anche se ti addormenti o muori. (p. 119)
Animali incredibili, le termiti, gli unici in grado di decomporre la cellulosa e liberare le sostanze nutritive che, altrimenti, rimarrebbero per sempre intrappolate nei tronchi marciti o negli steli. Senza termiti, uno spesso tappeto di vegetali morti soffocherebbe l'intero pianeta, ma ciò non accade grazie a un complesso di batteri e protozoi che vivono in simbiosi nella parte finale del loro intestino. Questi insetti sono peraltro una preziosa fonte di grassi e proteine per gli altri animali, uomo incluso, che in certe aree del mondo se ne cibava avidamente. Infine, i termitai consentono spesso il ripopolamento dopo un'alluvione, visto che restando emersi consentono la formazione di isole e il ritorno della vegetazione. Animali come questi, fondamentali per l'intero ecosistema terrestre, erano guardati dall'uomo come esseri inutili e insignificanti. (pp. 120-121)
Superiori a noi in numero complessivo di individui e in biomassa, [gli insetti] venivano tenuti «sotto controllo» attraverso l'uso di insetticidi e diserbanti ed erano messi a dura prova dall'inquinamento e dalla perdita di territorio. Ma resistevano tenacemente e, una volta scacciati, ritornavano sempre a colonizzare gli spazi dell'uomo, convivendo con lui in disparte e in silenzio. [...] Se gli insetti fossero scomparsi, l'umanità si sarebbe già estinta da tempo. [...] E non ci sarebbero stati nemmeno più i fiori. Tutta la superficie terrestre sarebbe lentamente marcita e le sostanze nutritive che alimentano il grande pasto della vita si sarebbero disseccate. Impollinazione e decomposizione semplicemente non avvengono, se mancano gli insetti, la vita stessa come noi la conoscevamo non sarebbe nemmeno concepibile. (pp. 121-122)
Fino alla fine del Diciannovesimo secolo i dinosauri erano sconosciuti agli uomini, come la corrente elettrica. (p. 123)
↑ Da Un Ponte fra due cimiteri, in Carlo Mancosu (a cura di), Il Ponte sullo Stretto: rischi, dubbi, danni e verità nascoste, Mancosu Editore, Roma, 2010. ISBN 978-88-96589-00-7
Mario Tozzi, Pianeta Terra: ultimo atto. Perché saranno gli uomini a distruggere il mondo, Rizzoli, Milano, 2012. ISBN 978-88-17-06202-2