dirigente sportivo e calciatore italiano Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Luca Marchegiani (1966 – vivente), dirigente sportivo ed ex calciatore italiano.
Citazioni in ordine temporale.
Le statistiche m'interessano fino a un certo punto. [...] Come non trovo giusto criticare troppo facilmente l'operato del portiere quando subisce dei gol, non mi pare logico esaltarlo per un record che comunque è destinato solo alla conoscenza dei cultori delle statistiche.[1]
Noi giocatori siamo soli, già battuti in partenza. Se parliamo solo di calcio siamo limitati. Se invece facciamo un'intervista nella quale andiamo oltre, ecco che ci accusano di essere degli esibizionisti e tutto il mondo viene a criticarci. L'unica nostra vera colpa è quella di non essere riusciti a combattere l'immagine che si è andata costruendo nella testa della gente dei calciatori come gente viziata e strapagata.[2]
Ormai ogni uscita, per noi portieri, è un rischio. Ammetto di avere qualche remora ogni volta che lascio i pali, perché gli attaccanti hanno capito il trucco: ti vengono incontro, poi all'ultimo momento spostano il pallone e ti arrivano addosso, così non puoi evitarli e l'arbitro concede il rigore. Uscire dalla porta, ormai, è un'avventura pericolosissima...[3]
Rispetto alla mia epoca è più complicato. Era difficile, non c'era la rete di osservatori, emergere era complicato ma una volta entrato nel professionismo era più facile restarci. Ora c'è una fabbrica di illusioni, calciatori giovani che diventano prof e poi spariscono. Io dal calcio di provincia passai a dividere la camera nel primo giorno di ritiro col portiere campione del mondo dell'82, Ivano Bordon. Ci ho messo 2 giorni per dire la prima parola, c'era rispetto, timore di entrare in modo troppo pressante in un mondo che metteva soggezione... [...] Non voglio fare l'anziano, però è cambiata molto la fruizione dell'atleta. Noi eravamo sportivi, ora sono uomini di spettacolo, questa facilità di arrivare alla gente fa sì che ogni comportamento diventi un modo per esprimere la propria personalità. Noi lo facevamo solo attraverso la prestazione, il gesto tecnico. Trovo assurdo chi esce sostituito a 5 minuti dalla fine e si lamenta...[4]
[«Qual è l'età giusta per approdare in un grande club?»] Nelle squadre che lottano per lo scudetto non contano tanto le parate che fai ma i gol che prendi, per questo si tende a preferire portieri già formati. Io stesso, se dovessi scegliere, mi affiderei a uno più esperto.[5]
Intervista di Guglielmo Buccheri, La Stampa, 30 dicembre 2004, p. 31.
Da giocatore non posso certo esprimere un parere negativo sull'invadenza della televisione: stiamo parlando del mezzo che ci permette di ottenere tutta la risonanza che ci circonda. Ma, da tifoso c'è il serio rischio che si stia creando un pubblico da salotto a discapito del pubblico da stadio.
Lo spettacolo che offre una partita dal vivo è completamente diverso da quello che si osserva in tv. Il calcio da poltrona non è quello dell'appassionato.
Il calcio deve essere ancora pensato come un prodotto per la gente e, i veri tifosi, non devono avere mai l'impressione di sentirsi relegati a pubblico da salotto. I presidenti devono capire che senza la passione di chi affolla le tribune, tutto si complica.
Dal Corriere dello Sport - Stadio; citato in ilnumero1.it, 4 gennaio 2014.
[«Perché ha fatto il portiere?»] Perché ho cominciato a giocare da portiere e non ho mai smesso, perché portiere si nasce e perché quel giorno, quando, insieme con i miei primi compagni di squadra del Club Juve a Jesi il nostro allenatore ci chiese "chi vuole andare in porta?", solo io alzai la mano. Avevo sette anni.
Il portiere, rispetto ai suoi compagni, deve avere delle caratteristiche psicologiche diverse, deve sfruttare l'errore, la sconfitta, il gol preso per migliorare. Ce ne sono tanti, di ragazzi, che smettono perché quando subiscono il gol sentono e vedono il compagno che li manda a quel paese, o l'altro che allarga le braccia o l'altro ancora che si mette le mani nei capelli. Solo chi va avanti, farà il portiere.
[«A lei è mai venuta la voglia di smettere?»] Da ragazzo mai. Da grande, invece, mi sarebbe piaciuto giocare in un altro ruolo, senza tutte quelle responsabilità. [«Perché da grande?»] Fino ai 32 anni ho sempre avuto molta fiducia nella possibilità di migliorare. [...] Ho cominciato a soffrire di ansia da prestazione quando ho capito che non era più possibile fare un passo avanti, che l'allenamento poteva servire solo a conservare quello che già sapevo. A quell'età, la tensione che avvertivo prima di ogni partita era eccessiva.
[«Come era il portiere degli anni '90?»] Da un punto di vista tecnico, per le parate, era più forte di quello di oggi. Il portiere del 2010, però, è più completo.
Una respinta passa sempre per una grande parata, mentre una palla bloccata diventa una parata facile e questo, in un calcio così spettacolarizzato, ha il suo peso, anche il portiere vuole prendere mezzo punto in più nelle pagelle dei giornali.
[Su Gianluigi Buffon] Il classico fuoriclasse che può appartenere a ogni epoca. [...] La grandezza di Gigi sta in tutta la sua carriera: si è presentato a 17 anni da portiere straordinario e lo è ancora oggi. Durante questo periodo, ci sono stati dei portieri ai suoi livelli [...], ma nessuno ha avuto la sua regolarità.
Il portiere che attacca la palla non va sempre bene. Noi aspettavamo la palla. Un po' per scherzo e un po' sul serio, dicevo sempre che il pallone deve essere tuo amico, lo devi accogliere, non respingere, non prenderlo a cazzotti.
Intervista di Federico Meuti, numero-diez.com, 4 luglio 2018.
[Sul campionato mondiale di calcio 2018] Questa Coppa del Mondo non mi sta entusiasmando. È comunque un mondiale divertente perché non vi sono risultati scontanti, però a parer mio questo non è un sintomo di buon calcio. Infatti quando le squadre che hanno molto talento e giocatori più forti delle altre rose steccano, vuol dire che c'è qualcosa che non va. Se vogliamo parlare di calcio "democratico" è un grande mondiale, ma comunque sempre quest'ultimo ci sta facendo notare un'evoluzione sempre più negativa del calcio, in quanto le squadre ben compatte dietro e con l'ausilio del contropiede riescono a prevalere su quelle che invece, attaccando gli spazi e muovendo molto il pallone, provano a creare superiorità e a scardinare le difese avversarie [...]. Non è un caso difatti che le compagini che stanno ottenendo buoni risultati siano quelle munite di un ottimo centravanti.
Mbappé [...] ha una caratteristica che nel calcio di oggi è fondamentale: la velocità, che gli permette di primeggiare ma soprattutto da il vantaggio alla propria squadra di creare alternative offensive e di spezzare da un momento all'altro le partite con le sue accelerazioni, oltre a un ottimo fiuto per il gol, costringendo di fatto gli avversari a preparare la partita in maniera diversa.
Nelle nostre grandi città [italiane] manca la formazione dei giovani di tutte quelle capacità coordinative che si creano vivendo per la strada, arrampicandosi sugli alberi, saltando le ringhiere, andando in bicicletta; si prova a surrogare tutto questo con le scuole calcio, all'interno delle quali comunque questo recupero viene fatto solo parzialmente. Questo è sicuramente un handicap che i giovani di oggi hanno, rispetto alle vecchie generazioni e a quei popoli, come quelli Sudamericani o anche in piccoli centri della nostra penisola, che fanno della strada parte integrante della loro crescita calcistica. Inoltre in questo periodo sembra molto più importante insegnare ed instillare all'interno, anche dei giocatori più giovani, la predisposizione tattica al posto della tecnica o della capacità di reagire a situazioni complicate, quanto in realtà la cosa più importante è saper giocare a pallone.