Lina Wertmüller, pseudonimo di Arcangela Felice Assunta Wertmüller von Elgg Spanol von Braueich, (1928 – 2021), regista, sceneggiatrice e scrittrice italiana.
[Su I basilischi, primo film come regista] Andando sul set di Salvatore Giuliano di Rosi, in Sicilia, decidemmo con amici di fare un giro per le cattedrali della Puglia, finimmo al confine con la Basilicata in un paesino che si chiama Palazzo San Gervaso, era quello da cui era venuto mio padre a Roma per fare l'avvocato. Non c'ero mai stata. Incontrai zii e parenti ed ebbi l'ispirazione per fare un ritratto del Sud profondo: la borghesia, lo struscio, il rapporto padri figli, ragazzi e ragazze...[1]
In questo periodo sto scrivendo alcune storie interessanti e chissà che non possa tornare a girare un film da queste parti. Adoro la Sicilia. Non vi rendete conto di stare su uno scoglio di importanza strategica: cosa c'è di meglio delle invasioni per accrescere la civiltà?[2]
Napoli è la dea della bellezza. La voglia di cantare dei napoletani deriva dalla loro natura di artisti. Perché disprezzare i mandolini che venivano suonati anche da Cimarosa e Vivaldi. Il Conservatorio S. Pietro a Maiella contiene un enorme patrimonio musicale, è un forziere inesauribile dove l'incuria e l'ignoranza hanno fatto marcire cose inestimabili. Qualsiasi paese al mondo avrebbe attinto a questo patrimonio per creare una stagione speciale d'arte. Napoli dovrebbe diventare, almeno per quattro/cinque mesi all'anno, Turistlandia, un posto cioè dove tutti potrebbero arrivare guidati dalla grande vela della musica, dell'arte e della bellezza.[3]
Per me la sconosciuta Basilicata nella quale mi apprestavo a girare il mio primo film era stata fin dall’infanzia la favolosa “Terra dei Re”, lontana, come lontani erano pure quei nonni dai roboanti nomi di mitici baroni svizzero-tedeschi. Ora scoprivo la verità: era una terra dove vivono uomini piccoli e forti come tronchi d’olivo e donne dal volto greco e con gli occhi saraceni, dentro case bianche di calce e grigie di pietre. Una terra ricca di leggende misteriose.[4]
Per Mina ho scritto il testo di Mi sei scoppiato dentro al cuore, ma come regista, ovviamente, ho pensato più di una volta a lei, perché mi piace moltissimo, soprattutto per la sua particolare caratteristica di mettere insieme il freddo e il caldo, di unire una notevole sensibilità, una bella voce, una grande abilità esteriore con questa bella faccia da medaglia, con questo aspetto statuario da bella Italia. (citato in Romy Padovano, Mina. I mille volti di una voce, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1998)
Intervista di Alessandro Chetta, Corriere della Sera / Corriere del Mezzogiorno / Cultura, 1 ottobre 2015.
Come si fa a dire che la camorra è un dato costitutivo di Napoli? Significa non conoscere la storia di questa città, vittima di continue dominazioni nei secoli. Il popolo minuto doveva difendersi da dominatori ogni volta diversi e nei suoi strati diciamo più distanti dalla Storia ha assunto atteggiamenti di un certo tipo, poi precipitati con la modernità. Ci sono, pertanto, anche tanti mascalzoni. Ma assumerlo a fatto costitutivo non si può.
Sì la amo davvero. È molto più che una città. È speciale. Una perla antica.
[...] per me non è un luogo fisico ma un posto dell’anima.
In principio era Werdmüller L’aveva vista danzare sulle punte, in tutù di candido tulle, una sera d’inverno del 1827, tra i velluti e gli ori del Teatro dell’Opera di Zurigo. Un brivido era serpeggiato, sotto il raffinato vestiario –camicia di seta e trine di Bruxelles, jabot inamidato, frac di velluto –e lungo i peli bruni che, leggeri, gli coprivano il torace. Sì! Peli bruni e forti come avevano avuto molti della famiglia fin dal Trecento –peli da pirati mediterranei –presagio di Sud. Lungo i peli del torace, dicevo, corse quel brivido, su fino al collo forte ma aristocratico, serrato nel complicato colletto da sera fiorito di pizzi. Poi il brivido era sceso lungo la linea centrale dei peli, giù verso l’ombelico e di lì verso il centro basso del suo piacere.
Citazioni
A chi, come si dice nella maleducatissima Roma, «non je po’ fregà de meno», consiglio di saltare i due seguenti episodi.
La mia grande protettrice diventò la divina Andreina Pagnani, la più grande attrice del nostro teatro, di gran lunga la più brava, e poi Sarah Ferrati, Rina Morelli e tutte le altre primedonne di quei tempi. In realtà, io avevo conquistato la simpatia di Andreina con «i giochetti», le scenette che facevamo di sera, di casa in casa, dopo lo spettacolo. Era molto bella, con i suoi straordinari occhi azzurri e con quella voce che ha incantato tutti gli italiani. Non solo a teatro, ma anche con i suoi indimenticabili doppiaggi. Tutte le prime donne dei film di Hollywood le doppiava lei. Era spiritosa e amava i giovani.
Lei [Andreina Pagnani] aveva avuto un grande amore giovanile. Come accadeva per la trama dei romanzi di Liala, si trattava di un pilota, era caduto con l'aereo, ma Andreina gli era rimasta fedele.
Andreina era stata una prediletta di Visconti, finché una certa sera, mentre preparavano Il candeliere di Alfred de Musset, ci fu un incidente. In scena c'era un velario dietro al quale si intravedevano delle ombre. Durante le prove, Visconti aveva sempre immaginato che lì dietro, attraverso quel gioco di chiaroscuri, si assistesse a una specie di spogliarello. A un certo punto, mentre Andreina saliva la scaletta che la portava dietro al velario, Visconti le disse: «Quando arrivi lassù, dietro al velario, Andreina, tu ti spogli». E lei rispose: «No». Luchino, facendo finta di non aver sentito, insistette: «Quando arrivi lì, ti spogli...». E lei, imperiale: «No!». «Tu adesso vai lì e ti spogli!» «No!» Luchino, che non accettava i capricci di un'attrice, fosse pure la grande Pagnani, ripeté: «Andreina, tu vai là e ti spogli!». «No!» Quel piccolo «no» era molto più che un «no». Luchino era il regista e quindi aveva il potere di dare ordini, ma Andreina era un'attrice di prim'ordine, amata e apprezzata da tutti. Quindi era una lotta di poteri. Non si poteva deflettere, ne andava di mezzo la dignità dei due ruoli. Fu la fine. Il sodalizio più importante del teatro italiano si infranse su quel no. Da allora cambiò tutto. Luchino abbandonò il teatro dicendo: «Chi mi ama mi segua».
Lei curava tutto, ogni dettaglio, anche i fili della corrente. Ti insegnava la grandezza e l'umilità. (Antonella Salvucci)
Lina è veramente un genio del nostro secolo: autrice, scrittrice, regista, poetessa. Una donna di un'energia e di un'originalità dirompente, politicamente scorretta, alle volte perfida e alle volte tenerissima, intelligente più di ogni altra persona che io abbia mai conosciuto. Devo tutto a Lina: sapevo poco di questo mestiere ma grazie a lei sono entrata dalla porta maestra. E, devo dire la verità, mi manca moltissimo: non ho mai più incontrato una maestra come lei. (Gabriella Pession)
Lina Wertmüller è la prima regista donna riconosciuta a livello internazionale nella storia del cinema. (Anselma Dell'Olio)
Penso [che l'Oscar ] sia un premio assolutamente dovuto e credo sia un peccato che questi grandi maestri debbano ricevere riconoscimenti del genere solo dopo tanto tempo. (Ciro Esposito)
Sfidando gli scettici, l'autrice dichiara ideale il suo matrimonio, «che non conosce crisi». Ha una stima sconfinata per il marito [lo scenografo teatrale Enrico Job], che considera il vero artista della famiglia. Dopo l'incontro con Job, i suoi film assumono quelle connotazioni visive esuberanti, sopra le righe, coloratissime, debordanti, considerate la sua firma d'autore, insieme alle tematiche che mescolano politica, amore e sesso. La regista è amata e molto contestata per i contenuti paradossali del suo cinema: l'adorazione anche per il più abietto dei maschi, le ambigue bizzarrie politico-morali e la raffigurazione mostruosa della femminilità. (Anselma Dell'Olio)