Leslie Feinberg (1949 – 2014), personalità politica, saggista e attivista statunitense.
Cara Theresa, è notte e sono sdraiata sul letto. Mi manchi, ho gli occhi gonfi e le lacrime mi scorrono calde sul viso. Fuori infuria un violento temporale estivo, con tuoni e lampi. Stasera ho camminato per le strade cercandoti nel volto di ogni donna che incrociavo, come ho fatto ogni sera di questo esilio solitario. Ho paura che non rivedrò mai più i tuoi occhi ridenti e canzonatori. (cap. 1, p. 15) [lettera]
Citazioni
- Mentre parlava, la osservavo e mi dicevo che non sono altro che un'estranea, agli occhi di questa donna. Mi guarda ma non mi vede. Alla fine ha detto che detesta questa società per ciò che ha fatto alle "donne come me", che si odiano talmente da essere spinte ad apparire e comportarsi come uomini. Ho sentito il sangue affluirmi al volto, poi con tutta calma ho cominciato a dirle che le donne come me esistevano sin dall'alba dei tempi, da prima che ci fosse l'oppressione, e che allora quelle società le rispettavano, e lei ha messo su un'espressione molto interessata - ma ormai era già ora di andare. (cap. 1, p. 15)
- Ero molto orgogliosa di non aver mai picchiato un'altra butch, in tutti quegli anni. Il fatto è che io gli volevo bene, capivo la loro sofferenza e la loro vergogna perché ero molto simile a loro. [...] A loro modo, anche loro mi volevano bene. Mi proteggevano perché sapevo che non ero una 'butch del sabato sera'. Alle butch del fine settimana facevo paura perché ero stone, una donna-uomo di pietra. Se solo avessero saputo quanto mi sentivo impotente dentro! Ma le butch più anziane, loro sì conoscevano quello che mi aspettava e avrebbero voluto risparmiarmelo perché era molto doloroso. Quando arrivavo al bar vestita da uomo, un po' curva e impacciata, loro mi dicevano: "Sii fiera di te stessa" e mi aggiustavano la cravatta, più o meno come facevi tu. Erano come me, sapevano che non avevo scelta. Per questo non ho mai fatto a pugni con loro. Ci scambiavamo pacche sulla schiena nei bar, e ci guardavamo le spalle a vicenda in fabbrica. (cap. 1, p. 17)
- Se la musica s'interrompeva perché alla porta c'erano i poliziotti, qualcuno riaccendeva il jukebox e allora ci scambiavamo i partner. Noi in giacca e cravatta facevamo coppia con le sorelle drag queen in abito femminile e scarpette. Non sembra vero, ma a quei tempi era illegale che due donne o due uomini ballassero insieme. Appena la musica finiva, le butch s'inchinavano, le partner femme facevano la riverenza e tutti tornavamo alle nostre sedie, alle nostre amanti e ai nostri drink, ad aspettare il fato che incombeva. (cap. 1, p. 18) [nel gay bar]
- Ho sempre voluto dirti questo: in quel momento, ho avuto la certezza che capivi davvero come io mi sentivo nella vita. Soffocata dalla rabbia, con un tale senso di impotenza, incapace di proteggere me stessa o quelli che amavo di più, eppure decisa a resistere, a non arrendermi. (cap. 1, p. 21)
- Pensavamo di aver vinto la guerra di liberazione quando adottammo la parola gay. E di colpo spuntarono come funghi professori, dottori e avvocati a dettarci le regole per incontrarci e parlare. Ci hanno mandate via, ci hanno fatto vergognare del nostro aspetto. Hanno detto che eravamo porci maschi sciovinisti, che eravamo il nemico. Ma erano cuori di donne quelli che hanno spezzato. Non è stato difficile mandarci via, ce ne siamo andate in silenzio. (cap. 1, p. 21)
- A ogni cambio di stagione, quando arrivava il catalogo Sears, io ero la prima a sfogliarlo e non mi perdevo una pagina. Sul catalogo, le donne e le ragazze sembravano tutte uguali, e così pure gli uomini e i ragazzi. Io non c'ero, tra quelle ragazze. E nessuna donna adulta somigliava a me. a come sarei stata io da grande. Né in televisione, né fuori per strada, esistevano donne simili alla ragazzina riflessa in quello specchio. Lo sapevo, perché le cercavo continuamente. (cap. 2, p. 32)
- La scuola di grazia e portamento mi insegnò una volta per tutte che non ero carina, non ero femminile e non sarei mai stata aggraziata. Il motto della scuola era Ogni ragazza che entra, ne esce donna. Io rappresentavo l'eccezione. (cap. 2, pp. 35-36)
- Proprio quando sembrava che le cose non potessero andar peggio, mi accorsi che mi stava crescendo il seno. Le mestruazioni non erano un problema: finché sanguinavo e lo sapevo solo io, era una cosa privata tra me e il mio corpo. Ma il seno! I ragazzi si sporgevano dai finestrini delle auto per gridarmi oscenità. Il signor Singer alla cassa della farmacia mi fissava il petto mentre pagavo le caramelle. Smisi di correre e di giocare a pallavolo perché odiavo avere male al seno mentre saltavo o correvo. Mi piaceva com'era fatto il mio corpo prima della pubertà. E pensavo, chissà perché, che non sarebbe mai cambiato, non a questo modo! (cap. 2, p. 36)
- Donne forti e massicce in giacca e cravatta, i capelli imbrillantinati all'indietro. Erano le donne più belle che avessi mai visto. Alcune di loro ballavano un lento strette a donne in vestito da sera e tacchi alti che le abbracciavano teneramente. Solo a guardarle, morivo di desiderio. Era tutto ciò che avevo sperato nella vita. (cap. 3, p. 41) [butch e femme nel gay bar]
- [Le lesbiche separatiste] "Hanno detto che le butch sono degli stronzi maschi sciovinisti!" [...] "Credo sia perché per loro donne e uomini sono due cose nettamente separate. Quindi le donne che secondo loro assomigliano agli uomini sono il nemico. E quelle che somigliano a me vanno a letto col nemico. Siamo troppo femminili per i loro gusti."
"Aspetta un attimo" la fermai "noi siamo troppo mascoline e voi troppo femminili? Cosa dovremmo fare, misurarci e stare nel mezzo preciso?"
"Le cose stanno cambiando" disse lei.
"Già" risposi. "Ma prima o poi torneranno com'erano."
"Le cose non tornano com'erano" sospirò lei "cambiano e basta." (cap. 13, pp. 167-168)
- "Quando una donna mi dice: 'se volessi un uomo starei con uno vero', io le rispondo: 'io non sto con un uomo finito sto con una vera butch.'"(cap. 13, p. 171)
- "Oggi compio ventun anni e mi sento vecchia", dissi invece.
Il sorriso di Jan era triste. "Ne hai passate tante. C'è un'età che non si calcola in anni. Sai quando tagliano un albero e contano gli anelli? Tu hai un sacco di anelli nel tuo tronco [...]". (cap. 13, p. 173)
- "[...] Nel sogno avevo la barba e il petto piatto. Ero così felice. È una parte di me che non so spiegare, capisci? [...] È una cosa vecchia dentro di me. Una cosa che riguarda il fatto di crescere diversa. Nella mia vita non ho mai voluto sentirmi diversa, nel sogno invece mi piaceva e stavo con altre persone che erano diverse come me. [...] Ma nel sogno non si trattava di essere gay ma di essere uomo o donna, capisci cosa intendo? Ho sempre pensato di dover dimostrare che sono come le altre donne, ma nel sogno non mi sentivo così. Forse non mi sentivo neanche una donna."
La luce della luna illuminava le rughe sulla fronte di Theresa. "Ti sentivi un uomo?"
"No" dissi scuotendo la testa "questa era la parte strana. Non mi sentivo né uomo né donna e mi piaceva essere una cosa diversa." (cap. 13, p. 176) [transgender]
- "Scrivimi una lettera, un giorno."<be>"Non so dove spedirla."
"Scrivila lo stesso." (cap. 13, p. 188)
- "[...] Io non mi sento un uomo intrappolato in un corpo di donna. Mi sento in trappola e basta." (cap. 14, p. 195)
- All'inizio era tutto divertente. Il mondo aveva smesso di prendersela con me. Ma molto presto scoprii che passare non significava solo non essere più notata, voleva dire essere sepolta viva. Dentro di me ero sempre io, intrappolata con tutte le mie ferite e le mie paure. Ma al di fuori non ero più io.
[...] Camminavo per Elmwood diretta alla moto. Davanti a me una donna si voltò nervosamente a guardarmi. Rallentai il passo mentre lei attraversò la strada e scappava via. Aveva paura di me. Fu allora che mi resi conto che passare da uomo cambiava quasi tutto. (cap. 15, p. 211)
- È curioso, gli uomini parlano sempre come esperti anche se possiedono solo una piccola Honda 50. Invece una donna può guidare per tutta la vita una Harley superaccessoriata e sentirsi sempre insicura nella sua competenza. (cap. 15, p. 213)
- [...] certificato di nascita, patente, tutti chiaramente al femminile. Come potevo procurarmi i documenti da uomo? [...] Senza uno straccio di documento non potevo nemmeno aprirmi un conto in banca, una carta di credito era fuori discussione. Mi sentivo una non-persona. Anche i fuorilegge probabilmente avevano più identità ufficiale di me. (cap. 15, p. 213)
- Non era giusto. Per tutta la vita mi avevano detto che tutto, di me, era perverso e malato; se ero un uomo, però, diventavo "carino". Il fatto che mi accettassero come un uomo suonava con un ulteriore condanna di me come donna-uomo. (cap. 15, p. 218)
- "Mi sento come un fantasma, Edna. Come se fossi sepolta viva. Per il mondo, sono nata il giorno in cui ho cominciato a passare. Non ho un passato, non ho amori, nessun ricordo, non ho un io. Nessuno mi vede veramente, nessuno mi parla o mi tocca. (cap. 18, pp. 255-256)
- "Pensi che io sia una donna?"
Edna si sollevò su un gomito e mi guardò: "Tu cosa pensi?" chiese dolcemente.
Sospirai "Non so. Non ci sono mai state molte altre donne al mondo in cui identificarmi. Ma una cosa è certa, non mi sento nemmeno un uomo. Non so cosa sono. È una cosa che mi fa impazzire."
[...] "Credo di non aver mai avuto una compagna butch che non si sentisse lacerata come te."
"Sì, ma per me è diverso perché sto vivendo da uomo. Non so neppure se sono ancora una butch."
Lei annuì. "È vero, per te e Rocco è dura riuscire a conciliare la vita di tutti i giorni con la fedeltà a voi stesse. Ma credimi, tesoro, non sei la sola ad avere questa sensazione di non essere né uomo né donna."
"Non mi piace non essere nessuno dei due."
Edna portò il viso vicino al mio. "Tu sei qualcosa di più che nessuno dei due. Ci sono altri modi di essere, non solo una cosa o l'altra. Non è così semplice, altrimenti non ci sarebbero così tante persone che non rientrano in queste categorie. [...]" (cap. 18, p. 261)
- Ma chi ero adesso, donna o uomo? Avevo lottato a lungo e duramente per essere considerata una donna tra le donne, ma mi ero sempre sentita esclusa perché diversa. Passare da uomo non era stato soltanto un modo di nascondermi; avevo sperato che mi permettesse di esprimere quella parte di me che non sembrava rientrare nel femminile. Così, invece di vivere a fondo la mia condizione di donna-uomo, ero semplicemente diventata un uomo senza passato.
Finché la domanda 'uomo o donna' era una domanda obbligata, finché quelle erano le due solo risposte possibili, io non potevo rispondere. (cap. 19, p. 266)
- Ricordavo quant'è penoso affrontare gli sguardi degli estranei arrabbiati, confusi, sconcertati. Donna o uomo? Sono colpevole di provocare confusione, e sarò punita. La sola cosa che vedo in me è che sono "altro", sono diversa, e lo sarò sempre. Non riuscirò mai a rifugiarmi nel conforto dell'uniformità. (cap. 19, p. 269)
- [Harlem, New York] Gli edifici si facevano sempre più alti, nascondevano il cielo. Mi inoltravo nel fitto di una foresta di case. Alcune abitate, altre abbandonate, l'unica differenza erano le finestre sbarrate da assi o da panni stesi. Bucati che sventolavano sulle scale antincendio, ogni centimetro di muro coperto di graffiti.
Nell'aria un sapore che conoscevo bene, quello della povertà. (cap. 19, p. 271)
- Era vero che la 42° strada era piena di cinema aperti tutta la notte. Con tre dollari si poteva vedere una serie di film di kung fu uno dopo l'altro. Scelsi un cinema ed entrai in un mondo di soli uomini che puzzavano di fumo stantio e di spinelli. Molti sedili erano rotti, come scoprì quando mi si è detti e finì sul pavimento appiccicoso. (cap. 20, p. 273)
- I film mi piacevano, e le trame si somigliavano tutte. Un giovane uomo si trova di fronte a un potente nemico, e deve trovare un maestro che gli insegni i segreti del kung fu, ma poi a sorpresa viene fuori che il maestro non è abbastanza potente da solo, oppure muore prima che il giovane sia pronto. Occorre sempre una combinazione particolare di abilità e intuito per sconfiggere il nemico. L'eroe è onesto, si distingue per umiltà e disciplina ed è molto rispettoso, se non addirittura casto, con la sua ragazza. (cap. 20, pp. 273-4)
- Non sapevo dove altro passare la notte se non nei cinema di kung fu. Mi sembravano molto più sicuri di un palazzo abbandonato. (cap. 20, p. 275)
- Vivere a New York non era facile. A volte avevo i nervi a brandelli, ma non ci si annoiava mai. Questo mi piaceva. A Manhattan succedeva sempre qualcosa di bello o di brutto, c'era sempre qualcosa da fare a tutte le ore del giorno della notte.
A New York praticamente in ogni angolo c'è una libreria. (cap. 21, p. 285)
- Io non avevo nessun rapporto col mio utero. Ma mi venne in mente come era sconvolta Theresa, dopo il mio arresto a Rochester, perché non riusciva a ricordare quando avevo avuto le ultime mestruazioni. Adesso capivo perché: temeva che potessi rimanere incinta. Quest'idea non mi era mai passata per la testa. Cosa avrei fatto se fossi rimasto incinta dopo uno stupro? [...] Smisi di saltare le parti sul controllo delle donne sul proprio corpo. Forse tutte queste cose che erano così importanti per le altre donne si sarebbero dimostrate importanti anche per me. (cap. 21, p. 285)
- Chissà se gli uomini sanno che le donne parlavano in maniera diversa quando sono tra loro. Magari i lavoratori neri e latinoamericani fanno lo stesso, in assenza dei bianchi. (cap. 21, p. 286)
- Il maggiordomo era una donna: scoperta dopo la morte. [...] Il necrologio riportava la morte, nel 1930, di un domestico poi scoperto essere una donna. Il corpo era stato trovato in una pensione. Il nome non era riportato. Nient'altro: nessun diario, nessun indizio. Di lei restavano soltanto quelle poche parole su una pagina. Chiusi gli occhi. Non avrei mai saputo i particolari della sua vita, eppure la conoscevo come se potessi toccarla con le mani.
Ora sapevo che un'altra donna al mondo aveva preso la stessa difficile decisione mia e di Rocco. Questo anonimo domestico era lontano da me nel tempo, Rocco nello spazio.
Il titolo era agghiacciante: una vita ridotta a nove parole. (cap. 21, pp. 288-89)
- L'ultimo obiettivo che mi ero prefissata era trovare lo Stonewall. La notizia della battaglia contro la polizia nel 1969 ci aveva colpito immensamente. Volevo chiedere un passante di farmi una foto davanti al bar. Pensavo che un giorno, dopo la mia morte, qualcuno poteva trovare la foto e capirmi un po' meglio. (cap. 21, p. 289)
- A New York la vita mi sfrecciava accanto ogni giorno, sferragliando come la metropolitana. Ricordo di un'epoca in cui il tempo scorreva più lento era già svanito. (cap. 21, p. 289)
- Dove sono le mie lacrime come mai non posso piangere quando ne sento il bisogno? sapevo che in futuro sarà più bastato il profumo dei lillà o il vibrare di un violoncello a scatenare in me le lacrime. (cap. 21, p. 291)
- La sua faccia era impressionante, in parte coperta da un grosso livido in tinta arcobaleno: giallo, rosso e blu, e i capelli erano di un rosso sfacciato. L'approdo alla femminilità non doveva essere stato facile per lei, si capiva del pomo d'adamo sporgente e dalle mani grosse, ma soprattutto dagli occhi bassi e dalla fretta con cui se ne andò non appena li rivolsi la parola. (cap. 22, p. 296) [sulla vicina di casa trans, Ruth]
- Ogni giorno in questa città vedevo altri come me, abbastanza da popolare un'altra città. Ma non ci scambiavamo che occhiate furtive, timorosi di richiamare l'attenzione. Essere soli in pubblico era già abbastanza doloroso; in due avremmo attirato ancora di più l'attenzione. Evidentemente non avevamo un posto nostro, dove riunirci in comunità, vivere il nostro modo di essere, parlare la nostra lingua. (cap. 22, p. 296)
- "So cosa vuol dire starsene in un campo nel buio assoluto sotto un miliardo di stelle, senza altro suono che la musica dei grilli e delle cicale. [...] E so com'è un fiume con la spuma bianca che corre verso le cascate, com'è verde e trasparente là dove l'acqua precipita, sembra vetro di bottiglia lavato dalla risacca." (cap. 22, p. 297)
- "Mi sono sempre piaciute le viole, ma mi mettono anche a disagio perché era così che gli altri ragazzi mi chiamavano quando ero bambina, pansy." (cap. 22, p. 299)
- Misi i fiori nell'acqua e li sistemai in mezzo al soggiorno vuoto. "Sono proprio belli, Ruth. Mi è capitato di comprare fiori per le donne, ma nessuna donna ne aveva mai regalati a me. È una cosa bellissima."
Ruth arrossì. "La gente ha bisogno di fiori." (cap. 22, p. 301)
- [...] avere troppa paura di perdere ciò che si ama vuol dire aver già perso tutto. (cap. 22, pp. 301-2)
- "Sai quando ti si addormentano le gambe, poi quando il sangue ricomincia a circolare fa male, no? Non sono sicura di voler sperare. Non voglio altre disillusioni." (cap. 22, p. 303)
- [Sui capelli rossi] "Il colore dei miei capelli dichiara pubblicamente che non mi nascondo. È un colore difficile da portare, ma lo porto per celebrare la mia vita e le mie decisioni. La maggior parte della gente reagisce con imbarazzo al colore dei miei capelli. Solo una persona particolare poteva paragonarlo a quello del sorbo selvatico."
[...] "Sai se sono un uomo o una donna?"
"No" disse Ruth. "Ecco perché so così tanto di te."
"Pensavi che fossi un uomo quando mi hai visto per la prima volta?"
"Sì. All'inizio pensavo che tu fossi un etero. Poi un gay. È stato uno shock rendermi conto che anch'io do molte cose per scontate in fatto di sesso e genere."
"Non volevo che pensassi che ero un uomo. Volevo che mi vedessi nella mia realtà, che è molto più complessa. E volevo piacerti." (cap. 22, pp. 303-4)
- "Oh Ruth. Come sarebbe bello avere delle parole nostre per descriverci, per metterci in contatto." [...]
"Io non ho bisogno di altre etichette" sospirò. "Sono solo quel che sono. Il mio nome è Ruth. Mia madre è Ruth Anne; mia nonna era Anne. Ecco chi sono. Ecco da dove vengo."
"Ma neanch'io voglio altre etichette. Vorrei solo che avessimo dei nomi così belli da volerli dire forte." (cap. 22, p. 304)
- Ma non uscivamo mai insieme, per via di quella che lei chiamava la sua teoria algebrica: due come noi in pubblico elevano il problema al quadrato. (cap. 22, pp. 304-5)
- "Quando ero bambina, credevo che da grande avrei fatto qualcosa di molto importante, tipo esplorare l'universo o curare le malattie. Non pensavo di dover spendere tante energie vitali e litigare su che toilette devo usare."
"Be', io ho visto gente rischiare la vita per il diritto di sedersi al banco di una tavola calda. Se non combattiamo noi per il diritto di vivere, dovranno farlo i giovani dopo di noi." (cap. 22, p. 305)
- "Tu sei il mio piacere, Ruth. Tu sei l'ultima coca-cola ghiacciata nel deserto." (cap. 22, p. 305)
- Mi toccai i muscoli che mi gonfiavano le spalle, il petto e le braccia. Improvvisamente, tutte quelle lunghe ore passate in palestra mi parvero la prova della mia volontà di vivere. Avevo fatto un regalo a me stessa: i muscoli mi ricordavano che avevo ancora un corpo, un io. (cap. 23, p. 317)
- "[...] Ma non capisco se hai dipinto l'alba o il crepuscolo."
Lei sorrise al soffitto. "Né l'uno né l'altra, oppure tutti e due. Ti mette a disagio?"
"In un certo senso sì" dissi lentamente.
"Me lo immaginavo" disse. "È il luogo dentro di me che devo accettare. Pensavo che forse anche tu hai bisogno di rifletterci."
"Davvero, per me è un problema non capire se hai dipinto il giorno che nasce o il giorno che se ne va."
Ruth si girò verso di me e mi posò una mano sul petto. "Non è il giorno che nasce o che muore, Jess. Sarà sempre quel momento di infinite possibilità che li collega entrambi." (cap. 24, pp. 321-322)
- "[...] Se devo essere sincera, stare con qualcuno che non è chiaramente giorno o notte mi spaventa. Credo che stare con le femme per me fosse anche un modo di ancorarmi, di sentirmi vicina alla normalità." [...] "All'inizio ero l'alba" dissi con un sorriso triste "e alla fine il crepuscolo." (cap. 24, p. 322)
- "Desiderio" ripetei. "Che bella parola detta a voce alta da una butch!" (cap. 24, p. 328)
- Il mondo è la nostra toilette! Questo fu il nostro motto durante il viaggio verso nord. Ci eravamo portate un sacco di carta igienica così da non rischiare di dover cercare un gabinetto. (cap. 25, p. 330)
- "Sono proprio contenta di non aver fatto quegli ormoni" annunciò Grant.
morsi forte la cannuccia di plastica della mia bibita. "E perché, Grant?" le chiesi, sulla difensiva.
"Be', adesso sei incastrata, no? Cioè non sei né una butch né un uomo. Ma sembri un uomo." [...]
"Stai attenta, Grant" la avvertii. "Stai guardando il tuo riflesso." (cap. 25, p. 336)
- [...] ecco cos'è il coraggio. Non è solo sopravvivere all'incubo, ma farne qualcosa, dopo. Essere abbastanza coraggiosi da parlarne ad altri. Cercare di organizzarsi per cambiare le cose.
E improvvisamente fui così nauseata dal mio silenzio che sentii il bisogno di parlare anch'io. (cap. 26, p. 352)
- Nella notte feci questo sogno:
Attraversavo un vasto campo. Ai bordi, uomini, donne e bambini mi guardavano sorridendo. Andavo verso una piccola capanna rotonda sul limitare del bosco. Avevo la sensazione di essere già stata in questo posto. Dentro c'erano persone che erano diverse come me. Sedevamo in cerchio e ci rispecchiavamo gli uni negli occhi degli altri. Mi guardavo intorno e non avrei saputo dire chi era donna e chi uomo. Sulle loro facce splendeva una bellezza diversa da quella reclamizzata in televisione e sulle riviste. È una bellezza con cui non si nasce, ma che ci si conquista a prezzo di lotta e sacrificio. Ero orgogliosa di sedere tra loro, di essere una di loro. [...] Sentii che la mia vita si componeva in un cerchio perfetto. Essere cresciuta così diversa, scoprirmi butch, passare da uomo per poi ritornare alla stessa domanda che aveva dato forma alla mia vita: donna o uomo? (cap. 26, p. 357)
Se potessi mandare un messaggio indietro nel tempo alla giovane butch seduta su una cassetta del latte, le direi: Recentemente la mia vicina di casa, Ruth, mi ha chiesto se, potendo ricominciare da capo la mia vita, prenderei le stesse decisioni. "Sì" ho risposto senza ombra di dubbio "sì." Mi dispiace che sia stata così dura. Ma se non avessi fatto questa strada, chi sarei adesso?
In quel momento mi sentivo al centro della mia vita, con il sogno che ancora profumava di dolcezza nel ricordo.
Ripensai alla sfida di Duffy. Immagina un mondo dove valga la pena vivere, e chiediti se non vale la pena di lottare per costruirlo. Chiusi gli occhi e lasciai che le mie speranze volassero in alto.
Sentii un battito d'ali. Aprii gli occhi. Su un tetto vicino, un giovane liberava i suoi piccioni, come sogni, nell'alba. (cap. 26, p. 358) [explicit]
Citazioni su Stone Butch Blues
- Se avete trovato Stone Butch Blues in una libreria o in una biblioteca, in che settore era? narrativa lesbica? studi di genere? Come il romanzo germinale Il Pozzo della Solitudine di Radclyffe/John Hall, questo è un romanzo lesbico e al tempo stesso transgender, nonché trans-genere dal punto di vista letterario.
"È fiction o è successo davvero?" mi chiedono spesso. Oh, certo che è vero. Così vero che sanguina. E allo stesso tempo è una ricostruzione: mai sottovalutare il potere della fiction di dire la verità. (Leslie Feinberg, Postfazione, p. 359)
- Leslie Feinberg, Stone Butch Blues, traduzione a cura di Margherita Giacobino e Davide Tolu, Il Dito e La Luna, 2004. ISBN 88-86633-30-0