fumettista giapponese Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Keiko Ichiguchi (1966 – vivente), fumettista e scrittrice giapponese
["Come è stato (l'impatto con l'Italia), una volta che ti sei decisa a venire per viverci?"] All'inizio sono arrivata a Bologna. Solo io e la valigia. A 28 anni mi sentivo molto sperduta. Studiavo molto per migliorare l'italiano in modo da trovare un impiego come interprete e mi sentivo molto sola e triste. Dopo un anno davvero difficile ho poi conosciuto i kappa Boys che mi proposero di lavorare con loro a un volume della Star Comics, "Oltre la porta", ed iniziò quindi un nuovo periodo di soddisfazioni e divertimento per me.[fonte 1]
Da piccola ho letto una storia tipica di shojo manga ambientata nell'antico Egitto. Era una storia immaginaria, ma mi ha affascinata tanto, al punto che ho cominciato a leggere i libri veri sull'antico Egitto. I fumetti possono essere la porta d'entrata di qualsiasi mondo nuovo perché sono più facili da seguire grazie ai disegni.[fonte 2]
Diventare una fumettista è stato un puro sogno per me. Crescendo mi rendevo conto sempre di più di quanto è difficile questo mestiere. Perciò fino ai 21 anni fare i fumetti era solo un hobby anche se lo facevo con tanto impegno. Nell'ultimo anno dell'università, prima di cominciare a cercare un lavoro, ho deciso di partecipare a un concorso di fumetti per vedere se c'era una possibilità di continuare a coltivare questo sogno. Se non avessi vinto un premio avrei lavorato in una ditta di abbigliamento che mi offriva un posto rinunciando completamente ai fumetti.[fonte 3]
[Sulla sceneggiatura de La promessa dei ciliegi] Ho scritto tutta la sceneggiatura in italiano. Pensavo che avrebbe facilitato la traduzione in francese. Secondo me non è facile tradurre esattamente dal giapponese verso le altre lingue, soprattutto le sfumature dei dialoghi. (Dalle note dell'autrice in coda a La promessa dei ciliegi, p. 124)
I libri sul Giappone li ho scritti prima di tutto perché verso la metà degli anni '90 c'erano poche e distorte informazioni a riguardo. Internet e gli smartphone ancora non esistevano e quindi sentivo tante cose strane sul Giappone, molti stereotipi e luoghi comuni che non corrispondono alla realtà. Allora ho voluto scrivere qualcosa da parte mia per sfatare qualche leggenda metropolitana e qualche falso mito.[fonte 4]
[Parla di come ha ideato e sviluppato La promessa dei ciliegi] Il mio redattore belga mi ha chiesto se potevo realizzare una storia più intima e personale. Così ho cominciato a pensare ad una storia ispirata alla mia infanzia; ero assai malaticcia, mi piaceva tanto la mia maestra, la strada per la scuola elementare sotto i fiori di ciliegio che fiorivano ogni primavera. Pensavo di raccontare su una vaga paura verso la morte che cova una bambina che poi si libera da quella paura grazie alla sua maestra. Ma mentre scrivevo il soggetto, è successo quel terremoto in Giappone. Ovviamente sono stata trascinata emotivamente dall'avvenimento. Se non fosse successo quel terremoto, la storia sarebbe stata ispirata principalmente dai miei ricordi. Quindi la storia è composta da due parti, quella dell'infanzia della protagonista e quella dopo il terremoto. [...] Non è una storia biografica nel senso vero, ma molto simile. Posso dire che è molto più vicina ad una confessione emotiva. Perciò è un po' imbarazzante per me rileggerla...[fonte 2]
Io lascio completamente ai lettori come interpretare la mia storia. Una storia conclusa e passata nelle mani di lettori, in un certo senso, non è più mia. Ma se hai sentito qualcosa di positivo dal mio racconto [La promessa dei ciliegi] nonostante il suo soggetto assai pesante, mi fa piacere.[fonte 2]
["Vivere qui (in Italia) ha influenzato il tuo metodo di lavoro?"] Mi sono rallentata molto. Cerco di fare possibilmente quello che mi convince e quello che mi piace. Vivendo in Italia ho imparato anche che progettare il futuro fino ai minimi dettagli spesso non ha senso... Cerco di fare quello che posso raccogliendo le occasioni davanti a me.[fonte 3]
["Oggi come vedi il mondo anime/manga rispetto ai tempi in cui eri bambina?"] Rispetto al passato noto una grande differenza. Prima c'erano manga con disegni bellissimi mentre la loro controparte animata era piuttosto al risparmio, oggi invece noto il contrario: manga il cui disegno non è il massimo mentre la serie animata, complice forse un budget alto, risulta spettacolare come recentemente per L'attacco dei giganti.[fonte 1]
Sin dall'inizio non sono stata d'accordo con questa distinzione tra fumetto e manga. Manga significa semplicemente fumetto e i fumetti rimangono pur sempre tali, sia che essi siano disegnati da italiani che da giapponesi. Quindi io non comprendo molto questa discussione sulla differenza tra manga e fumetti perché per me si tratta della stessa cosa.[fonte 4]
["Una volta usavi lo pseudonimo Sakisaka Keiko invece del tuo vero cognome, Ichiguchi. Puoi spiegarcene il motivo?"] Usavo uno pseudonimo perché quando ho cominciato a lavorare in Giappone i miei mi dissero che avrebbero provato molto imbarazzo se il nostro cognome fosse apparso così, sulle pubblicazioni. Ma questo capita praticamente a tutti gli autori del mio paese. Alle famiglie non piace "apparire", per cui è un'usanza molto diffusa nel campo del manga. Ma la vera ragione, il motivo per cui io stessa ho deciso di usare lo pseudonimo Sakisaka, è che in Giappone lavoravo, in un certo senso, sotto il controllo dei redattori, quindi a volte i fumetti che realizzavo non li sentivo veramente "miei". Al contrario, quando ho cominciato a realizzare storie interamente volute da me, in Italia, ho deciso di usare il mio vero cognome, Ichiguchi.[fonte 5]
["Come è stato l'impatto concreto con la vita italiana quando ti sei trasferita qui?] Voi dite abbastanza chiaramente quello che pensate. [...] Dipende dalla persona, naturalmente. I Giapponesi non sono per niente bravi a esprimere se stessi con le parole. Quasi tutti i Giapponesi potrebbero avere problemi. Invece ci sono dei giapponesi che non stavano bene in Giappone perché dicevano troppe cose e qua in Italia si trovano benissimo.[fonte 6]
Ogni anno, i ciliegi fioriscono... Nonostante i nostri problemi, la nostra tristezza, il dolore... i fiori di ciliegio mi sembrano sempre così incredibilmente belli... Non durano che pochi giorni, ma vanno via con la promessa di tornare ogni anno... Fioriscono e svaniscono, ancora e ancora... come il fluire della nostra vita, la nostra vita così effimera... Siamo nati in questo mondo e un giorno ce ne andremo... ma altre vite verranno dopo le nostre... (Itsuko, voce narrante)
Citazioni
Angelo[Dopo che Itsuko dice di voler rientrare in Giappone]: Non sono d'accordo. Non vedo perché tu debba tornarci proprio adesso. Itsuko: Fioriranno i ciliegi... Angelo: Possiamo andare a vederli l'anno prossimo. Itsuko[arrabbiata]: Come puoi esserne sicuro? [seguono i pensieri di Itsuko] Potrebbe essere troppo tardi... Anche nella zona devastata dallo tsunami la gente aspettava la fioritura dei ciliegi... come ogni anno... ma chi può dire se ci saremo ancora la prossima primavera? (pp. 77-78)
Forse conosco la ragione di quelle lacrime... L'idea di perdere per sempre il bel paese dei nostri ricordi... qualcosa è cambiato definitivamente in Giappone, nel cuore dei giapponesi... Forse ci siamo ricordati che la felicità ci scivola via facilmente dalle mani e la bellezza sparisce in un istante... tutto quello che abbiamo può sparire come se non fosse mai esistito. Siamo così disperatamente effimeri. [...] Eppure le stagioni tornano e i fiori sbocciano di nuovo. (Itsuko, vedendo delle donne giapponesi che si commuovono) (pp. 98-100)
Itsuko: Sembra di andare in un paese in piena guerra civile. Angelo: Ma no... Andiamo in un paese coperto di fiori di ciliegio, no? (p. 101)
Siamo così disperatamente effimeri. Eppure non possiamo fare a meno di farci una promessa, senza sapere come sarà il nostro domani. Le stagioni si susseguono e i fiori sbocciano ancora una volta. Muoiono ma tornano sempre a schiudersi. È la nostra promessa. (Itsuko, voce narrante)
Quando un giapponese si lamenta, non significa che è arrabbiato, semplicemente è insoddisfatto. E quando alza la voce — che è una cosa rarissima — è veramente arrabbiato, oppure si tratta di un giapponese veramente indisciplinato. Quando invece i giapponesi appaiono estremamente calmi, con una faccia priva di espressione (come una maschera del Teatro Nō[1]), significa che sono letteralmente furibondi, cioè talmente "incazzati" che sono arrivati a disprezzare la persona con cui stanno discutendo, tanto da non voler più nemmeno rivolgergli la parola. In quest'ultimo caso, la testa di un giapponese è piena stracolma di terribili parolacce... che non esistono nemmeno nel vocabolario! (p. 25)
Dicono che i giapponesi dimentichino subito le cose: la moda, gli errori, i successi, le cose tristi... Significa che siamo capaci di adattarci a ogni situazione e andare avanti. (p. 86)
Si dice sempre che i bambini sono come angeli, puri e innocenti: be', io non sono molto d'accordo. I bambini piccoli, considerati innocui, possono essere addirittura spietati e crudeli, proprio perché l'"innocenza" (o inesperienza) non permette loro di rendersi conto se stanno facendo male al prossimo. È in questi casi che gli adulti diventano necessari, per insegnare ai bambini cosa è giusto e cosa è sbagliato. (pp. 86-87)
Che cosa stava succedendo in Giappone nella seconda metà degli anni Ottanta, quando esplose il fenomeno del bullismo? [...] In ambito scolastico, la cosa che mi viene in mente è il diffondersi del concetto di educazione yutori, ovvero un metodo educativo tendente non al nozionismo bensì allo sviluppo delle capacità individuali. [...] Nel 2002 i ragazzi hanno cominciato ad andare a scuola solo cinque giorni a settimana [...] e nel 2006, per esempio, c'è stato un caso in cui un bambino di quarta elementare ha molestato sessualmente una sua compagna di classe. Questo bambino ha confessato che aveva preso spunto da un video pornografico trovato in casa. In Giappone c'è un proverbio: "Il bambino è il padre dell'uomo". Secondo me la violenza e il sesso sono due desideri molto primitivi che possono catturare facilmente la mente dei bambini. Allora non sarà meglio occupare di più il tempo della loro infanzia dandogli tante cose da fare per proteggerli da un istinto così selvaggio? (pp. 115-116)
Le torte di Natale, soprattutto quelle fresche, devono essere vendute subito prima della festività stessa. Quindi il 24 dicembre c'è il picco di vendite. Il giorno dopo, il 25, le vendite calano un po'. E il 26 inizia una vera svendita: se non riescono a darle via, vanno a male e devono essere buttate. [...] Non so chi ha cominciato a parlare di "Sindrome della torta di Natale". [...] A un certo punto qualcuno ha cominciato a paragonare la donna alla torta di Natale. La donna di 24 anni è la più "vendibile". Anche quella di 25 anni si vende bene. Ma dopo i 26 anni può trovare qualcuno che la prende solo a prezzo molto scontato. Ecco, questa è la "sindrome della torta di Natale". È assolutamente discriminatoria nei confronti delle donne. (p. 168)
Una volta le attrici nascondevano i loro anni, e una volta invecchiate non volevano farsi più vedere. Ma oggi si vantano di quanto si siano mantenute bene senza ricorrere a operazioni chirurgiche e di essere invecchiate, anzi maturate, mostrando un fascino adeguato all'età. Questo atteggiamento affascina e incoraggia le donne comuni. (p. 170)
[Dopo aver raccontato la complessa organizzazione del funerale della nonna] Vi sembra tremendo organizzare un funerale così complicato con regole tanto dettagliate? Oggi il funerale sta diventando sempre più semplice. Però secondo me i riti complicati ci aiutano a non farci cadere nella tristezza. È duro separarci immediatamente da una persona cara. Forse per questo la salutiamo lentamente. (p. 189)
Quand'ero piccola, le mie scarse nozioni riguardanti la ricorrenza del Natale mi portavano a credere che in quell'occasione si celebrasse semplicemente il compleanno di qualche personaggio religioso importante. Il fatto che il mio compleanno sia subito prima di Natale, però, mi faceva apparire tutto il resto in secondo piano. Il problema era che non si trovava quasi mai una torta di compleanno, perché tutte le vetrine delle pasticcerie erano dedicate unicamente al Natale. La volta che andai a cercarla insieme alla mamma, la commessa ci disse che le torte di compleanno non venivano preparate in quel periodo. [...] E così quell'anno festeggiai il mio compleanno senza torta. E magari me la presi pure con "quel tizio straniero" il cui compleanno era più importante del mio. (pp. 232-233)
Visitare un posto sconosciuto è come camminare segnando i punti positivi e quelli negativi di quei luoghi. Ogni volta che il cuore del viaggiatore viene scosso lui segna un punto. Quindi se i punti positivi sono più di quelli negativi, il viaggiatore ritorna ancora... (p. 239)
↑ Teatro popolare giapponese del XIV secolo, le cui opere sono rivolte a un pubblico colto. Per approfondire vedi la voce corrispondente su Wikipedia.
Keiko Ichiguchi, La promessa dei ciliegi, traduzione dal francese a cura di Accademia Europea di Manga, Euromanga Edizioni, Capannoli (PI), ottobre 2014, ISBN 978-88-6505-014-9
Keiko Ichiguchi, Non ci sono più i giapponesi di una volta, Kappalab, Ferrara, ottobre 2013, ISBN 978-88-98002-52-8