scrittore statunitense Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Jeffrey Kent Eugenides (1960 – vivente), scrittore statunitense di origine greca.
Guardiamo i libri, per cominciare. C'erano i romanzi di Edith Wharton, allineati sullo scaffale non in ordine alfabetico per titolo ma per anno di pubblicazione; c'era l'opera completa di Henry James della Modern Library, regalo del padre per il suo ventunesimo pompleanno; c'erano i testi con le orecchie alle pagine usati per gli esami, molto Dickens, un assaggio di Trollope, dosi generose di Jane Austen e George Eliot e delle formidabili Brontë. Un buon numero di tascabili New Directions con le copertine bianche e nere, soprattutto poetesse come H.D. o Denise Levertov. I romanzi di Colette letti di nascosto. La prima edizione di Coppie, appartenuta a sua madre, che Madeleine aveva sfogliato clandestinamente in prima media e ora aveva utilizzato come supporto testuale per la sua tesi di laurea sulla trama del matrimonio. C'era, insomma, questa biblioteca di medie dimensioni ma ancora trasportabile che riuniva quasi tutte le letture di quattro anni di college, una raccolta di volumi apparentemente casuale che a poco a poco trovava un senso, come uno di quei complicati test della personalità che non ti permettevano di barare prevedendo le implicazioni delle domande, e dove ti smarrivi al punto che l'unica soluzione era rispondere la verità. E poi aspettavi, sperando che il responso fosse "Artista" o "Passionale", pensando di poter sopportare "Sensibile" mentre in segreto temevi "Narcisista" e "Casalinga", per ottenere infine un risultato a doppio taglio che ti faceva sentire diversa a seconda del giorno, dell'ora o del ragazzo con cui stavi: "Inguaribile Romantica".
La mattina che si uccise anche l'ultima figlia dei Lisbon (stavolta toccava a Mary: sonniferi, come Therese) i due infermieri del pronto soccorso entrarono in casa sapendo con esattezza dove si trovavano il cassetto dei coltelli, il forno a gas e la trave del seminterrato a cui si poteva annodare una corda. Scesero dall'ambulanza, con quella che come al solito ci sembrò una lentezza esasperante, e il più grasso disse sottovoce: "Mica siamo in tivù, gente: più presto di così non si può". Stava spingendo a fatica le apparecchiature per la rianimazione accanto ai cespugli cresciuti a dismisura, sul prato incolto che tredici mesi prima, all'inizio di quella brutta storia, era perfettamente curato.
Citazioni
Citazioni sulle sorelle Lisbon
Cecilia si diresse verso la scala. Si muoveva senza alzare lo sguardo dal pavimento, immersa in una dimensione di oblio tutta sua, gli occhi color girasole fissi su ciò che le amareggiava la vita, ciò che non avremmo mai compreso.
Ci venne l'idea che lei [Karafilis] e le ragazze leggevano segnali occulti di infelicità nei bianchi di nuvole, che malgrado la differenza di età fra loro, si fosse instaurata una comunicazione atemporale, come se la vecchia signora le ammonisse nel suo greco biascicato: "La vita è una perdita di tempo".
Vergine suicida | Lei grida qualcosa | a chi servirà | questa corsa | all'olocausto? | Mi ha dato la sua verginità | è la mia vergine suicida.
Stavamo lì con il naso in aria a contemplare Bonnie, a fissare quelle gambe lunghe ed esili nelle calze bianche della cresima, e fummo sopraffatti da una vergogna che non ci ha più abbandonati. I medici consultati in seguito attribuirono quella reazione allo shock, ma era piuttosto un senso di colpa per aver prestato attenzione all'ultimo momento e troppo tardi, quasi che Bonnie stesse mormorando, oltre al segreto della propria morte, quello della propria vita, della vita di tutte loro.
Mentre sollevava tappeti e buttava asciugamani, liberava a ondate gli odori della casa, e molta gente si convinse che quella mascherina non serviva a proteggerlo dalla polvere, bensì a difenderlo dalle esalazioni delle sorelle Lisbon ancora vive nella biancheria da letto e nei tendaggi, nella tappezzeria che si scollava dalle pareti, nelle chiazze della moquette conservata come nuova sotto cassettoni e comodini.
Le sorelle Lisbon divennero il simbolo dei mali della nazione, della sofferenza inflitta persino ai cittadini più innocenti.
In definitiva, il tormento che aveva dilaniato le sorelle Lisbon metteva in luce un puro e semplice rifiuto razionale di accettare il mondo così come era stato loro tramandato, con tutte le sue pecche.
Per la maggior parte della gente il suicidio è come la roulette russa. C'è una sola pallottola nel tamburo. Invece la pistola delle sorelle Lisbon era carica. Una pallottola per l'oppressione dell'ambiente familiare. Una per la predisposizione genetica. Una per l'inquietudine legata al contesto storico. Una per l'impeto del momento. Dare un nome alle altre due pallottole è impossibile, ma ciò non significa che non ci fossero.
L'essenza di quei suicidi non era la tristezza, non era il mistero, ma un puro e semplice egocentrismo.
Le ragazze si erano arrogate decisioni che spettavano a Dio. Erano diventate troppo potenti per vivere fra noi, troppo preoccupate di se stesse, troppo visionarie, troppo cieche.
Ciò che perdurava dopo il loro passaggio non era la vita, che ha sempre la meglio sulla morte naturale, ma una lista quanto mai banale di eventi terreni: il ticchettio di un orologio a muro, la penombra di una stanza a mezzogiorno e l'oltraggio di una creatura che pensa soltanto a se stessa.
Il cervello che si appanna per tutto il resto, ma arde in nuclei di sofferenza, di ferite personali, di sogni perduti. Ogni figura cara sembra allontanarsi sullo sfondo di una vasto bianco di ghiaccio galleggiante, un puntolino nero che agita braccia minuscole, inudibile. E allora ecco la corda passata intorno alla trave, la pillola lasciata cadere nel palmo della mano, sulla linea lunga e bugiarda della vita, ecco la finestra spalancata, il forno acceso e via dicendo.
Citazioni sui genitori
Nella nostra mente conserviamo l'immagine della signora Lisbon che si gira verso la strada e mostra il suo viso come non aveva mai fatto, a quelli di noi inginocchiati dietro le finestre delle sale da pranzo, a quelli che sbirciavano attraverso le tende di mussola, a quelli che sudavano nella soffitta di Pitzenberger, e agli altri che la guardavano protetti dal cofano di un'auto, dalle tinozze usate come prima, seconda e terza base, dai barbecue, o sospesi all'apice dell'arco di un'altalena – lei si voltò, inviò quello sguardo azzurro in tutte le direzioni, lo stesso sguardo colorato che era stato delle ragazze, gelido, spettrale, impenetrabile; poi ci diede le spalle e seguì il marito in casa.
Citazioni riguardo il contesto sociale
Il sole calava nella foschia di fabbriche lontane, e nelle casupole adiacenti i vetri riflettevano qua e là il bagliore crudo di quel tramonto inquinato.
Quell'artista stanco che è il mondo ci offre un'altra stagione sottotono.
Cartoline incollate con il nastro adesivo servivano da finestre aperte su un altro tempo e un altro spazio, quelli in cui la vecchia Karafilis si ostinava a vivere.
Ciò che la mia yia yia non ha mai compreso dell'America è perché tutti fingano di essere felici sempre e comunque.
In quella casa si respirava l'atmosfera di una soffitta, un deposito di vecchie cianfrusaglie che si ammucchiano creando accoppiate rivoluzionarie: il tostapane nella gabbia dell'uccellino, un paio di scarpette da ballo che fanno capolino da un cesto di vimini.
Si aveva la sensazione che la casa avrebbe eruttato detriti per l'eternità, un diluvio di pantofole spaiate e di indumenti appesi alle grucce come tanti spaventapasseri.
I frutti del capitalismo sono il benessere materiale e la bancarotta spirituale.
Nel cuore del nostro paese c'era un nucleo malsano che aveva infettato le ragazze. I nostri genitori lo collegavano alla musica che ascoltavamo, al fatto che non credevamo in Dio o a un permessivismo in materia di sesso di cui non avevamo neanche mai approfittato.
Il puzzo offensivo di pantano mal si accordava con le dimore pretenziose dei magnati dell'auto, con i verdi campi sopraelevati del minitennis e con i padiglioni sfavillanti delle feste dei diplomi.
Ci si avvide di quanto fosse prosaico e monotono quel sobborgo, disposto su un reticolo di una piattezza ispida che fino ad allora era stata occultata dagli alberi; e la vecchia astuzia degli stili architettonici differenziati perdette il potere di farci sentire unici.
Con il passare del tempo la gente scordò i motivi personali che potevano averle indotte a quel gesto, le reazioni psicogene, i neurotrasmettitori carenti, per attribuire la loro morte alla capacità di prevedere la rovina. La gente ravvisava quella chiaroveggenza nello sterminio degli olmi, nella luce inclemente del sole, nel declino ininterrotto della nostra industria automobilistica.
Spariti anche gli olmi, restavano soltanto i loro miseri sostituti. E noi.
Non riuscivamo ad immaginare il vuoto interiore di un essere umano che si accostava un rasoio al polso e si apriva le vene: il vuoto e la calma. E abbiamo dovuto imbrattarci il muso nelle loro ultime tracce, orme fangose sul pavimento, bauli calciati via, respirare per sempre l'aria delle stanze dove si sono uccise. In fondo non contava quanti anni avessero, o che fossero ragazze, ma solo il fatto che le avevamo amate e che loro non avevano udito il nostro richiamo; non ci odono neanche adesso che siamo quassù, nella casa sull'albero, con i capelli radi e un po' di pancia, e le chiamiamo perché escano dalle stanze in cui sono entrate per trovare la solitudine eterna, la solitudine del suicidio, che è più profondo della morte, le stanze dove non troveremo mai i pezzi per rimetterle insieme.
Sono nato due volte: bambina, la prima, un giorno di gennaio del 1960 in una Detroit straordinariamente priva di smog, e maschio adolescente, la seconda, nell'agosto del 1974, al pronto soccorso di Petoskey, nel Michigan.[1]
Citazioni
"Perché sei scappato di casa, tesoro?" "Dovevo farlo." "Non credi che sarebbe stato più semplice restare com'eri?" Alzai la testa e la guardai negli occhi: "Io sono sempre stato così".
Stanca e affranta, non aveva l'energia necessaria per affrontare un simile evento. Non era possibile che io vivessi come una persona di sesso maschile. Secondo lei non toccava a me decidere. Mi aveva messo al mondo, mi aveva nutrito e cresciuto. Mi aveva conosciuto prima che io conoscessi me stesso e nessuno l'aveva interpellata sul mio cambiamento. La vita era cominciata in un modo e all'improvviso aveva preso una svolta ed era diventata qualcosa di diverso. Tessie non capiva come fosse successo.
...un peso schiacciante. Così fanno uomini e ragazzi per annunciare le loro intenzioni: ti calano addosso come il coperchio di un sarcofago. E lo chiamano amore.
↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
Jeffrey Eugenides, Le vergini suicide (The Virgin Suicides), traduzione di Cristina Stella, Arnoldo Mondadori Editore S.p.A., Milano, 1994.
Jeffrey Eugenides, Middlesex, traduzione di Katia Bagnoli, Mondadori, 2003.
Eugenides, Jeffrey, La trama del matrimonio: romanzo; traduzione di Katia Bagnoli, Collezione "Scrittori italiani e stranieri", Milano: Mondadori, 2011, 478 p. ISBN 978-88-04-61358-9