Il labirinto del fauno, romanzo scritto da Cornelia Funke e Guillermo del Toro del 2019.
Si narra che tanto, tanto tempo fa, in un Regno Sotterraneo dove la bugia e il dolore non hanno significato, vivesse una principessa che sognava il mondo degli umani. La principessa Moanna sognava un cielo di un limpido azzurro e un mare infinito di nubi; sognava il sole e l'erba e il sapore della pioggia... Così, un giorno, fuggì dai suoi guardiani e venne nel nostro mondo. Ben presto il sole cancellò tutti i suoi ricordi e lei dimenticò chi fosse e da dove provenisse. Vagò sulla terra, patendo il freddo, la malattia e il dolore. Alla fine morì.
Suo padre, il re, non smise mai di cercarla. Sapeva infatti che l'anima di Moanna era immortale e sperava che un giorno potesse tornare da lui.
In un altro corpo, in un'altra epoca. Forse in un altro luogo.
Avrebbe aspettato.
Fino all'ultimo respiro.
Fino alla fine del tempo.
- C'era una volta una foresta nel Nord della Spagna, così antica che poteva narrare storie da un tempo passate e dimenticate dagli uomini. Le radici degli alberi affondavano tanto in profondità nel terreno ricoperto di muschio da intrecciarsi con le ossa dei defunti, e i loro rami si protendevano verso le stelle.
Quante cose perdute, mormoravano le foglie, mentre tre automobili nere percorrevano la strada sterrata che attraversava felci e muschio.
Ma tutte le cose perdute possono essere ritrovate, bisbigliavano gli alberi. (p. 9)
- Gli esseri umani facevano domande su tutto, ma di solito non erano bravi neppure la metà a trovare le risposte. (p. 62)
- Per quanto possiamo desiderarla, la vera magia è qualcosa di agghiacciante. (p. 68)
- Gli uomini erano creature così vulnerabili, senza pelliccia né squame a proteggere le loro morbide carni. Così Vidal applicava con dedizione ogni mattina per trasformarsi in una bestia più pericolosa. (pp. 71-72)
- Ecco a cosa servivano i coltelli per le donne: a tagliare il cibo destinato agli uomini che usavano i loro coltelli per uccidere... uccidere i mariti, i figli e le figlie di quelle donne. (pp. 84-85)
- «Mia madre diceva di non fidarmi dei Fauni. A volte sono buoni, altre volte no...» (Mercedes, p. 88)
- [Sulla guerra civile spagnola] «Scelgo di essere qui perché voglio che mio figlio nasca in una Spagna nuova, pulita. I nostri nemici [...] credono erroneamente che siamo stati creati tutti uguali. Invece c'è una grande differenza: loro hanno perso questa guerra. Noi l'abbiamo vinta. E se fosse necessario ucciderli a uno a uno per farglielo capire, è ciò che faremo. A uno a uno.» (Capitano Vidal, pp. 119-120)
- Nell'esperienza di Ferreiro il balbettio era sintomo di una pelle troppo sottile per tenere a bada l'oscurità del mondo. (p. 165)
- A volte persino chi guarisce viene trasformato in un macellaio dalla tenebra di questo mondo. (p. 168)
- «L'America, la Russia, l'Inghilterra... ci aiuteranno. [...] Una volta vinta la Grande Guerra contro i fascisti tedeschi, ci aiuteranno a sconfiggerli qui in Spagna. Franco appoggiava Hitler, ma noi appoggiamo gli Alleati. Molti di noi sono morti sostenendo la resistenza; abbiamo sabotato le miniere di tungsteno in Galizia, che servivano ai tedeschi per continuare a produrre armi e... crede che gli Alleati lo dimenticheranno?» (Pedro, p. 186)
- Da giovani ci sentiamo immortali. O forse è solo che ancora non ci curiamo così tanto della morte? (p. 187)
- La morte è un'amante da temere ed esisteva un modo soltanto per superare tale paura: diventando il suo giustiziere. (p. 198)
- Interrogare un prigioniero era un processo elaborato. Somigliava a una danza, un passo indietro lento, poi uno avanti veloce, e di nuovo indietro. Lento, veloce, lento. (p. 219)
- Le biblioteche non custodiscono i segreti: li rivelano. (p. 230)
- Il Fauno non credeva ai libri. Era molto più vecchio del più antico manoscritto nella biblioteca della regina e poteva legittimamente affermare di sapere molte più cose sul mondo di tutte le pagine ingiallite. (p. 230)
- I bambini si accorgono di certe cose, perché tutto ciò che fanno è osservare, e nascondersi dalle tempeste create dagli adulti. Le tempeste e gli inverni. (p. 245)
- C'è una foresta in Galizia così antica che alcuni alberi ricordano l'epoca in cui gli animali avevano forma umana e gli uomini avevano ali e pelliccia. Alcuni umani, mormorano gli alberi, divennero anche quercia e betulla e alloro, e affondarono le radici così in profondità nel terreno da dimenticare il proprio nome. In particolare c'è un fico, la cui storia viene raccontata quando il vento fa mormorare le foglie. Cresce su una collina nel cuore della foresta. Lo si riconosce chiaramente, perché i due rami principali si curvano come le corna di una capra e il tronco è spezzato, quasi che l'albero abbia dato alla luce qualcosa che gli cresceva sotto la corteccia.
Sì! sussurra la foresta. È per questo che il tronco è spezzato e aperto come una ferita. Quest'albero ha partorito, perché un tempo era una donna che danzava e cantava sotto le mie fronde. Coglieva le mie bacche e si intrecciava nei capelli i miei fiori. Un giorno incontrò un Fauno a cui piaceva suonare il flauto sotto i miei alberi al chiaro di luna. Lo aveva ricavato dalle ossa delle dita di un orco e la sua melodia cantava del Regno Sotterraneo dal quale proveniva, tanto diverso dalla luce che la donna recava dentro di sé. (pp. 256)
- L'amore è una trappola terribilmente efficace, e la verità più crudele della guerra è che trasforma l'amore in un rischio mortale. (p. 279)
- [Sul capitano Vidal] Era quella la sua debolezza: il bisogno di dimostrare continuamente a se stesso e agli altri che niente e nessuno poteva resistergli e che il suo cuore non conosceva né paura né pietà. Bugiardo. Aveva paura di tutto. Specialmente di se stesso. (p. 282)
- La Morte sospirò. Era abituata a sentire gli uomini implorare di dare loro qualche altro anno o mese, a volte persino qualche ora. C'era sempre qualcosa di inconcluso, di non fatto, di non vissuto. I mortali non capiscono che la vita non è un libro che si chiude dopo averlo letto fino all'ultima pagina. Non esiste un'ultima pagina nel Libro della Vita, perché l'ultima è sempre la prima di una nuova storia. (p. 295)
- [Sui lupi] Le fiabe sbagliavano a dare al male la forma di una magnifica creatura selvaggia. Sia Ernesto Vidal sia l'Uomo Pallido erano esseri umani che si nutrivano di cuori e anime perché avevano perso i propri. (pp. 320-321)
- Vidal non riusciva a vedere il Fauno. Forse la sua tenebra lo rendeva cieco a troppe cose. Forse credeva già a troppe cose. Forse credeva già a troppe sciocchezze da adulti e dentro di lui non c'era più spazio per nient'altro. (p. 326)
- C'era una volta, ma non molto tempo fa, un Mangiatore di Bambini che abitava in un'antica foresta. La gente del posto che raccoglieva legna degli alberi per superare l'inverno, lo chiamava l'Uomo Pallido. Le sue vittime erano così numerose che i loro nomi ricoprivano le pareti di tutte le sale che si era costruito sottoterra. Trasformava le piccole ossa in mobili delicati come le loro membra e le loro grida erano la musica che accompagnava i suoi banchetti a quello stesso tavolo sul quale ne aveva uccisi tanti.
Le tortuose gallerie della tana del Mangiatore di Bambini erano state progettate per rendere la caccia più divertente. I bambini potevano essere incredibilmente veloci, l'Uomo Pallido lo sapeva bene. Dopotutto lui stesso era stato umano, un tempo, ma i suoi infanticidi lo avevano tramutato in qualcos'altro, un essere senza faccia e senza età, unico nel suo genere. (pp. 235-236)
E si narra che la principessa Moanna fosse tornata nel reame del padre dove regnò per molti secoli con giustizia e cuore generoso. E che fosse amata dal suo popolo e lasciasse sulla Terra piccole tracce del proprio passaggio, visibili soltanto a coloro che sanno dove cercare.
Sono sempre pochi coloro che sanno dove cercare e come ascoltare, questo è vero. Ma le storie più belle, pochi bastano.