scrittore, storico e collezionista d'arte britannico Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Sir Harold Mario Acton (1904 – 1994), scrittore, storico e collezionista d'arte britannico.
Napoli è un palinsesto architettonico prodigo di nascoste sorprese. Mentre una réclame turistica ci può dare l'aspetto esteriore, la realtà rimane nascosta come una giungla ricca e misteriosa. Come sarebbe facile perdersi in quei meandri! Quanto vi sarebbe da esplorare! Nessun'altra città in Europa è stata governata da una così varia successione di dinastie straniere, e ciascuna di esse ha lasciato qualche traccia; eppure sotto alla congestione e al caos del suo sviluppo rimangono nascosti tesori meravigliosi. (da I Borboni di Napoli, pp. 1-2)
[Il Barocco napoletano] Il barocco ebbe modo di esprimersi a Napoli con la stessa gioia di un volo di usignoli liberati da una gabbia d'oro. Indipendentemente dalla protezione dei Gesuiti e dei Vicerè spagnoli, quest'arte, intensamente teatrale, colpì la fantasia popolare. Il clima stesso la favoriva: il colore esigeva altro colore; l'esuberanza cercava il suo complemento nella più matematica delle arti figurative. [...] Quasi tutti gli scultori ed architetti barocchi che lavorarono a Napoli nel diciassettesimo secolo erano settentrionali, ma una volta arrivati a Napoli essi furono incantati e trasformati dal «vento del Sud», e nel fondere il grandioso col sorprendente parvero voler competere colle forze della natura. (da I Borboni di Napoli, pp. 4-5)
Per questo volume, come per il mio precedente, I Borboni di Napoli, ho limitato le note al minimo indispensabile, e ho compilato una bibliografia a uso degli studiosi. In seguito a numerose richieste pervenutemi, ho inserito una succinta genealogia dei discendenti di Francesco I. Dato che si tratta del Risorgimento, le pubblicazioni relative a questo periodo sono di gran lunga più numerose, più complesse e più controverse. Alcuni volumi sono dedicati a un solo anno, il 1848, e persino a un sol giorno, il 15 maggio. Voglia il cortese lettore tener presente che il soggetto del mio libro è la dinastia regnante dei Borboni: e se ho sconfinato nel campo di Trevelyan o nell'inestricabile labirinto chiarito in modo tanto brillante da Mr. Denis Mack Smith in Cavour and Garibaldi 1860, A Study in Political Conflict, l'ho fatto con riluttanza, poiché le questioni di nazionalismo mi lasciano piuttosto freddo. Come ha osservato Mack Smith, vi è una tendenza generale a giustificare i vincitori e a condannare i vinti. Io ho tentato di ristabilire l'equilibrio.
[Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861); traduzione autorizzata di Olga Ceretti Borsini, Aldo Martello Editore, Milano, 1962, p. XV]
Citazioni
La gente bella, a parte gli avvenimenti che la concernano, è spesso profondamente tediosa, e oltre tutto, dal punto di vista letterario, costituisce un argomento troppo sicuro. (introduzione a Gli ultimi Borboni di Napoli)
Distruggere i miti romantici è grave peccato.
[Napoli] Materialmente questa città contribuì alla ricchezza dell'Italia Unita più di qualunque altro Stato; dati e cifre sono stati pubblicati da Francesco Nitti in Nord e Sud (1900) come pure in altri scritti che nessuno ha mai confutato. Nella Scienza delle Finanze, Nitti dà il seguente computo della ricchezza dei diversi Stati al momento dell'unificazione: Regno delle Due Sicilie: milioni di lire oro 443,2; Lombardia: 8,1; Ducato di Modena: 0,4; Romagna, Marche e Umbria: 55,3; Parma e Piacenza: 1,2; Roma: 35,3; Piemonte, Liguria e Sardegna: 27; Toscana: 84,2; Veneto: 12,7. Così, dunque, contro i 443 milioni in oro corrisposti all'atto delle nozze dal Regno delle Due Sicilie, il resto d'Italia – oltre due terzi della Penisola – non portò in dote neppure metà di quella somma. A dispetto di ogni contrastante asserzione, le finanze di Napoli, nel complesso, non erano male amministrate. (1997, p. 2)
In Italia, la prima ferrovia, il primo telegrafo elettrico e il primo faro lenticolare, insieme con un gran numero di altre innovazioni nell'ingegneria e nell'industria, furono dovuti al «retrogrado» Ferdinando. Né si può incolparlo del fatto che i suoi piani per lo sviluppo del paese venissero interrotti: coscienzioso, energico e pio, solo agli intellettuali dette motivo di lagnanza; ma quando si esamina il suo lungo regno in retrospettiva, ci si domanda che cosa abbiano fatto per Napoli quegli intellettuali a paragone di quanto fece Ferdinando con tutte le sue manchevolezze. [...] dopo oltre un secolo di dominazione borbonica, le folle erano saldamente legate al loro sovrano. Lo spirito popolare era borbonico. Le masse avevano esperienza sufficiente per capire che esisteva una tirannia peggiore di quella dei re: la tirannia dei demagoghi, dei politici meschini ed egoisti. (1997, pp. 2-3)
Troppi mettono in evidenza la vivacità dell'espressione napoletana, esagerandone le comiche smorfie e il gran gesticolare, senza fare attenzione alla meditabonda malinconia rivelata dai lineamenti in riposo. E la spossatezza non nasce soltanto dalle lunghe estati torride; è anche, leggermente esemplificata, quella di «Madonna Lisa» del Pater: il risultato di sogni e passioni, fantastiche e squisite forse, ma senza dubbio più pagane che cristiane, sebbene siano sature di quel senso delle lacrime che è insito nelle cose mortali. Essa è più vecchia delle rocce vulcaniche fra le quali quella gente vive [...]. (p. 6)
La vita nelle strade – e quale gioioso caos di vie, vichi, vicoletti, salite, rampe, calate, gradoni, con ogni tanto una rua, come eco della dinastia angioina! – è febbrile, avventurosa, tragica, gaia. Non ha nulla né dell'alveare, né del formicaio, e il cielo voglia che non l'abbia mai. L'umanità vi predomina. A coloro che si sono annoiati della quotidiana abitudine, della nebbia, del fumo, dei freddi climi piovosi, della «fatigue du Nord», Napoli esprime il suo invito affinché partecipino alla tarantella dei viventi sin che ne hanno tempo. Perché se, come ha detto Shakespeare, «il mondo intero è un palcoscenico e gli uomini e le donne tutti sono attori», uomini e donne di questo particolare palcoscenico recitano le loro parti con un entusiasmo che è un inno alla vita, entrando e uscendo dalla scena con la stessa forza drammatica. A Napoli non esiste il pericolo della grigia monotonia. (p. 7)
Un ammiratore siciliano ha affermato che Vincenzo Bellini, meglio e più spesso di qualunque altro compositore, fece provare il piacere del piangere. [...] Il nome del delicato Bellini divenne un grido di battaglia contro i Borboni, quasi fossero stati colpevoli della sua morte.
Napoli, con la rivalutazione d'una dinastia disprezzata dagl'inglesi dell'Ottocento, i Borboni, gli fornì un incantevole pretesto per la sua reazione al mondo moderno, con le sue idee democratiche e le "macchine da abitare". (Mario Praz)