Dato che un'esperienza si situa all'interno della vita intera, anche la vita intera è presente in essa.[1]
[Su Eraclito] Egli parla del fiume, di come tutto in esso scorra. E questo è stato interpretato, molto probabilmente, in maniera piuttosto unilaterale dai pensatori successivi. Secondo loro Eraclito avrebbe insegnato la dottrina dello scorrere di tutte le cose. Se consideriamo però i Frammenti vediamo che egli ha insegnato la paradossalità secondo cui l'acqua sempre diversa, che scende scorrendo lungo il letto del fiume, è sempre una e una stessa corrente.[2]
[Il primo incontro con Napoli nel 1971] Sceso dalla nave bighellonai, come capitava, senza una piantina della città, per i poveri quartieri che si affacciano sul porto. Era la domenica di Pasqua e vidi la seguente scena: era un luogo povero; ad un tratto, da una stanza all'ultimo piano di un palazzo, si aprì una finestra e una vecchia signora calò una lunga fune con un cesto dal quale alcuni bambini che giocavano presero dei pupazzi ritagliati dalla carta colorata, con una gioia che mi commosse fino alle lacrime: persone poverissime. Ciò che insegnava questo episodio è che la povertà, cosa dura, unita ad un vero amore, non esclude la gioia, ed una gioia, forse, più grande di quella che possono dare i più costosi trenini elettrici o gli aeroplani dell'industria per giocattoli americana.[3]
Su iniziativa dell'Istituto italiano per gli Studi Filosofici giunsero insegnanti delle scuole con le loro classi di studenti, per poter discutere con me, nel corso di una mattinata, le questioni che essi si ponevano; e alcune grandi conferenze e discussioni, che tenni in alcuni grandi licei di Napoli, ebbero evidentemente una così enorme risonanza che gli stessi organizzatori ne rimasero sbalorditi: una bella testimonianza di come in una città povera, in cui il lavoro è duro e incerto, si mostri vitale anche l'amore per la cultura. Queste sono state per me tutte esperienze nuove; avendone fatto tesoro, mi hanno aiutato anche dopo il mio ritorno in Germania.[3]
Le chiese, i grandi musei, il Museo Archeologico Nazionale e quello di Capodimonte testimoniano ancor oggi che Napoli non fu mai provincia, bensì sempre non solo una città di residenza ma anche una fucìna di autentica cultura umanistica. Cosa ci resta di ciò oggi? Ebbene, da una parte, indubbiamente, sempre l'allegria sicula, che spinge le sue onde fin su a Napoli; dall'altra parte la musicalità napoletana. Non solo la musica nel senso letterale, bensì l'aspetto musicale in generale, questa singolare mesolanza di operosità, eloquenza, abilità e un sentimento di misura, che negli uomini del nord espèrio guardiamo sempre con ammirazione e meraviglia.[3]
La prima volta che giunsi qui, fu per una conferenza accademica. Ero solo e non svolgevo alcun ruolo nell'Università. La povertà e la gioia di vivere, queste erano le cose che più mi hanno impressionato, e poi… Il rispetto per la cultura.[4]
Portiamo da sempre impressa in noi una traccia, e nessuno è un foglio bianco. L'intesa con la madre comincia molto prima di iniziare a parlare, come oggi sappiamo, già nel corpo materno.[5]
L'esperienza dell'arte costituisce, insieme all'esperienza della filosofia, il più pressante ammonimento rivolto alla coscienza scientifica perché essa ammetta e riconosca i proprio limiti. (p. 20)
Per il vero umanista, l'autore classico non è certo uno la cui opera si possa comprendere meglio di quanto egli stesso l'abbia compresa. Per l'umanista, cosa che non bisogna mai dimenticare, lo scopo supremo non è, originariamente, quello di "comprendere" i modelli classici, ma di uguagliarli o di superarli. Il filologo non è dunque legato ai suoi modelli anzitutto solo come interprete, ma come imitatore, quando non addirittura come rivale. (p. 235)
Chi vuol comprendere un testo deve essere pronto a lasciarsi dire qualcosa da esso. Perciò una coscienza ermeneuticamente educata deve essere preliminarmente sensibile all'alterità del testo. Tale sensibilità non presuppone né un'obiettiva "neutralità" né un oblio di sé stessi, ma implica una precisa presa di coscienza delle proprie pre-supposizioni e dei propri pregiudizi. (p. 316)
La comprensione non va intesa tanto come un'azione del soggetto, quanto come l'inserirsi nel vivo di un processo di trasmissione storica, nel quale passato e presente continuamente si sintetizzano. (p. 340)
L'autentica esperienza è quella in cui l'uomo diventa cosciente della propria finitezza. (p. 413)
Il linguaggio è il medium in cui gli interlocutori si comprendono e in cui si verifica l'intesa sulla cosa. (p. 442)
Chi ha linguaggio, "ha" il mondo. (p. 518)
L'essere che può venir compreso è linguaggio. (p. 542)
La cultura implica un senso di misura e di distacco da se stessi, e di conseguenza un innalzamento al di sopra di sé verso l'universalità.
↑ Citato in AA.VV., Il libro della filosofia, traduzione di Daniele Ballarini e Anna Carbone, Gribaudo, 2018, p. 263. ISBN 9788858014165
Hans-Georg Gadamer, Verità e metodo (Wahrheit und Methode. Grundzüge einer philosophischen Hermeneutik [1960], J.C.B. Mohr, Tübingen 1990), a cura di Gianni Vattimo, Bompiani, Milano, 1983.