politico e diplomatico italiano (1898-1988), 5º Presidente della Repubblica Italiana (1964-1971) Da Wikiquote, il compendio di citazioni gratuito
Giuseppe Saragat (1898 – 1988), politico italiano, 5° Presidente della Repubblica Italiana.
[Su Giovanni Gronchi] Abbiamo finalmente anche noi il nostro Peròn italiano. Il Peròn di Pontedera...[1]
[In seguito alla sconfitta elettorale del 1953] Destino cinico e baro.[2]
[Al passaggio di consegne di Presidente della Repubblica a Giovanni Leone] Ella è qui per assumere le alte funzioni che il Parlamento Le ha affidato e che io ho l'onore di trasmetterLe. È un atto assai semplice questo e tuttavia solenne poiché in esso si realizza la continuità delle istituzioni democratiche, la continuità del più alto Ufficio del nostro Ordinamento Costituzionale, l'Ufficio di Presidente della Repubblica. Mi consenta con l'occasione di esprimerle, Signor Presidente, il mio compiacimento per il privilegio che mi ha concesso, di concludere il mio settennato passando le consegne di questo Ufficio ad una persona come Lei: che possiede doti eminenti di uomo politico, di parlamentare, di uomo di governo, di uomo di cultura che crede nei valori della libertà e della democrazia. A Lei, Signor Presidente, a partire da oggi, è commesso di rappresentare l'Unità Nazionale ed essere il Supremo Custode e il Garante degli Ordinamenti della Repubblica. È, perciò, nel nome della Patria ed è nello spirito della Costituzione Repubblicana che nel riprendere il mio posto di Cittadino, Le rinnovo il mio saluto formulando per Lei e per l'opera Sua il più sentito e il più caldo augurio.[3]
[Parlando con Pietro Nenni] Gente come te e come me, al Quirinale, se c'è una sommossa di destra, spara: se ce n'e una di sinistra, si spara.[4]
Nehru, capo di un popolo di mezzo miliardo di abitanti, ne aveva promosso lo sviluppo lungo le vie maestre della democrazia: testimonianza eminente della validità della democrazia anche quando le condizioni di vita sono estremamente difficili. Il suo genio ha saputo promuovere una così benefica evoluzione e solo se i suoi successori continueranno nella via da lui tracciata l'India potrà raggiungere la mèta auspicata.[5]
I partiti che credono nella libertà e nella giustizia sono quelli che debbono dare l'esempio a tutti.[6]
Se dovessi dar retta ai miei impulsi, non mi resterebbe che iscrivermi alla prima sezione comunista che incontrerei uscendo di casa.[7]
Ricordatevi che la democrazia non è soltanto un rapporto fra maggioranza e minoranza, non è soltanto un armonico equilibrio di poteri sotto il presidio di quello sovrano della Nazione, ma è soprattutto un problema di rapporti fra uomo e uomo. Dove questi rapporti sono umani, la democrazia esiste; dove sono inumani, essa non è che la maschera di una nuova tirannide.[8]
[Sulla vittoria della Repubblica sulla Monarchia] La vittoria della Repubblica è la sanzione di un passato funesto, è la certezza di un avvenire migliore.[8]
Senza l'adesione di tutto il popolo ai principî della democrazia politica, non soltanto non è possibile alcun progresso umano, ma le stesse conquiste legateci da secoli di storia sono insidiate e minacciate di rovina.[8]
[Ai deputati dell'Assemblea Costituente] Dietro a voi sono le sofferenze di milioni di italiani; dinanzi a voi le speranze di tutta la Nazione.[8]
Una pesante eredità di miserie e di dolori grava sul nostro presente, ma anche lo illumina un passato di gloria imperitura.[9]
Nei diciotto anni di esilio l'onorevole Filippo Amedeo fece quanto di meglio può fare un italiano all'estero: rappresentò agli occhi degli stranieri fra cui visse con dignità e probità assoluta la Patria lontana.[10]
L'Assemblea Costituente non è un'accademia scientifica in cui le discussioni avvengono con la serenità propria degli uomini di scienza: un'assemblea politica è un microcosmo in cui si riflettono tutte le passioni che agitano l'anima nazionale. (p. 71)
La sera del 28 dicembre Giuseppe Saragat diventò Presidente con 646 voti su 927 votanti (150 schede bianche per almeno due terzi democristiane), 9 liberali insistettero sul nome del loro presidente Gaetano Martino, e i missini su quello di Augusto De Marsanich. I sette dissenzienti socialdemocratici si pronunciarono per Paolo Rossi. Come osservò il Times, «l'uomo migliore era stato scelto nel modo peggiore». Migliore certo di tantissimi altri, ma imprevedibile.
Il dialogo con Saragat non era mai altro che un monologo di Saragat. Quella che nell'ordinaria amministrazione era la sua debolezza, fu la sua forza nel momento dell'emergenza. Solo un uomo impermeabile alle voci altrui poteva affrontare i comizi e sfidare le piazze del 1947-48, schiumanti di rabbia e di odio contro di lui, il socialfascista, il socialtraditore, il rinnegato. Impassibile sotto quell'uragano, Saragat svolgeva le sue argomentazioni: asciutte, serrate, senza concessioni alla retorica tribunizia. Non si può dire che Saragat si fosse fatto ripagare il grande servigio reso alla democrazia in sostanziose fette di potere. Nei vari Ministeri che occupò, aveva brillato per la sua assenza. Anche come capo del Psdi lasciava alquanto desiderare. Forte del fatto di averlo inventato lui, e di schiacciare con la sua personalità quella di tutti gli altri, se ne curava poco. S'era sempre considerato parecchie spanne al di sopra della nomenklatura, e lo era specie sul piano culturale. L'unica carica che considerava all'altezza della sua altezza, e per la quale veramente si era battuto, era la Presidenza della Repubblica. Al primo tentativo aveva fallito. Al secondo, come sappiamo, riuscì. Purtroppo sappiamo anche in quale modo tortuoso riuscì. Ma le elezioni passano presto, i Presidenti durano sette anni. Saragat sarà un buon Presidente.
Negli anni del Pci avanzante e degli osanna tributati da turbe estasiate d'intellettuali e di giornalisti a Enrico Berlinguer, Saragat era trattato dai più con la sufficienza caritatevole dovuta a un personaggio superato e un po' patetico, nelle idee e negli ideali. Uno che non aveva capito quali scintille di rinnovamento, di mutazione, e di fecondo avvenire, vi fossero nell'universo marxista, sotto le bandiere rosse con falce e martello. [...] Invece era archeologia politica il comunismo. Saragat non assistette al suo crollo, ma in cuor suo aveva sempre saputo che quel giorno sarebbe venuto.