Giovanni Becatti (1912–1973), archeologo e storico dell'arte italiano.
Con la perdita totale della grande pittura le opere di scultura sono quelle che comunemente si richiamano a rappresentare l'arte greca, sicché l'immagine che di essa si è generalizzata si fonda sostanzialmente su queste creazioni plastiche, rimanendo meno noti e familiari i prodotti della ceramica, della toreutica, della coroplastica, dell'oreficeria, della glittica, della monetazione.
- Le copie [delle sculture originali perdute] hanno contribuito a darci un'immagine un po' fredda e accademica della plastica greca, mancando in esse sia la vibrazione e la vitalità dell'originale, perdute attraverso l'opera meccanica e di mestiere del copista e il gusto classicistico del periodo romano, sia la velatura di colore che ravviva i marmi originali e che, dalla vivace policromia che intimamente sosteneva e sottolineava l'effetto plastico delle sculture arcaiche, si era trasformata in una più contenuta gànosis[1] nel periodo classico ed ellenistico (pp. 8-9)
- Il tempio dorico trovò grandiose formulazioni nei centri della Magna Grecia e della Sicilia, dove il seme greco portato dalla intensa colonizzazione ellenica germogliò con una esuberante fioritura nel pingue terreno italico. In questa ricca provincia greca l'arte assume un accento più vivace, una coloritura più accesa, un ritmo più disinvolto, una struttura meno rigorosa in questo periodo arcaico, così come l'architettura si distingue per la grandiosità delle proporzioni, per alcune libertà decorative che illeggiadriscono il severo canone dorico, per la policroma ornamentazione fittile. (pp. 51-52)
- La scomparsa del così detto "sorriso arcaico" fece chiamare "severe" le opere dei primi decenni del V secolo [a.C.] con un'interpretazione falsamente basata su elementi espressivi e sentimentali completamente estranei alla concezione dell'arte greca di questo tempo. L'annullamento degli ultimi elementi della visione arcaica per piani paralleli e la completa vita nello spazio con la conquista di un'organica corporeità struttiva e ritmica, riportavano naturalisticamente nella terza dimensione la curvatura della bocca e l'obliquità degli occhi, dando reale profondità alle varie parti dell'immagine umana vista nella sua unità (p. 95)
- La visione squadrata nella struttura, lineare nel dettaglio, propria dell'artista arcaico si trasforma in quella a tutto tondo e pienamente plastica dello scultore di tipo severo, e il compiacimento di questa raggiunta corporeità spaziale si concreta nella turgida tensione di volumi, nel dinamico arrotondamento dei piani quasi per una interna energia. (p. 95)
- Il grande genio di Fidia ateniese, che si affermò dominante verso la metà del secolo [V a.C.], seppe [...] levarsi nella sfera olimpica a dar forma d'arte alla concezione della divinità, interpretando l'ideale religioso più nobile del suo tempo, facendo gli uomini dèi e creando lo stile classico. (p. 152)
- [Fidia e il Partenone] Tutto un mondo di dèi, di eroi e di uomini in una visione cosmica del mito e in una divinizzazione della realtà era stato suscitato dalla fantasia creatrice di questo demiurgo, padrone di tutte le tecniche, in una forma che era la più elevata e perfetta attuazione dell'ideale classico, operando quasi animato da un divino entusiasmo, come dice Plutarco, che nel ricordare l'atmosfera di fervida attività dell'officina partenonica sull'Acropoli, celebra la grandiosità, la bellezza e la grazia di quei marmi che apparivano già antichi, cioè classici, e al tempo stesso sempre nuovi e come in fiore, tale era il fiotto di perpetua attualità e universalità che conferiva ad essi un aspetto non tocco dal tempo, quasi spirito sempre vivo e anima immortale. (pp. 169-170)
- ↑ Procedimento per la lucidatura della pietra.
- Giovanni Becatti, Scultura greca dalle origini al quinto secolo, Biblioteca moderna Mondadori, Arnoldo Mondadori editore, Milano, 1961.